CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 giugno 2020, n. 11996
Tributi – IVA – Detrazione – Acquisti soggettivamente inesistenti – Interposizione fittizia del fornitore – Indetraibilità
Rilevato che
1.1. – M. s.r.l. in liquidazione, in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, impugna I’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate di Napoli 1 per I’ anno di imposta 2002 con richiesta di maggiore Iva (euro 2.961.583,61), fondata su un PVC della Guardia di Finanza da cui emerge che la M. s.r.l. aveva acquistato sottocosto profilati dalla A. s.r.l. fatturando I’Iva, che però non veniva versata dalla venditrice, società fittiziamente interposta (c.d. frode carosello), onde la contestata indetraibilità dell’imposta.
1.2. – La Commissione tributaria provinciale di Napoli rigetta il ricorso del contribuente (sentenza n. 457/46/10 depositata il 17/12/2010).
1.3. – La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigetta I’ appello proposto dalla contribuente. La sentenza, dopo aver richiamato la giurisprudenza comunitaria e nazionale sulla questione, indica gli elementi di fatto, accertati dalla Guardia di Finanza, in base ai quali i fornitori apparenti della M3 s.r.l. sono a suo giudizio soggetti privi di capacità economica, e fittiziamente interposti al solo scopo di conseguire illeciti vantaggi fiscali. Ritiene pertanto, in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, che I’Iva relativa alle operazioni soggettivamente inesistenti sia indetraibile.
1.4. – La società ricorre per cassazione per due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata, con ogni conseguenziale statuizione. Deposita inoltre memoria ai sensi dell’ art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.
1.5. – L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e chiede il rigetto del ricorso, con ogni conseguente pronunzia.
Considerato che
2.1. – Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge (artt. 19 d.P.R. 26.10.1972 n. 633, 168 lett. a della Direttiva CE 2006/112, in relazione all’ art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), perché la normativa indicata consentirebbe il disconoscimento della detrazione dell’ Iva solo nel caso in cui il soggetto passivo partecipi o sia a conoscenza degli intenti fraudolenti del cedente, circostanza non provata dall’ Agenzia delle entrate in corso di causa.
2.2. – Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa pronunzia (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) sulla prova della consapevolezza della frode e sulle circostanze di fatto eccepite nella fase di merito a riprova della buona fede dell’ acquirente.
3. – Occorre premettere che le c.d. “frodi carosello” sono caratterizzate da un rapporto trilatero, in cui un soggetto economico fittiziamente interposto acquista merce in esenzione o in sospensione dell’ Iva, e la rivende ad un terzo, apparentemente con aggravio dell’ Iva, che però non versa, mentre il terzo la contabilizza in detrazione, in violazione del principio della neutralità dell’ imposta.
4. – Questa Corte si è occupata ripetutamente degli aspetti tributari del fenomeno e dei criteri di ripartizione dell’ onere della prova fra l’ Amministrazione Finanziaria ed il contribuente, formulando, anche alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia, i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta“; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851; vedi anche Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C- 277/14, par. 50, Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittei, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015).
5. – Alla luce anche di questi principi, di cui la sentenza impugnata appare rispettosa, ritiene la Corte che entrambi i motivi del ricorso « (che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi fra di loro) siano infondati in quanto mirano in realtà ad una rivisitazione dei fatti di causa, diversa e contraria rispetto a quella effettuata dal giudice del merito, che però è preclusa in sede di legittimità.
5.1. – La sentenza impugnata ha puntualmente indicato gli elementi di fatto su cui ha fondato la propria decisione, all’esito della valutazione complessiva di tutti quelli acquisiti al processo, ritenendo prevalenti quelli posti a base della decisione presa.
5.2. – In particolare a torto la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla prova della consapevolezza della frode, dato il diverso principio affermato dalla sentenza, in sintonia con la giurisprudenza comunitaria, per cui in base alle concrete modalità delle operazioni di acquisto, il contribuente “sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza” che esse si inserivano in un meccanismo di evasione dell’imposta.
5.3. – Infine la giurisprudenza della Corte, cui occorre dare continuità anche in questa sede, non ritiene necessaria la specifica valutazione di tutte le questioni prospettate dalle parti, per cui la sua omissione non integra il vizio lamentato dalla ricorrente (Cass. Sez. Un. 8053/2014 e n. 19881/2014; Cass. Sez. V n. 23140/2017).
6. – In conclusione il ricorso principale va rigettato con le pronunzie che ne conseguono in tema di spese processuali e di contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 10.000 (diecimila); dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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