CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 aprile 2019, n. 11155
Imposte indirette – IVA – Operazioni soggettivamente inesistenti – Fatturazione – Frode carosello
Rilevato che
– Con sentenza n. 7378/16/17 depositata in data 6 settembre 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania (in seguito, la CTR), rigettava l’appello proposto dalla società E. Srl in liquidazione avverso la sentenza n. 17653/9/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (in seguito, la CTP) che aveva rigettato il ricorso contro avviso di accertamento per IVA 2009;
– La CTR confermava la decisione dei giudici di prime cure, ritenendo, tra l’altro, regolare la notifica dell’atto impositivo e, nel merito, dimostrata quantomeno la consapevolezza da parte della contribuente alla partecipazione ad operazioni soggettivamente inesistenti;
– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi che illustra con memoria; deposita inoltre documentazione afferente istanza per la liquidazione del gratuito patrocinio. L’Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso.
Considerato che
– Con il primo e secondo motivo – dedotti ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art.2967 cod. civ., e di plurime altre previsioni di legge, incluso il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per non aver fatto corretto governo del canone dell’onere della prova nel decidere la fattispecie e per «insufficiente ed errata motivazione della sentenza»;
– Va innanzitutto escluso possa parlarsi nel caso di specie di controversa o apparente motivazione. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232) e, nel caso di specie, la ratio decidendi, imperniata sull’applicazione del canone dell’onere della prova, e sul mancato assolvimento da parte della contribuente della misura a lei rimessa, è articolata e compiutamente evincibile;
– Inoltre, quanto al denunciato «uso distorto e limitato del potere di valutazione della prova», la Corte rammenta che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);
– Tanto premesso, le censure, da trattarsi congiuntamente in quanto connesse e attinenti alla medesima ratio decidendi, sono infondate anche per le ragioni che seguono. Va ribadito che: «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.» (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5 – , Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01);
– Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta a tale canone giurisprudenziale consolidato di riparto dell’onere della prova in quanto, pacifico e accertato il fatto che la contribuente avesse intrattenuto rapporti commerciali con cartiere {«In relazione a tutte le società in questione vengono evidenziate circostanze e comportamenti che caratterizzano le società cartiere (ingenti acquisti intracomunitari, omesse denunce ai fini IVA, omesso pagamento dell’IVA, assenza di effettiva attività imprenditoriale)», ha desunto la consapevolezza della contribuente di tale stato di coste da elementi indiziari in grado di fondare presunzioni gravi, precise e concordanti sulla base di un iter logico argomentativo razionale: “«(…) é la pluralità di rapporti con le predette imprese che consente di giungere alla dimostrazione, quanto meno per presunzioni, della partecipazione alla frode e della relativa consapevolezza – Da ultimo, quanto alla documentazione depositata in atti circa l’ammissione della ricorrente, al gratuito patrocinio a carico dello Stato, la Corte rammenta che “In tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dall’art. 3 della legge 24 febbraio 2005 n. 25 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito” (Cass. 13 dicembre 2018 n.32306; Cass. 12 novembre 2010 n.23007; Cass. 13 maggio 2009 n.11028); non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie dalla giurisprudenza richiamata e, pertanto, nessuna statuizione deve essere adottata a riguardo, salvo il mancato raddoppio del contributo unificato, pur in presenza di soccombenza della parte;
– La sentenza impugnata va dunque confermata, in quanto ha rispettato i principi di diritto sopra richiamati, e al rigetto segue il regolamento delle spese di lite (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.22017 del 11/09/2018 – Rv. 650319-01), liquidate come da dispositivo secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in favore dell’Erario in Euro 7.800,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
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