CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 settembre 2020, n. 19497
Accertamento – Maggior reddito imputato al contribuente – Accertamenti bancari – Riferibilità all’attività economica del contribuente – Ammissibilità
Rilevato che
L.B. propose ricorso, innanzi alla C.T.P. di Napoli, avverso l’avviso di accertamento notificatogli per riprese afferenti ad IRPEF, I.R.A.P. e maggiore addizionale regionale e comunale relative all’anno di imposta 2006, in conseguenza del maggior reddito imputatogli dall’Agenzia delle Entrate sulla base degli accertamenti bancari compiuti nei propri confronti;
che la C.T.P. di Napoli, con sentenza n. 731/44/11, depositata il 16.11.2011, accolse il ricorso;
che avverso tale decisione l’AGENZIA DELLE ENTRATE propose appello innanzi alla C.T.R. della Campania la quale, con sentenza n. 224/34/2013, depositata il 20.6.2013, accolse il gravame, rilevando – per quanto in questa sede ancora interessa – come (a) i dati raccolti dall’Ufficio tramite accertamenti bancari fossero pienamente utilizzabili, (b) correttamente l’Ufficio, in difetto di una prova contraria, avesse considerato, ai fini della ricostruzione del reddito, anche versamenti ed uscite emergenti dal conto corrente e (c) altrettanto correttamente il B. era stato considerato dall’Ufficio soggetto passivo ai fini dell’I.R.A.P.; che avverso tale decisione il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; si è costituita, con controricorso, I’AGENZIA DELLE ENTRATE;
Considerato che
Con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 5 e 3, cod. proc. civ.) dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché della violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51, comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633 del 1972, per essere “la sentenza emessa dalla CTR […] deI tutto viziata per insufficiente e carente motivazione” (cfr. ricorso, p. 4, sub I, prime due righe); che il motivo è inammissibile.
che questa Corte, in relazione ad analoga difesa svolta dal medesimo B., sia pure con riferimento a ripresa concernente diversa annualità, ha già evidenziato (cfr. Cass., 18.1.2017, n. 1136) che la censura, sì come formulata, non solo è carente di specificità (cfr. l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), non avendo il ricorrente dimostrato (o allegato alcunché all’affermazione) di aver invano richiesto l’accesso alla (propria) documentazione bancaria (il riferimento contenuto nel ricorso, alla pag. 5, cpv., secondo periodo, è del tutto generico in proposito, facendosi riferimento ad allegati prodotti nei precedenti gradi di giudizio, di cui non è riportato il contenuto), ma neppure è argomentata la decisività di tale circostanza ai fini della decisione;
che con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 51, comma 2, n. 2), del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 7 della I. n. 212 del 2000: in particolare, sì afferma, “la sentenza impugnata risulta viziata per difetto di motivazione perché nulla dice in ordine alla legittimità dell’accertamento come eseguito e riportato nell’atto di accertamento, difatti la CTR si fonda unicamente sulla documentazione bancaria ad essa pervenuta e sull’applicabilità dell’art. 51 c. 2 DPR 633/72 e art. 32 c. 1 DPR 600/73” (cfr. ricorso, p. 6, sub II, cpv.);
che con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione dell’art. 53 Cost., del principio di capacità contributiva, del divieto di doppia presunzione, nonché l’inammissibilità del ricorso alla presunzione legale, per avere la C.T.R. considerato ricavi da recuperare a tassazione non solo i versamenti ma anche i prelievi non giustificati dai conti correnti;
che i motivi – da esaminare congiuntamente, stante l’identità delle questioni agli stessi sottese – sono fondati; che premesso che il motivo impropriamente sovrappone il vizio di omessa motivazione e quello di violazione di legge, osserva il Collegio che la sentenza impugnata – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del B. – dà compiutamente atto delle ragioni per cui i giudici di secondo grado hanno ritenuto legittimi gli accertamenti bancari sottesi all’avviso di accertamento impugnato e, conseguentemente, corretta la rideterminazione del reddito del contribuente operata dall’Ufficio (cfr. pp. 4, ult. cpv. e 5, sub § 2.1 della motivazione): in specie, i giudici di appello hanno ritenuto operante, con riferimento a tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, sia in accredito che – per quanto in questa sede interessa – in addebito, la presunzione di loro riferibilità all’attività economica del contribuente medesimo, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Sennonché, nel decidere in tal senso, la C.T.R. non si è attenuta al principio, consolidatosi a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014, in base al quale, in tema d’imposte sui redditi, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, 16.11.2018, n. 29572, Rv. 651421-01), con esclusione, dunque, di quei soggetti che, come il B. (svolgente la professione di avvocato) siano titolari di reddito da lavoro autonomo. Con la conseguenza ulteriore che ne discende per cui, non operando alcuna presunzione legale (relativa), l’amministrazione è onerata della prova della riconducibilità dei prelevamenti dai conti correnti del contribuente alla propria attività libero professionale;
che con il quarto motivo, infine, parte ricorrente di suole (in relazione all’art 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) della violazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, per avere la C.T.R. errato nel ritenere il1 contribuente assoggettabile ad I.R.A.P., non sussistendo un’autonoma organizzazione di lavoro attorno ad esso professionista; che anche tale motivo è infondato;
che la C.T.R. ha dedotto l’assoggettabilità del B. all’IRAP sulla scorta dell’esposizione, nel rigo RE 12 del quadro RE del modello Unico 2007 e nel quadro AU della dichiarazione mod. 770, della corresponsione “terzi [di] compensi per prestazioni direttamente afferenti l’attività professionale” (cfr. sentenza, p. 5, ultimo cpv.). La valutazione – come già evidenziato in relazione ad analoga ripresa cui il B. è stato sottoposto in relazione ad altra annualità (Cfr. Cass., 18.1.2017, n. 1136, cit.) – appare corretta, sulla scorta della più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass., Sez. U, 10.5.2016, n. 9451) e del fatto che l’esercizio di una professione liberale, anche a scopo puramente collaborativo e senza un formale rapporto di associazione (tale sarebbe, nella stessa prospettazione di parte ricorrente, l’apporto recato dal proprio commercialista per attività di consulenza, nonché in modo sporadico ed occasionale, dalla propria moglie. Cfr. ricorso, pp. 10-11), è indice sintomatico di una struttura organizzativa autonoma, stante il presumibile intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio;
Ritenuto, in conclusione, che il ricorso debba essere accolto limitatamente al secondo ed al terzo motivo, con cassazione della gravata decisione e rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, affinché decida la controversia attenendosi ai principi esposti in precedenza avuto riguardo al riparto dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente e liquidi, altresì, le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso limitatamente al secondo e terzo motivo. Per l’effetto, cassa la gravata decisione e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, affinché decida la controversia e liquidi, altresì, le spese del presente giudizio di legittimità.
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