CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 settembre 2019, n. 23296
Inquadramento – Differenze retributive maturate – Compensi spettanti a titolo di lavoro straordinario – Indennità di trasferta
Rilevato che
1. R.M. convenne in giudizio la IVS Italia s.p.a. e chiese l’accertamento del suo diritto ad essere inquadrato nel 3° livello del C.C.N.L. delle imprese commerciali, in luogo del 4° livello riconosciutogli, e la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate o in subordine al pagamento dei compensi spettanti a titolo di lavoro straordinario che quantificava in € 19.918,75. Il Tribunale di Genova respinse le domande. La Corte di appello di Genova, investita del gravame da parte del M. ha accertato che gli era dovuta la somma di € 2.162,69, così ridotta la somma per tale titolo dovuta, avendo accertato che il M. aveva sì lavorato mediamente per cinquanta ore settimanali ma che aveva percepito degli importi a titolo di indennità di trasferta che andavano imputati a lavoro straordinario non essendo risultato dimostrato che avesse mai svolto trasferte. Detraeva perciò tali importi dalla somma chiesta e riteneva nel contempo che nessun rilievo poteva essere attribuito alla lettera del 3 agosto 2009 che attribuiva all’indennità di trasferta valore di compenso onnicomprensivo dello straordinario trattandosi di disposizione intervenuta successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la IVS Italia s.p.a. che articola quattro motivi. Resiste con controricorso R.M.. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ..
Considerato che
3. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cod. proc. civ. per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile l’appello che invece non era sufficientemente specifico non può trovare accoglimento.
3.1. Va premesso che la censura è generica poiché non riporta né il testo della sentenza di primo grado né quello dell’appello e non consente alla Corte di verificare, ex actis, la fondatezza della censura che, peraltro, avrebbe dovuto essere formulata quale error in procedendo ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ. e non come violazione di legge ai sensi del n. 3 della citata disposizione.
3.2. In ogni caso la decisione della Corte di merito è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, che ha ripetutamente affermato che l’art. 434, primo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lettera c) bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 cod. proc. civ., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (cfr. Cass. 05/02/2015 n. 2143, 16/11/2017 n. 27199, 30/05/2018 n. 13535, 12/02/2019 n. 4136).
4. Anche il secondo motivo – con il quale è denunciata la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione degli artt. 436 bis e 348 bis cod. proc. civ. così incorrendo nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. avendo trascurato di pronunciare, come avrebbe dovuto, su tutta la domanda – è infondato.
4.1. Va rilevato che la Corte di merito ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l’accoglimento del gravame ed ha individuato l’errore commesso da parte del giudice di primo grado in una errata gestione delle prove e del materiale probatorio. Ne deriva che, perciò, ha ritenuto assorbite le eccezioni con le quali si sollecitava il rigetto in relazione ad una pretesa manifesta infondatezza del gravame.
Va qui ribadito che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (cfr. Cass. n. 29191 del 2017 relativa proprio ad un caso di implicito rigetto dell’ eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame).
5. Quanto al terzo motivo di ricorso – con il quale è dedotta la violazione degli artt. 414 comma 1 n. 4 cod.proc.civ. dell’art. 420 comma 5 in relazione all’omessa valutazione complessiva del ricorso alla luce della documentazione in esso richiamata ed all’erronea valutazione di ammissibilità delle prove – rileva la Corte che anche a voler tralasciare la scarsa chiarezza della censura, questa in ogni caso è generica. Pur dolendosi della mancata ammissione di uno dei capitoli di prova articolati (il capitolo 8) e dell’ammissione di altri (cap. 5, 5 a, 5 b) tuttavia non ne riporta il contenuto ed in tal modo è preclusa alla Corte la verifica della denunciata contraddizione.
7. Con il quarto motivo infine è dedotta la violazione dell’art. 2113 primo comma cod.civ. in relazione alla mancata qualificazione della lettera inviata al M. dalla IVS il 3 agosto 2009 e da questi sottoscritta, come rinuncia al compenso per straordinario.
7.1. Ad avviso della ricorrente con la sottoscrizione apposta dal lavoratore, seppure successiva alla cessazione del rapporto, questi avrebbe rinunciato al compenso dello straordinario, rinuncia possibile e valida tenuto conto del fatto che il lavoratore era ben consapevole dei suoi diritti e l’oggetto della rinuncia era determinabile.
8. La censura non può essere accolta.
8.1. La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme e che sia riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore abbia l’onere di impugnare nei termini di cui all’art. 2113 cod. civ., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato, (cfr. Cass. 11/07/2001 n. 9407 e 1657 del 2008). Nella dichiarazione liberatoria, per essere ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto, è necessario che per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (cfr. Cass. 31/01/2011 n. 2146, 15/09/2015 n.18094 e 06/05/2015 n. 9120). Tale accertamento è riservato al giudice del merito, implicando un apprezzamento di fatto censurabile, in sede di legittimità, solo in caso di violazione dei criteri d’ermeneutica contrattuale o di vizi di motivazione (cfr Cass. 17/05/2006 n. 11536 oltre a quelle già citate cui si aggiunga, tra le tante, in motivazione 24/01/2017 n. 1748).
8.2. Orbene, nel caso di specie, la censura, in disparte la sua rubrica, non deduce alcuna violazione dei canoni di interpretazione limitandosi a proporne inammissibilmente, una lettura diversa.
9. In conclusione il ricorso deve essere complessivamente rigettato e le spese, che sono liquidate in dispositivo, devono essere poste a carico della società soccombente che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 4000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
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