CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 dicembre 2018, n. 32794
Reddito d’impresa – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Iscrizione a ruolo
Fatti di causa
In seguito alla sentenza della Commissione tributaria regionale campana (hinc: CTR) che dichiarò legittimo l’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 1993, nei confronti di S.S. e L.C., per maggiore reddito d’impresa, per contributi sanitari, sanzioni ed interessi, venne notificata ai contribuenti una cartella di pagamento conseguente all’iscrizione al ruolo dei tributi e degli accessori, prima del passaggio in giudicato della sentenza.
I contribuenti, allora, impugnarono la cartella allegando la violazione delle norme che vietano la riscossione delle sanzioni in pendenza del giudizio d’impugnazione dell’avviso di accertamento.
Il ricorso fu rigettato dal giudice di primo grado, mentre la CTR, con la sentenza in epigrafe, in riforma di quella decisione, accolse la domanda dei ricorrenti e dichiarò non dovute le sanzioni iscritte a ruolo, richiamando l’art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a causa della pendenza del giudizio relativo all’impugnazione dell’avviso di accertamento.
Per la cassazione ha proposto ricorso, con un motivo, l’Agenzia delle entrate nei confronti dello Scalea, non costituito.
Ragioni della decisione
1. Unico motivo del ricorso: «Violazione dell’art. 68 D.Lgs. n. 546/92 e 19 del D.lgs.vo n. 472/97 in relazione all’art. 360 n. 3 cpc».
Si denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che ha negato che, in pendenza del ricorso per cassazione avverso l’atto impositivo recante sanzioni a carico del contribuente, queste ultime possano essere iscritte a ruolo, trascurando che, in virtù delle norme appena richiamate, dopo la sentenza della CTR che respinge l’appello del contribuente, le sanzioni vanno interamente pagate.
1.1. Il motivo è fondato.
È opportuno comporre il quadro normativo di riferimento.
L’art. 68, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevedeva: «3. Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione».
L’art. 29 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in vigore dal 1°/04/1998, ha abrogato (1° comma, lett. d) le parole «e le sanzioni pecuniarie».
L’art. 19 del d.lgs. n. 472/1997, nel riordinare tutte le norme in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie, al primo comma dispone che: «In caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario».
La generica menzione delle commissioni tributarie, in relazione sia al precedente che all’attuale ordinamento, e l’abrogazione, coll’art. 37 del d.lgs. n. 46/1999, dell’art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 602/1973, che regolava la riscossione frazionata secondo il precedente sistema normativo, fanno sì che l’art. 68 cit. sia divenuto la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12/11/2010, n. 22997; 10/06/2011, n. 12791).
Il tema del decidere è regolato dal principio di diritto secondo cui, con riferimento alla riscossione frazionata di sanzioni, a norma dell’art. 68, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella formulazione vigente dal 1°/04/1998, a seguito dell’intervento abrogativo dell’art. 29 del d.lgs. n. 472/1997, riguardante proprio le sanzioni pecuniarie, l’applicazione delle medesime, in caso di esecuzione frazionata, può avvenire anche antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che ad esse si riferisca.
Tale regula iuris, applicabile alla fattispecie concreta in esame, consente la riscossione (frazionata) anche delle sanzioni antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che statuisca su di esse (Cass. 4/12/2013, n. 27201; 11/10/2017, n. 23784).
La CTR, nell’affermare l’antigiuridicità della riscossione delle sanzioni, nelle more del passaggio in giudicato della sentenza d’appello dichiarativa della legittimità dell’atto impositivo (presupposto), non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto appena enunciato.
2. L’accoglimento del motivo comporta la cassazione della sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, come stabilito dall’art. 384, secondo comma, seconda parte, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
3. Le spese dei due gradi di merito vanno compensate, tra le parti, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo;
compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna il contribuente a pagare le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
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