CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2020, n. 26274
Posizioni lavorative oggetto di verifica ispettiva – Sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato relativamente al personale assunto con contratti a chiamata – Non emessa alcuna ordinanza-ingiunzione – Dichiarazioni rese in sede amministrativa dei lavoratori interessati
Rilevato che
1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 26/2015, in accoglimento degli appelli proposti in via principale dall’INPS e dall’INAIL e in via incidentale dalla Direzione territoriale del lavoro di Pisa, in riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, rigettava la domanda proposta dalla società “Il P. s.a.s.”, la quale, in relazione alle quattro posizioni lavorative oggetto della verifica ispettiva del 28 luglio 2009, aveva contestato la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato relativamente al personale assunto con contratti occasionali (“a chiamata”) e aveva eccepito l’infondatezza della retrodatazione del rapporto di lavoro relativamente alle altre posizioni.
2. La Corte territoriale, innanzitutto, riteneva l’insussistenza dell’interesse ad agire della società nei confronti della Direzione territoriale del lavoro, non essendo stata emessa alcuna ordinanza-ingiunzione nei confronti della ricorrente al momento del deposito della domanda di accertamento negativo, dovendo sul punto accogliersi l’appello incidentale della Direzione territoriale.
3. Riteneva del pari fondato l’appello dell’INPS e dell’INAIL.
Premesso che le dichiarazioni rese in sede amministrativa dei lavoratori interessati dall’accertamento ispettivo ben potevano essere valutate ai fini probatori, restando attendibili fino a prova contraria, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la Corte di appello esaminava partitamente le singole posizioni lavorative e analizzava le relative risultanze istruttorie, osservando – in sintesi – che: a) quanto alla posizione del lavoratore G.C., l’impugnazione del verbale aveva ad oggetto solo la decorrenza del rapporto, non essendo contestata la sua natura né l’orario di lavoro; la deposizione dei testi ritenuti attendibili portava a avvalorare la tesi di parte appellante, mentre alcuna prova contraria era stata offerta dall’appellata; b) quanto alle sorelle M. e P.B., che avevano svolto prestazioni lavorative come cameriere, l’assunto di parte datoriale secondo cui si trattava di prestazioni “a chiamata”, non poteva escludere né la natura subordinata della prestazione resa, né la continuità del vincolo, ben potendo le chiamate costituire una modalità della articolazione del lavoro, modulata secondo le variabili esigenze aziendali, né parte datoriale era riuscita a fornire una “oggettiva e attendibile prova contraria”; c) quanto alla posizione di G.P., addetto alla reception, la retrodatazione del rapporto al maggio 2005 aveva trovato conferma nelle dichiarazioni dei colleghi.
4. In conclusione, la Corte affermava che, attraverso un’analisi incrociata delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva e in sede giudiziale e alla luce delle manchevoli allegazioni documentali della società, doveva ritenersi comprovata la qualificazione dei rapporti in termini di subordinazione, come pure la loro durata e la consistenza oraria, nei termini della ricostruzione operata in sede ispettiva dal funzionario della Direzione territoriale del lavoro, con le conseguenti ricadute debitorie in termini di premi assicurativi INAIL e di contribuzione previdenziale INPS.
5. Per la cassazione di tale sentenza la società “Il P.” ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
6. L’INAIL si è costituito con controricorso. L’INPS è rimasto intimato.
Considerato che
7. Preliminarmente, il ricorso proposto nei confronti dell’INPS va dichiarato inammissibile. Il relativo procedimento notificatorio risulta avviato tempestivamente in data 1° luglio 2015, entro il termine di cui all’art. 325 cod. proc. civ. decorrente dalla notifica della sentenza, avvenuta il 4 maggio 2015. Tuttavia, esso non risulta essersi perfezionato per ragioni non imputabili al notificante e la sua riattivazione risulta tardiva, in quanto avviata in data 10 settembre 2015, oltre il termine di 30 giorni dal momento in cui (1° luglio) essa sarebbe dovuta avvenire.
8. In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 cod. proc. civ., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. S.U. 14594 del 2016; conf. Cass. n. 19059 del 2017, nn. 11485 e 20700 del 2018). Il ricorrente, appreso l’esito negativo della notifica del ricorso per causa a lui non imputabile, ha l’onere e non la mera facoltà, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio in un tempo pari alla metà dei termini di cui all’art. 325 cod. proc. civ., senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzi la rinnovazione, salvo circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa, sicché, nel caso di mancata riattivazione, il ricorso va dichiarato inammissibile per omessa notifica (Cass. n. 5974 del 2017).
9. Sempre in via preliminare, nei confronti della Direzione territoriale del lavoro non è stato proposto ricorso per cassazione. E’ dunque passata in giudicato la statuizione con cui è stato accolto l’appello proposto dalla stessa Direzione territoriale ed è stata dichiarata inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione del verbale nei confronti di tale Amministrazione.
10. Nei confronti dell’INAIL il ricorso è stato validamente proposto e va, pertanto, esaminato.
11. Con unico motivo di ricorso, si denuncia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., degli artt. 2094 e 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente addossato alla parte appellata l’onere di provare la natura subordinata e la durata dei rapporti di lavoro oggetto dell’accertamento ispettivo, mentre tale onere gravava sull’Istituto previdenziale, pur in presenza di una domanda di accertamento negativo (pagg. 5-9 ric.). Si sostiene che, ove la Corte avesse fatto corretta applicazione di tale regola di giudizio, sarebbe pervenuta alle medesime conclusioni del primo giudice circa gli esiti della prova, come desumibile dal tenore delle risultanze istruttorie, di cui si espone il contenuto (pagg. 9-16 ric.). Si assume inoltre che erano stati pretermessí fatti decisivi per il giudizio desumibili dalle dichiarazioni rese in giudizio dai quattro lavoratori interessati dall’accertamento, atte ad evidenziare l’autonomia delle collaborazioni.
12. Il ricorso proposto nei confronti dell’INAIL è infondato.
13. E’ ben vero che, secondo l’orientamento consolidatosi negli ultimi anni, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell’INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo al fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria (cfr. in tale senso, Cass 10 novembre 2010 n. 22862, v. pure Cass. n. 14965 del 2012).
14. Tuttavia, nel caso in esame la Corte di merito ha rivalutato gli esiti dell’istruttoria amministrativa e di quella giudiziale relativamente alle dichiarazioni rese dai lavoratori interessati dall’accertamento ispettivo; ha operato valutazione “incrociata” delle deposizioni; ha espunto dal giudizio talune deposizioni di testi ritenuti non attendibili e ha formulato un giudizio conclusivo nel senso del raggiungimento della prova favorevole alla tesi dei due Istituti previdenziali.
15.L’affermazione secondo cui la società non era riuscita a fornire “una ragionevole ed attendibile prova contraria” non costituisce un ribaltamento dell’onere probatorio, ma – conformemente alla sopra indicata regola di giudizio – conferma che non erano emersi dal materiale probatorio acquisito agli atti del processo spunti di alcun genere per confortare una soluzione di segno diverso.
16. La sentenza, a fronte degli elementi acquisiti al giudizio e valutati mediante esame puntuale delle singole posizioni, ha argomentato, con motivazione logica e priva di incongruenze, l’assenza di prova di fatti antitetici, che parte datoriale non aveva saputo addurre per contrastare il quadro probatorio a sé sfavorevole.
17. Deve poi osservarsi che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata od autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto, attraverso la valutazione delle risultanze processuali e sono idonei a ricondurre la prestazione al suo modello, costituisce apprezzamento di fatto, che, se immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (in tali termini, Cass. 17 gennaio 2004 n. 669).
18. Per tali assorbenti ragioni, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore dell’INAIL, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
19. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Inali, delle spese, che liquida in euro 5.500,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per Il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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