CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 febbraio 2019, n. 4816
Rapporto di lavoro – Dequalificazione e mobbing – Risarcimento del danno
Rilevato che
1. con sentenza n. 657 depositata il 15.7.2014, la Corte d’appello di Bologna ha respinto l’appello proposto da S.M.G., confermando la sentenza di primo grado con cui erano state rigettate le domande della medesima di condanna della società A. s.r.l. al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario, al risarcimento del danno da dequalificazione e mobbing nonché al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso sul presupposto della giusta causa di dimissioni, e alla restituzione di quella trattenuta; la Corte d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado anche quanto al rigetto della domanda riconvenzionale della società ed ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la statuizione del Tribunale sulla inammissibilità della reconventio reconventionis proposta dalla S. per ottenere la condanna di parte datoriale al risarcimento del danno causato dalla diffusione di dati riservati e personali contenuti nella memoria difensiva della società;
2. la Corte territoriale ha accertato come la lavoratrice avesse percepito, per tutta la durata del rapporto, la maggiorazione del 12% della retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva provinciale per il personale inquadrato nel primo livello quale compenso del lavoro straordinario forfetizzato; ha ritenuto applicabile al rapporto il contratto collettivo provinciale in ragione del riferimento, nell’accordo tra le parti, alla maggiorazione del 12% prevista dal suddetto contratto; ha escluso, in base alla valutazione integrata del materiale probatorio raccolto, che la S. fosse stata vittima di condotte vessatorie e dequalificanti e che avesse subito pressioni al fine di dimettersi; ha dichiarato inammissibile l’appello quanto alla censura di omessa motivazione, da parte del Tribunale, sulla reconventio reconventionis, per essersi formato il giudicato sul punto in quanto l’ordinanza di inammissibilità della reconventio reconventionis non era stata oggetto di riserva di appello da parte della difesa S. né immediatamente dopo la pronuncia né nella successiva udienza;
3. avverso tale sentenza la sig.ra S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la A. s.r.I.;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Considerato che
5. col primo motivo di ricorso la S. ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 420 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 177 c.p.c. e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.; inoltre per violazione dell’art. 436 c.p.c. in relazione all’art. 91 c.p.c.;
6. ha sostenuto come lo spostamento dell’udienza, ad opera del Tribunale ai sensi dell’art. 418 c.p.c., a seguito della reconventio reconventionis sottendesse la decisione di ammissibilità della stessa, dovendo considerarsi inutiliter data la statuizione di inammissibilità contenuta nella successiva ordinanza ammissiva delle prove;
7. ha argomentato la violazione dell’art. 177 c.p.c. per avere la Corte d’appello attribuito efficacia di giudicato all’ordinanza di inammissibilità, in contrasto con la disposizione suddetta, e nonostante la mancata proposizione dell’eccezione di giudicato ad opera della società mediante appello incidentale;
8. col secondo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione dell’art. 2108 c.c. in relazione all’art. 1362 c.c. nonché violazione dell’art. 1175 c.c. in relazione all’art. 36 Cost.;
9. sul presupposto che fosse pacifico in causa lo svolgimento dell’orario di lavoro straordinario, la S. ha sostenuto l’erronea interpretazione della volontà delle parti nel contratto di lavoro, in realtà tesa a consentire alla dipendente una retribuzione mensile di lire 2.500.000 (euro 1.250,00 circa);
10. ha comunque censurato l’accordo di forfetizzazione in quanto privo di indicazione sul limite massimo delle ore di lavoro che il dipendente è tenuto a prestare, con conseguente violazione dell’art. 36 Cost.;
11. col terzo motivo di ricorso la lavoratrice ha denunciato la violazione dell’art. 2087 c.c., anche in relazione agli artt. 32 e 111 Cost., per avere la Corte di merito erroneamente escluso l’illegittimità della condotta datoriale e le conseguenze dannose della stessa;
12. col quarto motivo la ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 2103 c.c. ed omesso esame, per vizio logico della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.;
13. col quinto motivo di ricorso la S. ha censurato la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 7, L. n. 300 del 1970, per omessa pronuncia sulla domanda di restituzione della somma indebitamente trattenuta dalla società a titolo di multa;
14. il primo motivo di ricorso è inammissibile per omessa trascrizione degli atti processuali richiamati, e comunque infondato atteso che non può attribuirsi al decreto di fissazione di nuova udienza, ai sensi dell’art. 418 c.p.c., volto a regolare lo svolgimento del contraddittorio, efficacia preclusiva della statuizione di inammissibilità della reconventio reconventionis, come adottata nel caso di specie dal Tribunale, (cfr. Cass. n. 23815 del 2007; Cass. n. 9965 del 2001);
15. infondata è l’ulteriore censura di violazione dell’art. 177 c.p.c. per avere la Corte di merito attribuito natura di sentenza all’ordinanza dichiarativa della inammissibilità della reconventio reconventionis; questa Corte (Cass. n. 28233 del 2005; n. 20470 del 2005; n. 8190 del 2003) ha precisato che al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di semplice ordinanza, e sia, pertanto, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario aver riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo abbia pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre. Costituiscono, pertanto, sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito) anche quando non definiscono il giudizio; né è configurabile nel caso in esame un onere della società di proporre appello incidentale essendo la stessa risultata completamente vittoriosa sul punto;
16. il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità ed è, comunque, infondato;
17. premesso che, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l’attività di interpretazione degli atti negoziali è riservata al giudice di merito, la censura mossa ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione, non potendo il controllo di logicità del giudizio di fatto risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata (Cass. n. 15471 del 2017; n. 25270 del 2011; Cass. n. 18375 del 2006);
18. nel caso di specie, la critica articolata dalla lavoratrice si basa, anzitutto, su un presupposto in fatto (la non contestazione dell’orario di lavoro svolto) non accertato dalla Corte di merito (che ha ragionato per ipotesi “pur ammettendo che la sig.ra S. abbia di fatto svolto tutte le ore di lavoro straordinario indicate nell’atto introduttivo del giudizio, ella non avrebbe comunque diritto a differenze retributive”) e si esaurisce nel contrapporre alla interpretazione data nella sentenza, una diversa e personale lettura della volontà delle parti che si assume essere stata alla base del contratto;
19. del tutto generica è, infine, la censura sull’accordo di forfetizzazione, neanche trascritto o indicato precisamente nella sua collocazione processuale;
20. il terzo e il quarto motivo, in quanto censurano unicamente la valutazione delle prove come operata dalla Corte d’appello, senza neanche conformarsi al modello legale di cui al nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis (sentenza d’appello del 2014), sono inammissibili;
21. neppure può trovare accoglimento il quinto motivo di ricorso con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mancando qualsiasi indicazione sulle sedi processuali in cui la domanda di restituzione della somma trattenuta a titolo di multa sarebbe stata sollevata;
23. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;
24. da tale statuizione deriva la condanna di parte ricorrente, secondo il criterio di soccombenza, alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo;
25. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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