CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 agosto 2022, n. 24985
Rapporto di lavoro – Dimissioni per giusta causa – Mancato pagamento delle retribuzioni – Fallimento della società – Pagamento delle quote di TFR maturate
Svolgimento del processo
Con ricorso in opposizione allo stato passivo ex art. 98 I.f. depositato il 25 febbraio 2016 G.A. ha convenuto presso il Tribunale di Napoli la Curatela del Fallimento L.V. srl per sentire ammettere, in via privilegiata, al passivo del fallimento stesso il suo credito di C 45.211,26, quale differenza tra l’importo oggetto di richiesta di insinuazione al passivo ai sensi dell’art. 93 l.f. e quello già ammesso, ovvero la diversa somma ritenuta dal Tribunale stesso.
Il ricorrente ha premesso che:
– aveva lavorato alle dipendenze della società fallita dal 10 agosto 1987 al 10 aprile 2015, data in cui il rapporto era cessato a seguito di dimissioni per giusta causa, considerato il mancato pagamento delle retribuzioni da ottobre 2014 ad aprile 2015;
– il giudice delegato aveva ammesso il credito azionato per il minore importo di C 13.889,29.
La Curatela del Fallimento L.V. srl si è costituita e ha eccepito che:
– l’importo di C 16.561,04, relativo alle retribuzioni asseritamente non versate, era stato pagato al lavoratore;
– la somma di C 28.763,98, richiesta a titolo di TFR avrebbe dovuto essere domandata al Fondo di Tesoreria INPS, trattandosi di TFR maturato dopo il 2006 e, quindi, destinato al Fondo medesimo.
Il Tribunale di Napoli, con decreto n. 2167/2016, ha accolto integralmente il ricorso.
La Curatela del Fallimento L.V. srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
G.A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con un unico motivo il Fallimento L.V. srl lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 755 ss., legge n. 296 del 2006 istitutiva del Fondo tesoreria INPS, e dell’art. 2116 c.c. poiché il Tribunale di Napoli avrebbe dovuto tenere conto che le quote di TFR oggetto di causa avrebbero dovuto essere versate per legge al Fondo tesoreria dell’INPS. Pertanto, il lavoratore avrebbe dovuto chiedere dette quote al menzionato Fondo il quale, poi, avrebbe potuto insinuarsi al passivo fallimentare.
Il Tribunale di Napoli, quindi, avrebbe dovuto affermare che G.A. non era legittimato ad insinuarsi al passivo fallimentare con riferimento agli importi a lui spettanti a titolo dì – TFR.
La doglianza è infondata.
Questa Corte ha, infatti, già stabilito (Cass., Sez. 1, n. 24510 del 10 settembre 2021; Cass., Sez. L, n. 9119 del 2 aprile del 2019, non massimata) che, anche dopo la modifica della disciplina del TFR, nel nuovo e più composito panorama normativo (che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS e la possibilità per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare) il TFR costituisce a tutti gli effetti un credito del lavoratore, la cui esigibilità è subordinata alla cessazione del rapporto.
Ne consegue che le quote accantonate del TFR, tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’INPS ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, divenendo il relativo credito esigibile alla cessazione del rapporto di lavoro (Cass., Sez. 6-3, n. 19708 del 25 luglio 2018).
Pertanto, il lavoratore è legittimato a domandare l’ammissione per le quote di TFR maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’INPS (o al fondo complementare) poiché il datore di lavoro non è un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarità passiva dell’obbligazione di corrispondere il TFR stesso. Ciò in quanto “le disposizioni in esame delineano un sistema in cui l’intervento del Fondo, nei casi in cui è previsto, dà luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtù del quale: a) il primo è obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo è tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 cod. civ., nei limiti della quota maturata a decorre dall’i gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del TFR è affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali” (Cass., Sez. 1, n. 12009 del 16 maggio 2018).
Coerentemente con questa ricostruzione, si è pure sostenuto (Cass., Sez. L., n. 11536 del 2 maggio 2019) che, in tema di pagamento delle quote di TFR maturate dopo il 10 gennaio 2007, non sussiste il relativo obbligo da parte del Fondo Tesoreria dello Stato, gestito dall’INPS, ove il datore di lavoro-appaltatore o il committente, obbligato solidale ex lege, non provino l’avvenuto versamento al Fondo, da parte di uno di essi, delle dette quote (nella specie, questa circostanza è stata esclusa dal Tribunale di Napoli).
2) Il ricorso è respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (Cass., Sez. 6-L, n. 1778 del 29 gennaio 2016), se dovuto.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente a rifondere al controricorrente spese di lite, che liquida in C 4.00000 per compenso ed C 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
– ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.