CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 aprile 2019, n. 11073
Tributi locali – ICI – Accertamento – Riscossione – Valori di riferimento delle aree fabbricabili – Determinazione con delibera della giunta municipale
Ritenuto in fatto
T. L., con ricorso proposto innanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, contestava l’avviso di accertamento emesso dalla Società Tre Esse Italia la quale, per conto del Comune di Fiuggi, aveva richiesto il pagamento della maggiore imposta I.C.I. accertata, relativa al terreno censito in Catasto al foglio 29, particella n. 229, il cui valore imponibile era stato elevato da € 53.363,00 ad € 197.089,20.
Il ricorrente precisava che il tale terreno era soggetto a vincoli perenni ambientali e, pertanto, non poteva essere ricompreso nell’elenco delle aree edificabili, con la valutazione eseguita dall’Ufficio Tecnico Comunale ai fini dell’imposta I.C.I.
Sosteneva che sul detto terreno, esteso per una superficie di mq. 7.560, pur ricadendo in zona di espansione, si poteva realizzare solamente un fabbricato per una volumetria massima di me 771,00, sicché lo stesso aveva, a suo dire, un valore di mercato di € 63.000,00, di gran lunga inferiore a quello indicato nell’atto impugnato.
La Società Tre Esse Italia non si costituiva in giudizio.
All’esito al giudizio di primo grado, la Commissione Tributaria provinciale di Frosinone annullava l’avviso di accertamento impugnato, osservando che, essendo l’area in oggetto inserita nell’ambito della zona di rispetto del “Piano Celico”, ove era possibile realizzare una nuova area impermeabilizzata (edifici) per un massimo del 20% di quella realizzabile in assenza di vincoli, il valore venale della stessa fosse notevolmente inferiore a quello riportato nell’avviso proprio in presenza dei vincoli ambientali.
Con ricorso in appello, la Società Tre Esse Italia denunciavo la nullità della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.lgs. 504/1992, ribadendo l’efficacia probatoria del certificato di destinazione urbanistica e della relativa relazione tecnica.
Con atto di controdeduzioni, il T. si costituiva in giudizio, precisando che <<quello che il ricorrente ha voluto significare nel suo ricorso è non già l’inedificabilità dell’area, ma l’impossibilità, considerati proprio i “limiti all’utilizzazione dei suoli”, cui fa cenno lo stesso responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune nella sua nota prot. 3150/R del 21/05/2010 inopportunamente citata da parte appellante, di applicare al terreno sito nella zona del “Piano Celico” la valutazione standardizzata prevista per i terreni del Comune di Fiuggi evidentemente liberi da vincolo>>.
Infine, segnalava che il procedimento di valutazione standardizzato adottato era illegittimo, perché approvato con delibera della Giunta Comunale di Fiuggi del 29/04/2009 con effetto retroattivo alle annualità precedenti a partire dal 2003.
Con sentenza dell’1.4.2016, la C.T.R. Lazio accoglieva l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:
1) la pronuncia di primo grado non era affetta dal vizio di “motivazione inesistente”, esprimendo una chiara valutazione degli argomenti, offerti dalle parti e ritenendo prevalente la circostanza che i terreni in oggetto fossero inclusi in una zona di rispetto che implicava delle limitazioni allo ius aedificandi;
2) premesso che con la deliberazione della Giunta comunale n. 101, in data 29 aprile 2009, il Comune di Fiuggi aveva provveduto alla “Determinazione di Stima del Valore di Mercato di aree fabbricabili ai fini dell’applicazione dell’Imposta Comunale sugli immobili” sulla base della “Relazione di stima del valore venale di mercato delle aree fabbricabili ai fini dell’Imposta Comunale sugli Immobili per gli anni 2003 – 2004 – 2005 – 2006 – 2007 – 2008, predisposta dall’Ufficio Tecnico comunale” e che, con nota prot. UT/10 del 9 febbraio 2010, il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Fiuggi, ing. R. R., aveva certificato che “il lotto di terreno sito in Fiuggi, località Via Calano, censito in catasto al foglio 29, particella 229t ricade, secondo il P.R.G., approvato dalla Regione Lazio con delibera n. 4247 del20/11/1974 in zona di tipo C2 con i.e.t. di mc/mq. 0,50”, dal confronto dei due atti emergeva che la “zona C2” era l’area del territorio comunale con il minore indice di edificabilità, nella misura di 0,5 e che per la medesima zona era stato determinato il valore venale più basso per le singole annualità;
3) infine, nel procedimento di determinazione dei valori, erano stati tenuti in considerazione eventuali “limiti specifici, quali per esempio, i vincoli di specie, che effettivamente incidono sui valore venale dell’area”.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T. L., sulla base di un solo motivo. La Tre Esse Italia s.r.l., quale concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’ICI nel Comune di Fiuggi, non ha svolto difese.
Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 52 d.lgs. n. 446/1997, 3 I. 27.7.2000 n. 212), 11, co. 1, preleggi e 5, co. 5, d.lgs. n. 504/1992, per aver la CTR ritenuto corretto porre a fondamento della determinazione del valore di mercato dell’area fabbricabile di sua proprietà la deliberazione della Giunta del Comune di Fiuggi n. 101 del 29.4.2009, nonostante la stessa fosse successiva rispetto all’anno di imposta (2004) oggetto dell’avviso di accertamento, laddove avrebbe dovuto valutare la congruità del valore sulla base delle prescrizioni generali contenute nell’art. 5, co. 5, del d.lgs. n. 504/1992.
1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
E’ inammissibile atteso che il ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex pturimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.
Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).
In definitiva, a ben vedere, il ricorrente sollecita una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita nella presente sede.
1.2. Il motivo è altresì infondato, atteso che, sebbene la deliberazione della Giunta comunale n. 101 del 29.4.2009 e la nota prot. UT/10 del 9.2.2010 siano successive rispetto all’anno di imposta in esame (2004), la prima, previa suddivisione del territorio comunale in 5 zone (suddivisione non contestata quanto alla correttezza), ha determinato ‘ora per allora il valore venale medio delle varie tipologie di aree, prendendo in considerazione parametri oggettivi (tra i quali la presenza di vincoli che effettivamente potessero incidere sul detto valore) che comunque rappresentano un’applicazione concreta delle prescrizioni generali contenute nell’art. 5, co. 5, del d.lgs. n. 504/1992, invocato dal contribuente; la seconda, invece, si è limitata ad inquadrare il lotto di terreno nella zona di tipo C2 (vale a dire, nell’area del territorio comunale con il minore indice di edificabilità, tenendo presente che il cespite era inserito in un’area di rispetto; circostanza non contestata), con conseguente individuazione di un indice di edificabilità nella misura dello 0,5.
In quest’ottica, questa Corte in passato ha condivisibilmente affermato che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi dell’art. 52 della legge n. 446 del 1997, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dall’art. 59, lett. g), della legge n. 446 cit. e riassegnato alla giunta dal d.lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Sez. 5, Sentenza n. 15555 del 30/06/2010), per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Sez. 5, Sentenza n. 5068 del 13/03/2015).
Del resto, non si è al cospetto di un’applicazione retroattiva (delibera del 2009 per l’annualità 2004 oggetto di causa), ma di una prova indiziaria utilizzata nell’ambito di un ragionamento probatorio che può essere contrastato dal contribuente provando che non ha condotto in concreto alla corretta individuazione del valore venale secondo i criteri di cui all’art. 5 d.lgs. 540 del 1992.
Invero, in tema di imposta comunale sugli immobili, le norme del regolamento previsto dall’art. 59, comma primo, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, adottato a norma del precedente art. 52, con il quale i comuni possono, tra l’altro, “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune” (lettera g), possono essere legittimamente utilizzate dal giudice, anche facendo riferimento al valore delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, ,1 al fine di acquisire elementi di giudizio anche in relazione a periodi anteriori a quelli di emanazione del regolamento stesso, senza che ciò comporti alcuna applicazione retroattiva di norme, ma solo l’applicazione di un ragionamento presuntivo. Tali regolamenti non hanno infatti natura propriamente imperativa, ma svolgono funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, previsti dagli artt. 62-bis e 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Sez. 5, Sentenza n. 11171 del 07/05/2010).
In definitiva, è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza degli artt. 52 e 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, e 48 del d.lgs. n. 267 del 2000, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15312 del 12/06/2018).
Non corrisponde, infine, al vero la doglianza secondo cui l’avviso di accertamento non avrebbe preso in considerazione i concreti vincoli di utilizzabilità cui è sottoposta l’area in oggetto, se solo si considera che la CTR ha espressamente rilevato (pag. 6 della sentenza impugnata) che nel procedimento di determinazione dei valori venali erano stati tenuti in debito conto “limiti specifici, quali per esempio, i vincoli di specie, che effettivamente incidono sul valore venale dell’area”.
2. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 550,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02.
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