CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 agosto 2020, n. 17368
Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Documentazione giustificativa proveniente da terzi – Documentazione prodotta tardivamente – Utilizzabilità in sede amministrativa o contenziosa
Ritenuto che
L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29/09/1973 n. 600, nei confronti di D.O.M., anche in relazione ai finanziamenti effettuati alla F.P. s.r.l., nell’anno 2006, per la somma di € 440.000,00, poi oggetto di rinuncia, con successivo aumento di capitale per il medesimo importo, con accertamento di un reddito maggiore di € 117.306,76, di cui € 94.666,60, pari a 1/5 degli incrementi patrimoniali accertati relativi agli anni 2006-2010 (pari ad € 473.333,00) e la somma residua per il possesso di autoveicoli ed immobili.
Nella motivazione dell’avviso di accertamento si dava atto che il contribuente aveva ricevuto altro avviso di accertamento, per l’annualità 2004, in mancanza di documentazione comprovante il rapporto fiduciario; che, per l’annualità 2006, il contribuente, dopo aver ricevuto la richiesta di esibizione di documenti, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 29/09/1973 n. 600, entro il termine del 30/10/2009, aveva prodotto in ritardo la documentazione attestante il ruolo di mero “fiduciario”, svolto dallo stesso, con copia della documentazione contabile attestante il versamento delle somme provenienti dalla società “P.P.” s.r.l.
La Commissione tributaria provinciale, escludendo la colpa del contribuente nel ritardo, per dimostrare la «tracciabilità del finanziamento de quo in modo inequivoco, esaustivo ed inconfutabile» e, quindi, ritenendo provato che i versamenti sul conto di F.P. s.l. fossero avvenuti «con soldi non del ricorrente ma della P.P. s.r.l. e dalla C.I. s.r.l.», accoglieva il ricorso in relazione all’accertamento del reddito in base agli incrementi patrimoniali, dichiarando l’acquiescenza del ricorrente in ordine alla determinazione del reddito (per euro 22.640,16) sulla base degli indicatori rappresentati dall’autovettura e dall’abitazione.
La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, confermando la motivazione della sentenza di prime cure, motivando, quanto all’eccepita inutilizzabilità della documentazione giustificativa prodotta tardivamente, che il contribuente aveva adempiuto alla domanda del l’Ufficio «esibendo la documentazione non appena ne ha avuto la disponibilità, provenendo la stessa da terza persona».
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso il contribuente.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, – così rubricato: «Insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.» – l’Agenzia delle entrate si duole dell’insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso che il dott. D.O.M., nell’effettuare versamenti sul conto della “F.P.” s.r.l., a titolo di finanziamento soci, ha agito quale fiduciario dei fratelli C. – proprietari delle quote della società “P.P.” s.r.l. – e che i documenti prodotti dal contribuente, in quanto provenienti da “terza persona”, erano utilizzabili in giudizio, nonostante il contribuente D.O.M. li avesse prodotti oltre il termine del 30/10/2009 concesso dall’Ufficio a tale scopo, come comprovato dal verbale di contraddittorio del 02/10/2009. La ricorrente assume che la dichiarazione rilasciata dal terzo, sig. R.C., datata 16/11/2009 e prodotta oltre il termine indicato in sede di contraddittorio (18/11/2009), attesta che il M. ha operato come “fiduciario” per suo conto e per la società “P.P.” s.r.l., mentre la dichiarazione prodotta nei termini (17/09/2009) riguarda il sig. L.G., con riferimento alle società “P.C.” s.r.l. e “B.A.” s.r.l., quindi, diverse da quelle in esame. In buona sostanza, secondo l’assunto della difesa erariale, i secondi giudici avrebbero fornito una motivazione inadeguata in relazione al fatto decisivo e controverso che solo nel successivo contraddittorio del 18/11/2009 e, quindi, in epoca successiva al termine del 30/10/2009 e dopo aver dichiarato di non essere in grado di produrre ulteriore documentazione, il contribuente ha depositato la dichiarazione rilasciata dal sig. C. con la quale faceva presente che il M. avrebbe agito esclusivamente per suo conto e per la società “P.P.” s.r.l. e che, invece, solo nel contraddittorio dell’11.03.2010, esibiva ulteriore documentazione (copia del mandato fiduciario; copia di cinque avvisi di parcella, copia di cinque lettere di rinvio di pagamento; copia di lettera di incarico professionale, copia degli estratti conto di marzo ed aprile 2004 della Banca Antonveneta, presso cui operava la “P.P. s.r.l.”). Secondo l’assunto dell’Amministrazione erariale, dunque, tale ritardo non avrebbe potuto essere giustificato dalla Commissione regionale con la circostanza che la documentazione proveniva da terzi e quindi non era esigibile nel termine concesso dall’Amministrazione, in quanto il contribuente era parte del rapporto di mandato fiduciario, dovendo avere copia dello stesso.
2. Con il secondo mezzo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. 31/12/1992 n. 546 e dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto, da un lato, le dichiarazioni dei terzi costituiscono meri indizi e possono costituire prova presuntiva solo in presenza di ulteriori elementi a conforto mancanti nella specie e, dall’altro, i documenti prodotti successivamente al termine concesso dall’Ufficio non sono utilizzabili né in sede amministrativa né contenziosa.
3. Con il terzo motivo di ricorso, l’amministrazione finanziaria deduce nuovamente il vizio di omessa o comunque insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., avendo la Commissione regionale fondato la sua decisione solo sulle dichiarazioni del sig. G. e del sig. C., senza alcun altro elemento indiziario a conforto. In particolare, assume che nonostante le specifiche censure avanzate con l’atto di appello (debitamente riportate in ricorso, pagg. 31-34), la Commissione regionale si è limitata a ritenere «documentalmente provato che i versamenti effettuati a titolo di finanziamento soci dal contribuente sono avvenuti con denaro di proprietà di terzi, avendo egli agito quale fiduciario»; assume, altresì, che non erano state spiegate le ragioni per cui la “P.P.” s.r.l. avesse effettuato finanziamenti alla “F.P.” s.r.l., in assenza di una delibera assembleare, in assenza di una sottoscrizione da parte del M., di una data certa del mandato, in mancanza di qualsiasi giustificazione dei compensi percepiti, nonché in quanto i documenti bancari erano parziali, oltre che riferibili ad altri rapporti tra le due società.
Va evidenziato che questa Sezione, con l’ordinanza n. 8645 del 29/03/2019, ha già deciso la controversia, recante il numero di ruolo generale 6308/2013, pendente tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto del presente giudizio, seppur con riguardo a diversa annualità, riguardante l’anno 2005. Data l’identità dei soggetti e dell’oggetto tra le due controversie, non v’è motivo di discostarsi dalla precedente pronuncia resa da questa Corte, che ha concluso per il rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate.
Ciò posto, i tre motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente in quanto frammentazioni di una stessa censura, sono infondati.
La motivazione della sentenza qui impugnata, per quanto sintetica, esprime chiaramente l’iter logico-giuridico che ha portato alla decisione di rigetto dell’appello, basata, essenzialmente, sull’idoneità della documentazione che si trovava nella disponibilità dei terzi ad attestare il versamento da parte della “P.P.” s.r.l., e non di D.O.M., delle somme, destinate poi all’aumento di capitale della “F.P.” s.r.l.
Il ragionamento seguito dalla Commissione regionale, oltre ad essere adeguatamente motivato, è anche corretto in quanto risulta in linea con i principi espressi in materia da questa Corte in tema di accertamento fiscale e degli obblighi di informativa conseguenti all’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29/09/1973, n. 600. Ed invero, inviato il questionario – che assolve la funzione di assicurare, in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni – è necessario che l’Amministrazione, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse; trattandosi di obblighi cd. “di informativa”, conseguenti ai doveri di correttezza e collaborazione, grava sull’Amministrazione l’onere di provare il rispetto di tale sequenza procedimentale (costituita dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza), senza che sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 22126 del 27/09/2013, Rv. 628934-01).
Dal rispetto di tali obblighi informativi la prima conseguenza che ne discende è che l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa e non trova applicazione l’art. 58, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10489 del 14/05/2014, Rv. 630815-01).
Tuttavia, laddove tale obbligo è stato rispettato ed in virtù della sua reciprocità, che impone alle parti la diligenza nell’informare l’altra parte e nell’informarsi circa le situazioni rilevanti del rapporto giuridico, l’eventuale dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, non sempre preclude, a norma dell’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa. Ed invero, tale preclusione si verifica solo laddove vi sia stata da parte del contribuente una dichiarazione mendace e dolosa e, cioè, diretta ad impedire l’ispezione documentale in violazione dei richiamati principi di lealtà e correttezza (cfr. Sez. 5, Sentenza, n. 227439/11/2016; Sez. Un., n. 45 del 25/02/2000); viceversa, in virtù degli stessi principi, il contribuente può sempre contrastare efficacemente i risultati dell’accertamento induttivo con la produzione in giudizio dei documenti che non era stato in grado di esibire in precedenza per causa a lui non imputabile (forza maggiore, fatto del terzo, caso fortuito).
Ne consegue che, qualora i documenti provengano dal terzo, la cui condotta di consegna non è pretendibile nei tempi fissati dall’Amministrazione, non è imputabile al contribuente la relativa preclusione e, quindi, la successiva inutilizzabilità dei documenti, tranne l’ipotesi in cui il terzo sia, in realtà, un ausiliare del contribuente (art. 1228 cod.civ.) (in termini, cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 8645 del 28/03/2019).
La Commissione regionale, quindi, ha motivato correttamente con riferimento alla giustificazione della condotta del contribuente che ha depositato in ritardo gli estratti conto bancari, poiché gli stessi erano nella disponibilità di società terze; tale motivazione risulta sufficiente e corretta in relazione all’ulteriore e fondamentale argomentazione che in base alla documentazione proveniente dai terzi e prodotta in sede precontenziosa dal contribuente vi era la
prova che il denaro destinato all’aumento di capitale della “F. s.r.l.” è giunto dal conto corrente delle società “P.P. s.r.l.”, oltre che dalla “C.I. s.r.l” di C.U., ma non di D.O.M., tanto è vero che il contribuente nel controricorso indica analiticamente ogni assegno destinato all’aumento di capitale di provenienza proprio delle due società indicate (v. pag. 13 del controricorso).
Il ricorso va dunque integralmente rigettato.
Per il principio della soccombenza, le spese del giudizio vanno poste a carico dell’Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.
Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo, trattandosi di amministrazione pubblica ammessa a prenotazione a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del contribuente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 5.000,00, oltre accessori di legge e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 15 %, oltre € 200,00 per esborsi.
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