CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2021, n. 35134
Tributi – Riscossione – Estinzione del processo per omessa riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio – Cartella di pagamento – Prescrizione – Decorrenza del termine – Data di scadenza del termine utile per la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio
Rilevato che
1. In seguito al trasferimento, in data 10/5/1993, da A.A. a M.C. della propria azienda commerciale, denominata “L. Bar”, furono notificati al primo due distinti avvisi di accertamento, uno da parte dell’Ufficio del registro di Palermo, in data 14/10/1995, col quale venne rettificato il valore di avviamento, l’altro dall’Ufficio delle imposte dirette di Palermo, ai fini Irpef e Ilor per l’anno 1993, in data 6/12/1999, con riguardo alle plusvalenze realizzate a seguito di tale cessione. Impugnati con distinti ricorsi i suddetti atti dal contribuente, la Commissione tributaria di primo grado di Palermo li annullò entrambi, il primo con la sentenza n. 608/12/2002 che passò in giudicato, il secondo con la sentenza n. 609/12/2002, che fu confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia con sentenza n. 14/35/2006. Impugnata detta sentenza dall’Ufficio, questa Corte, con ordinanza n. 25169/2008 del 18/10/2008, la cassò, rinviando la causa ad altra sezione della medesima Commissione regionale, senza che nessuna delle parti provvedesse alla riassunzione del giudizio.
L’Agente per la riscossione per la provincia di Agrigento, all’epoca Serit Sicilia s.p.a., notificò quindi al contribuente due distinte cartelle di pagamento, la prima in data 2/7/2010, con cui fu chiesto il recupero delle imposte Ilor e Irpef per l’anno 1993 e la seconda in data 15/6/2011 con cui fu chiesta una somma per il recupero dell’Irpef per redditi soggetti a tassazione separata per il 1993, di importo corrispondente, quanto all’Irpef, a quello chiesto con la prima cartella. I giudizi, aventi ad oggetto l’impugnazione delle due cartelle, ebbero esiti differenti: quanto a quella del 2010, la C.T.P. di Palermo dichiarò non dovuto l’importo riguardante l’Ilor, in ragione dello sgravio operato dall’Ufficio in data 21/12/2010 in corso di giudizio, e rigettò la domanda quanto all’Irpef, con la sentenza n. 106/01/2011 del 18/2/2011, contro la quale fu proposto appello avente n. 4400/11; quanto alla cartella del 2011, la C.T.P. rigettò la domanda con sentenza n. 641/10/11, che fu a sua volta impugnata dal contribuente, con preliminare richiesta di riunione del procedimento a quello n. 4400/11 relativo alla prima cartella, stante l’identità di parti e presunto debito, e che fu confermata dalla C.T.R. con la sentenza n. 93/29/13, depositata il 12/6/2013, oggetto dell’odierno giudizio.
2. Contro la predetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 25, lett. c), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione agli artt. 2945, terzo comma, cod. civ., e 310 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato la tempestività della notifica della cartella, siccome avvenuta il 15/6/2011, ossia entro il termine di decadenza dei due anni previsto dall’art. 25 lett. c), d.P.R. n. 602 del 1973, sostenendo che la relativa decorrenza andasse individuata nella data di scadenza del termine per la riassunzione del giudizio di rinvio, ossia nel 15/10/2009, senza considerare che con l’estinzione dell’intero processo, derivante dalla mancata riassunzione nel termine perentorio di un anno e quarantasei giorni dalla pubblicazione della sentenza di cassazione che aveva rinviato la causa ad altra sezione della medesima C.T.R., sarebbe dovuto essere applicato l’art. 2945, terzo comma, cod. civ., in relazione all’art. 310 cod. proc. civ., che comporta la caducazione dell’effetto sospensivo prodotto dalla proposizione del ricorso, restando fermo il solo effetto interruttivo dell’atto introduttivo, a decorrere dal quale va calcolato il periodo di prescrizione. Pertanto, alla data di notifica della cartella, ossia al 2/7/2010, il tributo era abbondantemente prescritto, sia che si fosse fatto decorrere il relativo termine dalla notifica dell’avviso di accertamento, il 6/12/1999, sia dalla notifica del ricorso avverso detto avviso di accertamento, il 4/2/2000.
2. Col secondo motivo, si lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di motivare in ordine alla richiesta riunione del giudizio di appello n. 4259/12 e quello recante il n. 4400/11, tutt’ora pendente davanti alla C.T.R. di Palermo, per connessione oggettiva e soggettiva.
3. Preliminarmente, si rileva la tardività del deposito della memoria illustrativa, in quanto pervenuta soltanto in data 15/6/2021 e dunque fuori termine.
Al riguardo deve confermarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, ai fini della tempestività delle memorie ex art. 380 bis cod. proc. civ. inviate a mezzo posta, rileva la data della loro ricezione da parte della Cancelleria, e non quella della spedizione, non essendo applicabile analogicamente l’art. 134, quinto comma, disp. att. cod.proc.civ., il quale consente di dare per avvenuto il deposito nel giorno della spedizione esclusivamente con riferimento al ricorso ed al controricorso (Cass., Sez. 3, 27/11/2018, n. 30592).
Il primo motivo è inammissibile.
Va innanzitutto premesso che, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 cod. proc. pen., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (cfr. Cass., Sez. U, 21/03/2017, n. 7155).
Orbene, il ricorrente non ha fornito elementi per discostarsi dall’orientamento pacifico di questa Corte, espresso anche in un caso del tutto simile a quello di specie (cfr. Sez. 5, 15/01/2016, n. 556), secondo cui la peculiare natura della pretesa tributaria (in quanto necessariamente incorporata in atto impositivo) fa sì che, in caso di estinzione del processo, per omessa riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio, il dies a quo del termine di prescrizione (come di quello di decadenza) vada ancorato alla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, atteso che soltanto con l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 63, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 per omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio l’avviso di accertamento impugnato (e della pretesa tributaria in esso incorporata), in quanto oggetto del giudizio e non atto processuale, si consolida, divenendo definitivo (cfr. Cass., Sez., 6- 5„ 19/10/2015, n. 21143; Cass., Cass., Sez. 5, 3/7/2013, n. 16689; Cass., Sez. 6 – 5, 23/11/2016, n. 23922; Cass., Sez. 5, 13/12/2018, n. 32276), e che pertanto è soltanto da tale momento che l’Amministrazione può, ai sensi degli artt. 68 d.lgs. 546/1992, 14 e 15 d.p.r. 602/1973, far valere in modo definitivo e compiuto il proprio credito, attivando la relativa procedura di riscossione, a maggior ragione quando si sia in presenza, come nella specie, di sentenze in primo e secondo grado a sé sfavorevoli, dato l’obbligo di restituzione del tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dal giudice tributario, sancito dall’art. 68 comma 2, d.lgs. 546/1992 (Cass., Sez. 5, 15/01/2016, n. 556; Cass., Sez. 6 – 5, 12/04/2017, n. 9521). Pertanto in tale ipotesi, non può trovare applicazione la regola generale dettata dal terzo comma dell’art. 2945, cod. civ., in quanto, ove venisse meno l’effetto sospensivo previsto dal secondo comma di tale disposizione, la prescrizione maturerebbe anteriormente alla definitività dell’atto in favore dell’unica parte processuale (il contribuente) interessata alla riassunzione, proprio al fine di evitare che l’atto impugnato diventi definitivo (Cass., Sez. 5, 18/11/2016, n. 23502).
E’ dunque a questi principi che si è conformata la C.T.R. allorché ha affermato la tempestività della notifica della cartella impugnata (avvenuta il 15/6/2011), avendo fatto decorrere il termine di prescrizione dalla scadenza del termine per la riassunzione del giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento (15/20/2009).
Ciò comporta l’inammissibilità del motivo.
4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (Cass., Sez. L., 23/5/2008, n. 13373; Cass., Sez. L., 10/11/2008, n. 26921), se non quando la pronuncia contenga una statuizione contraria all’interesse della parte medesima suscettibile di formare il giudicato (Cass., Sez. 2, 11/12/2020, n. 28307), oltre a imporre la prospettazione di quali lesioni siano, in concreto, derivate ai diritti e alle facoltà della parte dagli errori motivazionali contenuti nel provvedimento impugnato (vedi in tema di interruzione del processo, Cass., Sez. 3, 9/3/2012, n. 3712; in tema di tardività dell’appello pronunciata con ordinanza ex art. 348-ter, cod. proc. civ.), come sancito anche con riguardo all’omessa riunione di procedimenti, la quale rileva sotto il profilo dell’art. 151, disp. att., cod. proc. civ., trattandosi di norma non presidiata da espressa sanzione di nullità e la cui violazione può essere prospettata in sede di impugnazione soltanto deducendo il pregiudizio che la mancata trattazione unitaria delle controversie connesse ha causato in termini di liquidazione delle spese, ai sensi del secondo comma di tale disposizione (Sez. 2, 28/12/2020, n. 29638). Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell’economia dei giudizi, costituisce infatti espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita incensurabilmente, e, pertanto, non è suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari, sicché l’omessa pronuncia sul punto non soltanto non è sanzionata da nullità, ma non può assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale può quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 3, 17/7/2008, n. 19693).
Orbene, il ricorrente non si è affatto attenuto a tali principi, non avendo egli in alcun modo prospettato se e in che termini l’omessa riunione dei procedimenti abbia avuto ricadute sull’esito della lite.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, nei confronti della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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