CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 settembre 2020, n. 19446
Tributi – Redditi non dichiarati detenuti occultamente su conti bancari in Paesi a fiscalità privilegiata – Strumenti di cooperazione comunitaria – Lista fornita dal dipendente della banca – Valore indiziario – Utilizzabilità – Legittimità
Fatti e ragioni della decisione
La Guardia di Finanza di Milano svolgeva una verifica tributaria nei confronti di M.S., sulla base di informazioni pervenute dall’amministrazione fiscale francese in base a collaborazione informativa internazionale, contestando, in relazione all’esistenza di un conto corrente presso la HSBC di Ginevra risultante da una scheda illecitamente sottratta alla banca dal dipendente H.F.. L’Agenzia delle entrate contestava, quindi, alla contribuente la sanzione pecuniaria per violazione dell’art. 5 commi 4, 5 e 6 del d.l. n.167/90, correlata all’omessa compilazione dei redditi relativi agli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007.
La contribuente impugnava l’atto innanzi alla CTP di Milano, prospettando l’inutilizzabilità della scheda, l’inattendibilità dell’assenza di valore probatorio della stessa e l’infondatezza della contestazione.
L’Agenzia delle entrate emetteva, poi, autonomo avviso di accertamento a carico di M.M., relativo alla ripresa a tassazione di redditi evasi e sanzioni in relazione al conto acceso presso la HSBC di Ginevra, risultante dalla fiche relativa al conto denominato S. 20.
I due contribuenti proponevano ricorsi avverso gli atti notificati e la CTP, previa riunione dei due ricorsi, li rigettava.
La CTR Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, decidendo gli appelli proposti da M.M. e M.S., riunite le impugnazioni, le respingeva.
La CTR dichiarava di condividere l’indirizzo espresso da questa sottosezione con le ordinanze nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, poi ribadito dalla sentenza della sezione quinta di questa Corte n.16950/2015, rilevando che la scheda cliente della banca HSBC di Ginevra, sulla quale si era fondato l’accertamento, era emerso che gli appellanti, rispettivamente intestatario (M.) e procuratore delegato non minore d’età (S.) era stata legittimamente acquisita dagli organi fiscali transalpini, in conformità alle prescrizioni contenute nella direttiva 77/799/CEE e della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia del 5 ottobre 1989, a nulla rilevando l’eventuale illecito, peraltro non emergente dagli atti, commesso dal primo delatore dell’informazione finanziaria.
Chiarita l’utilizzabilità della documentazione, rilevava l’attendibilità della stessa, riscontrata dai numerosi riscontri svolti dall’amministrazione finanziaria, essendo emersa l’identificazione del M.M., commerciante di tappeti, residente in Milano, con anno e data di nascita, indicazione degli incontri con il gestore finanziario e i numeri di telefono e fax, nonché quanto alla M.S. la qualità di procuratore delegato a movimentare il conto. Lo stesso Ufficio aveva, poi, operato i dovuti riscontri in ordine alle disponibilità finanziarie estere non dichiarate. Aggiungeva la CTR che dalla c.d. fiche risultava che gli appellanti avevano avuto la piena disponibilità ad operare sul conto corrente estero, senza fornire alcuna giustificazione, nemmeno disconoscendo i poteri gestori ai medesimi intestati sul conto o l’allegazione dell’estraneità delle loro persone alla posizione bancaria denominata S. 20. Le uniche contestazioni svolte in ordine all’utilizzabilità della fiche e alla sua rilevanza probatoria dovevano essere disattese, stante l’autonomia del processo tributario rispetto alla formazione della prova nel processo penale.
In definitiva, i contribuenti non avevano in alcun modo superato gli indizi presuntivi, gravi, precisi e concordanti risultanti dai verificatori e consacrati nell’atto di accertamento.
Rilevava, infine, che non poteva essere accolta la domanda subordinata formulata dalla sola M.S., posto che l’art.9, comma 1, lett.d) della l. n.97/2013 non aveva abrogato il corredo sanzionatorio previsto dall’art. 5 del d.l. n. 167/1990, limitandosi a rimodulare le sanzioni per agevolare il ravvedimento operoso, a partire dalle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2013.
M.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Anche M.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, affidato anch’esso a tre motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
La ricorrente M.S. ha proposto istanza di adesione ai sensi dell’art. 11, comma 8 del d.l. n.50/2017, conv. nella l. n.96/2017.
L’Agenzia delle entrate, con nota del 5.9.2018, ha chiesto dichiararsi l’estinzione parziale del giudizio nei confronti di M.S., in relazione all’avvenuto adempimento di quanto previsto dall’art. 11 d.l. n.50/2017.
Ciò posto, dovendo procedersi alla riunione dei due ricorsi proposti dai due ricorrenti avverso la medesima sentenza, va dichiarata l’estinzione parziale del giudizio nei confronti di M.S., in relazione all’avvenuto adempimento di quanto previsto dall’art. 11 del d.l. n.50/2017.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese fra le parti del giudizio.
Passando all’esame del ricorso proposto da M.M., con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 12, comma 2 del d.l. n.78/2009, 11 disp.prel. c.c. e 3 comma 1 della l. n.212/2000, sostenendosi che la sentenza impugnata avrebbe applicato detto art. 12 in violazione del principio di irretroattività.
Con il secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per violazione degli artt.112, 115, 116 e 132, comma 2, n.4 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c. e dell’art.36, comma 2, n.4 del d.lgs. n.546/1992.
La CTR avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi sulla retroattività dell’art. 12, comma 2 del d.l. n. 78/2009.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt.6, comma 2, 10, comma 1 e 12, comma 2 della l. n.212/2000, nonché dell’art.31-bis del d.P.R. n.600/73, ed ancora della dir.77/799/CEE e della Convenzione Italia – Francia. Secondo il ricorrente la scheda esibita non sarebbe stata acquisita in applicazione della procedura invocata dall’ufficio.
Con il quarto motivo si prospetta la violazione degli artt.2727 e 2729 c.c., nonché degli artt.115 e 116 c.p.c. La CTR non avrebbe considerato l’assenza di riscontri in ordine all’attendibilità della scheda.
I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Giova rilevare che, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in analoga fattispecie in tema di c.d. lista Falciani, (Cass., sez. 5, ud. 16 maggio 2019, dep. 14 novembre 2019, n.29632) la presunzione legale relativa di evasione introdotta – con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato – dal d.l. n.78 del 2009, art. 12, comma 2, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura procedimentale e di deroga espressa all’art. 11 preleggi, e allo statuto del contribuente, art.3.
In tale circostanza, si è tuttavia chiarito che la presunzione legale di evasione stabilita dal d.l. n.78 del 2009, art. 12, comma 2, non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (d.P.R. n.600 del 1973, art.38, comma 2 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche), anche non facendo ricorso alla presunzione legale in oggetto. A tal fine occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (sez. 1, ordinanza n.23153 del 26/09/2018); con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa, (sez. 5, ordinanza n.30803 del 22/12/2017; con specifico riferimento alla “lista Falciani” sez. 6 – 5, n.3276 del 12/02/2018, secondo cui l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (nella specie, risultanze della cd. “lista Falciani”).
Nella medesima direzione si è espressa Cass., n.31085/2019 ove si è affermato che “…La circostanza che la presunzione legale di evasione stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude, però, all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche) senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto. A tal fine va considerato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non debbano essere più di uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass., n.23153 del 26/09/2018 e, di recente, Cass., n.ri 29632 e 29633 del 14/11/2019); con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa (Cass., sez.5, n.30803 del 22/12/2017 e, con specifico riferimento alla lista Falciani, Cass, n.3276 del 12/02/2018 la quale ha affermato, sulle risultanze della “lista Falciani”, che l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica). Tali principi non risultano sconfessati dal giudice di appello il quale, anzi, ha fondato la sua decisione correlando il principio di diritto relativo all’utilizzabilità della “lista Falciani”, al pari di qualsiasi altro elemento indiziario, quanto agli effetti, agli obblighi dichiarativi e alle presunzioni di redditività stabiliti dalla l. n.167 del 1990 nel testo vigente ratione temporis, a carico del contribuente per i trasferimenti di denaro ed altri valori verso l’estero. Il giudice di appello, in particolare, partendo dal dato che il T. era intestatario di un conto corrente in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui non aveva fatto denuncia ai fini fiscali e che sul conto era state fatte movimentazioni nell’anno oggetto di contestazione, ha correttamente ritenuto provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici le quali, come detto sopra, possono consistere anche in un solo indizio, in assenza di idonea prova contraria fornita dal contribuente.
Infatti, la non contestata presenza di disponibilità finanziarie sul conto aperto presso l’Istituto bancario svizzero, intestato al T., lascia ritenere seppure a livello presuntivo, che l’Amministrazione, mediante la raccolta dei dati emergenti dal conto corrente bancario, abbia assolto al suo onere probatorio (così, in fattispecie analoga, Cass. n.33223/2018 cit.)”. La Commissione regionale non è, pertanto, incorsa nella denunciata violazione di legge avendo fatto corretto uso dei criteri di ripartizione dell’onere della prova valutando tutti i fatti sottoposti al suo esame. In tale ottica il terzo motivo, nella parte in cui si lamenta un omesso esame di fatti ritenuti decisivi, prima che infondato è inammissibile in quanto teso, nella sostanza, ad una ricostruzione in fatto, impossibile in questa sede, diversa da quella operata dalla CTR. Orbene, nel caso di specie il giudice di appello ha omesso di pronunziarsi sulla questione relativa alla retroattività dell’art.12 cit., ma ha mostrato di esaminare la fondatezza della pretesa fiscale sulla base del materiale indiziario posto a base della stessa e dunque verificando se le presunzioni utilizzate dall’Ufficio giustificassero o meno la pretesa.”
Orbene, ritenendo pienamente condivisibile l’approccio seguito dalla Sezione quinta sul punto, deve ritenersi che nel caso di specie i due motivi di ricorso, concernenti la questione della retroattività dell’art.12 cit., non possano avere alcuna valenza nel caso di specie non attingendo la ratio decidendi della decisione.
Passando all’esame del terzo motivo, lo stesso è parimenti inammissibile.
La CTR ha esaminato gli atti posti a base dell’accertamento, rilevando l’origine dell’acquisizione della scheda relativa al conto riferibile ai ricorrenti presso la HSBC, rilevandone la legittima acquisizione in relazione alle attività svolte dagli organi fiscali francesi a cura della Guardia di Finanza, in conformità a quanto previsto dalla dir.77/799/CEE e dalla Convenzione italo francese del 5 ottobre 1989.
Tanto è sufficiente per evidenziare l’inammissibilità della censura che tende a sovvertire l’accertamento di fatto operato dal giudice di appello, sulla base degli elementi dallo stesso esaminati, senza peraltro dimostrare che la censura relativa all’insussistenza dei presupposti per l’acquisizione delle autorità francesi che la CTR ha accertato fosse stata contestata nell’atto introduttivo, nel quale tale censura, stando al contenuto del ricorso per cassazione del M., non compare (cfr. pag.4 ricorso). Ciò non consente, dunque, di porre qui in discussione l’accertamento eseguito dal giudice di merito in ordine all’acquisizione della documentazione proveniente dalla HSBC di Ginevra da parte delle autorità fiscali francesi nell’ambito della cooperazione prevista dal quadro normativo di riferimento sulla quale questa Corte in procedimenti analoghi a quello qui esaminato si è già più volte pronunziata positivamente, a partire dalle note ordinanze nn.8605 e 8606 del 2015, dell’ulteriore pronunzia n. 16950 dello stesso anno, rese da questa sottosezione e dalla sezione quinta, poi seguite da analogo costante indirizzo all’interno della sezione tributaria.
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di chiarire più volte che la netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio, sancito non soltanto dalle norme sui reati, riconoscendo che “… non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per se, la inutilizzabilità, degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.)” (v., ex plurimis, Cass. n. 8605/15).
Si è parimenti esclusa l’inutilizzabilità degli elementi desunti dalla cd. “lista Falciani” per effetto dalla condotta illecita a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale francese, essendo essa riferibile personalmente al solo Falciani.
Sul punto questa Corte con le ordinanze gemelle nn.8605 e 8606 del 28/4/2015 ha precisato che “…l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 c.p.rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero) – e comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi – v. sul punto, la pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013 (Cour de Cassation criminelle, 27/11/2014, ric. 13-85042) che ha espressamente riconosciuto l’utilizzazione – addirittura in ambito penale – della Lista Falciani sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica”.
In definitiva, “L’amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Spetta al giudice di merito, in caso di rilievi avanzati dall’Amministrazione, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro delle contestazioni mosse dal contribuente” (Cass., n. 16951/2015; Cass., n.32597/2019).
Alla luce delle considerazioni che precedono, non può ritenersi illegittima l’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese in forza della Direttiva 77/799, tenuto conto che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma ci sono solo interessi patrimoniali ed istituzioni economiche.
Neppure può farsi discendere l’inutilizzabilità degli elementi desunti dalla cd. lista Falciani dalla condotta illecita a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale francese, essendo essa riferibile personalmente al solo Falciani.
Sul punto, questa Corte con le ordinanze gemelle nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 ha precisato che “…l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna,
non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 c.p.rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero) – e comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi v. sul punto, la pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013 (Cour de Cassation criminelle, 27/11/2014, ric. 13-85042) che ha espressamente riconosciuto l’utilizzazione – addirittura in ambito penale – della (OMISSIS) sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica”.
In conclusione, va, dunque, ribadito il principio di diritto già espresso da questa Corte con la sentenza n. 16951 del 19 agosto 2015, secondo cui “L’amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo. Spetta al giudice di merito, in caso di rilievi avanzati dall’Amministrazione, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro delle contestazioni mosse dal contribuente“.
Orbene, il giudice di appello ha correttamente ritenuto provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici, in assenza di prova contraria non offerta dal contribuente.
Infatti, la non contestata presenza di disponibilità finanziarie sul conto aperto presso l’istituto svizzero ha consentito al giudice di merito di ritenere, sia pure a livello presuntivo, che l’Amministrazione, mediante la raccolta dei dati emergenti dal conto corrente bancario, abbia assolto il proprio onere probatorio (Cass., n. 10249 del 26/4/2017).
Occorre altresì considerare, come già ricordato, che anche un solo indizio può risultare già di per sé idoneo a giustificare la pretesa fiscale, se grave e preciso (Cass., n.8605 del 28/4/2015), ovvero dotato dell’alta valenza probabilistica connessa alla provenienza interna dei dati bancari (Cass., n.9760 del 13/5/2015).
La CTR non è quindi incorsa nella denunciata violazione di legge, avendo fatto corretto uso dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, operando una valutazione della scheda e delle attività di riscontro operate dall’ufficio fiscale in ordine alla titolarità del conto e alle movimentazioni dello stesso riferibili a M. e S. Mohebban.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorso proposto da M.M. va rigettato, con compensazione delle spese in relazione alla peculiarità della vicenda ed al progressivo dispiegarsi dei principi espressi da questa Corte in materia.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi proposti da M.M. e M.S.
Dichiara l’estinzione parziale del giudizio con riguardo al ricorso proposto da M.S., compensando integralmente le spese fra detta ricorrente e l’Agenzia delle entrate.
Rigetta il ricorso proposto da M.M. e compensa le spese fra le parti.
Dà atto a carico del solo M.M., ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del d.P.R. n.115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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