CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 aprile 2019, n. 11087
Tributi – IRPEG – Rimborso della maggiore imposta versata per effetto della mancata deudzione dell’IRAP – Rimborso parziale – Deducibilità forfetizzata – Legittimità
Ritenuto che
la M. F. s.r.l. propose ricorso avverso il silenzio rifiuto, opposto dall’Ufficio, alla domanda di rimborso, presentata il 23.12.2004, della maggiore IRPEG assolta dal 1998 al 2003 a causa dell’indeducibilità dell’IRAP dall’IRPEG, ritenuta illegittima dalla contribuente;
la Commissione tributaria di prima istanza dichiarò il ricorso inammissibile in relazione ai versamenti effettuati anteriormente alla data del 24.12.2000, accogliendo l’eccezione di decadenza sollevata dall’Agenzia delle entrate, e, per le annualità successive, accolse il ricorso disponendo il rimborso del 10% delle somme originariamente richieste, ai sensi dell’art. 6, co. 2, del d.l. n. 185/2008;
la decisione, appellata dalla Società e, in via incidentale, dall’Agenzia delle Entrate (in relazione all’inammissibilità dell’istanza di rimborso, relativamente alle annualità dal 1998 al 2002 per le quali la Società si era avvalsa del condono ex art. 9 della Legge n. 289/2002), veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (d’ora in poi C.T.R.) la quale dichiarava dovuto il rimborso richiesto per gli anni 2001 e 2003 e non dovuti i rimborsi per gli anni precedenti, come deciso dai primi giudici; il Giudice di appello, dato atto della pronuncia, resa in materia, dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 232/2012 e dello ius superveniens costituito dall’art. 2 d.l. n. 210/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, riteneva che l’indeducibilità dell’IRAP dall’IRES, o la sua deducibilità forfetizzata, apparivano del tutto arbitrarie, considerato che il tema dibattuto non concerne la deduzione di una quota IRAP ma di una quota delle spese per prestazioni di lavoro;
per la cassazione della sentenza ricorre, su tre motivi, l’Agenzia delle Entrate;
M.F. s.r.l. resiste con controricorso.
Considerato che
con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione di legge, perpetrata dalla C.T.R. laddove, nel considerare l’indeducibilità dell’IRAP dall’IRES arbitraria, aveva fornito un’interpretazione della normativa di riferimento in aperto contrasto con il dettato normativo;
la censura è fondata. L’intervento della Corte Costituzionale, cui fa riferimento la Commissione regionale, nella sentenza impugnata, nel ritenere concluse le alterne vicende sulle disposizioni legislative sulla deducibilità dell’IRAP dalle imposte sui redditi, succedutesi nel tempo, è costituito dall’ordinanza n. 232/2012, con la quale il Giudice delle leggi, rilevata la sopravvenienza dell’ius superveniens, costituito dall’art. 2 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, incidente sulle norme censurate dalle ordinanze di remissione, si è limitato a restituire gli atti alle Commissioni remittenti, affinché operino una nuova valutazione della perdurante rilevanza della questione;
tale dictum era, ovviamente, rivolto alle sole Commissioni tributarie remittenti e non concerne l’attuale giudizio ma, ciò malgrado, la C.T.R., con la sentenza impugnata, ha illegittimamente ritenuto, in adempimento alle indicazioni date dai Giudici costituzionali, di operare un giudizio di valutazione dell’operato del legislatore, definendolo arbitrario, giungendo, cosi, in definitiva ad una disapplicazione del dettato normativo;
la norma sopravvenuta (di cui dà atto la Corte Costituzionale e la C.T.R.) è costituita dall’art. 2 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 2, convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, il quale prevede, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, la deducibilità, ai sensi dell’articolo 99 comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997;
il comma 1 quater del citato art.2 (inserito dall’art. 4, comma 12, del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16) prevede, poi, che «in relazione a quanto disposto al comma 1 e tenuto conto di quanto previsto dai commi da 2 a 4 dell’art. 6 del citato-decreto legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui all’art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, nonché ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo;
a tale, limitata, portata retroattiva fa riferimento la Corte Costituzionale nel restituire gli atti alle Commissioni tributarie remittenti, affinché valutino la persistente rilevanza della questione;
dal mero tenore testuale della disposizione di legge, è, allora, evidente l’errore in cui è incorsa la Commissione regionale, nell’avere riconosciuto l’integrale deducibilità dell’IRAP dall’IRPEG, atteso che non rientrando le istanze di rimborso per cui è causa, siccome relative all’IRPEG versata negli anni dal 1998 al 2003, nella previsione di limitata “retroattività” dello ius superveniens, alla fattispecie era ancora applicabile il disposto dell’art. 6 del d.l. n. 185/2008 il quale prevedeva che:
“1. a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 99; comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997.
2. In relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008, per i quali è stata comunque presentata, entro il termine di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’IRAP riferita agli interessi passivi ed oneri assimilati ovvero alle spese per il personale dipendente e assimilato, i contribuenti hanno diritto, con le modalità e nei limiti stabiliti al comma 4, al rimborso per una somma fino ad un massimo del 10 per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfetariamente ai suddetti interessi e spese per il personale, come determinata ai sensi del comma 1.
3. I contribuenti che alla data di entrata in vigore del presente decreto non hanno presentato domanda hanno diritto al rimborso previa presentazione di istanza all’Agenzia delle entrate, esclusivamente in via telematica, qualora sia ancora pendente il termine di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
4. Il rimborso di cui al comma 2 è eseguito secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze di cui ai commi 2 e 3, nel rispetto dei limiti di spesa pari a 100 milioni di euro per l’anno 2009, 500 milioni di euro per il 2010 e a 400 milioni di euro per l’anno 2011. Ai fini dell’eventuale completamento dei rimborsi, si provvederà all’integrazione delle risorse con successivi provvedimenti legislativi. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze ed ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo;
la C.T.R., confondendo i piani della questione, ha malamente interpretato le ragioni della restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale alle Commissioni remittenti, strettamente concernenti quei giudizi, come un generale mandato ai Giudici di merito di operare essi stessi una valutazione di legittimità della norma;
le ragioni, illegittimamente poste dal Giudice di merito a fondamento del suo convincimento e che avrebbero dovuto formare, al più, oggetto di remissione della questione di legittimità alla Corte Costituzionale, non sono, peraltro, neppure corrette laddove, da un canto, in tema di imposte dirette la legge, in generale, ha sempre tendenzialmente escluso la deducibilità dall’imponibile di oneri di natura fiscale e, dall’altro, solo il legislatore può discrezionalmente regolare la materia degli oneri deducibili, in particolare di natura fiscale;
la legittimità dell’esercizio di potere ampiamente discrezionale del legislatore, nella disciplina agevolativa, è, infatti, reiteratamente, ribadita dalla Corte Costituzionale – la quale ha affermato che «norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001; sentenze n.ri 117 del 2017 e 17 del 2018)- e dalla Corte EDU secondo cui la materia dell’imposizione fiscale fa parte del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica (Ferrazzini c. Italia, 12 luglio 2011,) con vasta discrezionalità entro i confini di riserva di legge (James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, conf. Spack c. Rep. Ceca) e ragionevole finanza pubblica (National & pro vincial building society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997);
va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto, cui si adeguerà, in sede di rinvio, il Giudice del merito:”premesso che la disciplina introdotta dall’art. 2 d.l. n. 210/2011 trova applicazione limitata ai rimborsi relativi ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto fosse ancora pendente il termine di cui all’art. 38 d.p.r. n.602/1973, resta ferma la disciplina dettata dall’art.6 d.l. n. 115/2008, in relazione ai periodi di imposta per i quali sia stata comunque presentata, entro il termine di cui al precitato art.38, istanza per il rimborso, il cui ammontare è dovuto per una somma fino ad un massimo del 10 per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfetariamente a interessi e spese per il personale“;
con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per non essersi la C.T.R. pronunciata sull’appello incidentale dell’Ufficio, relativo all’inammissibilità della domanda di rimborso, ad eccezione dell’annualità 2003, in quanto la Società si era avvalsa del condono, ovvero per non avere esplicitato le ragioni che l’avevano condotta al rigetto. Si deduce, altresì, violazione di legge (art. 9 legge n. 289/2002) essendo pacifico che, trattandosi di richiesta del rimborso dell’IRPEG per annualità (dal 1998 al 2002) coperte dal condono tombale, tali domande erano inammissibili;
è fondata la censura attinente al vizio di omessa motivazione. La C.T.R., invero, ha fatto corretta applicazione della norma invocata riconoscendo che, per le annualità pregresse, la domanda di rimborso fosse inammissibile avendo la Società aderito al condono, ex art.9 della legge n.289/2002; pronunciandosi, sul punto, però, il Giudice di appello ha omesso di esplicitare le ragioni per le quali ha ritenuto di non estendere tale inammissibilità anche alle annualità 2001 e 2002, anche esse coperte, come incontestato in atti, dal condono;
da quanto esposto consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di merito, il quale provvederà al riesame -adeguandosi al principio sopra affermato e fornendo congrua motivazione- e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
resta fermo che non incide sulla questione della quale è stata investita la Corte con il ricorso in esame, l’introduzione di apposite procedure amministrative di rimborso, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (cfr. Cass. 24/04/2015, n. 8373; id 21 giugno 2018 n.19668);
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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