CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 giugno 2019, n. 16412
Rapporto di lavoro – Mancata assegnazione dell’inquadramento e delle mansioni spettanti – Risarcimento dei danni da mobbing
Rilevato
che, con la sentenza n. 854/2016, la Corte di appello di Campobasso ha confermato la pronuncia emessa il 7.10.2014 dal Tribunale della stessa città la quale, in relazione al ricorso con cui la dipendente G.V. aveva chiesto la condanna dell’A. spa all’inquadramento nella qualifica di responsabile amministrativo – contabile dall’1.7.1999 e al pagamento delle correlate differenze retributive nonché al risarcimento dei danni da mobbing e lavoro dequalificante dal 2002, aveva dichiarato inammissibile la domanda di superiore inquadramento per precedente giudicato e aveva rigettato la pretesa risarcitoria;
che a fondamento del decisum i giudici di seconde cure hanno rilevato che l’eccezione di giudicato era fondata perché il medesimo richiesto superiore inquadramento di Quadro di 1° livello A era stato già respinto da una precedente sentenza della medesima Corte di merito, a nulla rilevando che, nelle intenzioni dell’istante, il successivo giudizio avesse finalità diverse da quelle che avevano costituito lo scopo e la causa petendi del primo, opponendosi a diverse conclusioni il principio che il giudicato copre dedotto e deducibile; quanto alla domanda risarcitoria, hanno ritenuto che le censure svolte con l’atto di appello non fossero conformi alla nuova formulazione dell’art. 342 cpc, risolvendosi le stesse nella mera illustrazione di una diversa tesi giuridica;
che avverso la decisione di 2° grado ha proposto ricorso per cassazione G.V. affidato a cinque motivi;
che l’A. spa ha resistito con controricorso;
che il PG ha non ha formulato richieste scritte;
che entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:
1) la mancanza di motivazione: insufficiente e contraddittorio esame circa punti decisivi oggetto della prima domanda giudiziale tra le parti, decisa dal Tribunale di Campobasso con la sentenza n. 110/08 e dalla Corte di appello di Campobasso con la sentenza n. 632/2009; carente e contraddittoria ricostruzione delle risultanze di causa attinenti alla detta prima domanda giudiziale e all’attuale seconda domanda; vizio del procedimento logico e falso presupposto: si sostiene che la Corte non aveva correttamente valutato che la prima domanda fu fondata, a differenza di quella oggetto del presente giudizio, sul possesso dell’inquadramento nella qualifica di Quadro di 2° livello, in vigenza del CCNL 1994/1997 e sulla svolgimento di mansioni superiori di Quadro di 1° livello;
2) la violazione e falsa interpretazione del giudicato esterno, art. 2909 cc, l’inesistenza della preclusione cd. del “dedotto e deducibile” che sarebbe prodotta dalla prima domanda giudiziale, la violazione dell’art. 99 cpc e dell’art. 68 commi 1 e 4 del CCNL 1998/2001, in relazione alla violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché tale principio non poteva operare in ordine alla seconda domanda di superiore inquadramento che era diversa ed autonoma;
3) la mancanza di motivazione; l’insufficiente e contraddittorio esame di punti e fatti decisivi, carente ricostruzione delle risultanze e documenti di causa attestanti la condotta inadempiente e persecutoria dell’A.; vizio del procedimento logico ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto, in ordine alla domanda risarcitoria, inammissibile il gravame perché non rispondente ai requisiti di cui all’art. 342 cpc, quando invece erano stati specificati i capi della sentenza impugnata ed i fatti sottostanti, nonché le modifiche che erano state richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
4) la violazione degli artt. 2, 32, 35, 41 Cost.; artt. 1218 e 1453 cc e/o artt. 2043, 2059, 2087 e 2103 cc nonché del D.lgs. n. 216 del 2003 attuativo della Direttiva 2000/78/CE in tema di parità di trattamento e condizioni di lavoro, D.lgs. n. 81/2008 in tema di protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a stress correlato; in relazione alla violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 2909 cc e del giudicato formatosi con la precedente sentenza di appello n. 132 del 2016 in tema di svolgimento di mansioni inferiori a quelle di Quadro di 1° livello sotto il CCNL 1994/1997 e di Quadro A sotto il CCNL 1997/2001, per avere i comportamenti del datore di lavoro violato la professionalità della V., per illegittima mobilità in mansioni inferiori a quelle di Quadro di 1° livello e per mancata assegnazione dell’inquadramento e delle mansioni spettanti di Quadro A nonché per avere causato danni patrimoniali, indirettamente patrimoniali e non patrimoniali sia di natura contrattuale che extra-contrattuale;
5) la violazione del contratto collettivo dell’A. 2002-2005, art. 46, la salvaguardia della dignità dei lavoratori (all. 9) ed art. 3 punto n. 3 lett. b relativo alla contrattazione decentrata per trasferimento in altri incarichi; la violazione delle disposizioni attuative interne (codice etico dell’A. artt. 16, 24, 37, 3, 8, 44 (all. n. 10), la violazione dell’art. 2934 cc, in tema di presunzione dei diritti, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere i comportamenti del datore di lavoro violato, oltre alle norme di cui al 4° motivo, anche quelle sopra indicate del CCNL; che i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili per difetto di trascrizione della sentenza di appello, oggetto di interpretazione alla stregua di giudicato esterno, in quanto, pur costituendo il giudicato la regola del caso concreto e, conseguentemente, una questione di diritto da accertare direttamente, la sua interpretazione, da parte del giudice di legittimità, è possibile solo se la sentenza da esaminare venga messa a disposizione mediante trascrizione nel corpo del ricorso, derivandone in mancanza l’inammissibilità del motivo, con cui si denuncia la violazione dell’art. 2909 cc, restando precluse ogni tipo di attività nomofilattica (Cass. 16.7.2004 n. 16227; Cass. 13.12.2006 n. 26627); che il terzo motivo è parimenti inammissibile, per erronea prospettazione della censura ex art. 360 co. 1 n. 5 (Cass. 29.5.2012 n. 8585; Cass. 22.9.2014 n. 19959) – la cui nuova formulazione, applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal teso della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia avuto carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia- nonché per difetto di specificità, in violazione dei requisiti prescritti dall’art. 366 cpc, sotto il profilo sia della mancata trascrizione dell’atto di appello, ai fini della verifica del vizio denunciato, sia dell’assenza di confutazione specifica delle ragioni della ritenuta inammissibilità del gravame in ordine alla domanda risarcitoria (Cass. 19.8.2009 n. 18421; Cass. 24.9.2018 n. 22478; Cass. n. 18202 del 2008);
che il quarto e quinto motivo sono, infine, anche essi inammissibili in quanto i giudici di seconde cure, sulle questioni sottese alle censure, non si sono pronunciati ritenendole assorbite, di talché in relazione a tali problematiche manca una soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice di rinvio in caso di annullamento della sentenza (cfr in termini Cass. n. 23558 del 2014; Cass. 4804 del 2007; Cass. n. 22095 del 2017);
che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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