CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20590
Tributi – Agevolazioni fiscali acquisto prima casa – Iva agevolata – Revoca – Trasferimento dell’immobile prima del decorso di cinque anni
Rilevato che
V.A. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 9396/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di liquidazione di maggiore IVA con applicazione dell’aliquota ordinaria del 10% in luogo di quella agevolata del 4% in conseguenza della revoca delle agevolazioni fiscali applicate all’atto di compravendita immobiliare a causa del successivo trasferimento dell’immobile prima del decorso del quinquennio;
l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione
Considerato che
1.1. con il primo ed il secondo mezzo si censura la sentenza denunciando violazione di norme di diritto (artt. 20 e 28 DPR n. 131/1986, artt. 1372, 1321 e 1655 c.c.) e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere la CTR ritenuto che la risoluzione per mutuo dissenso del contratto di compravendita comportasse la revoca delle applicate agevolazioni fiscali cd. «prima casa»;
1.2. le censure sono infondate;
1.3. è incontroverso, in fatto, che il contribuente, dopo aver acquistato un immobile con applicazione dell’aliquota agevolata cd. «prima casa>> sul contratto di compravendita, ebbe a risolvere con la parte alienante, per mutuo dissenso ai sensi dell’art. 1372 c.c., il contratto in questione;
1.4. come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 21312/2018 in motiv.) il mutuo dissenso può, a rigore, rappresentare una causa di risoluzione dei soli contratti ad effetti obbligatori e non dei contratti ad effetti traslativi atteso che i contratti ad effetti traslativi esauriscono la loro funzione nel momento in cui viene prestato il consenso, sicché, con riferimento ad essi, può solo ipotizzarsi un contratto ad effetti opposti a quelli traslativi già prodotti e non il mutuo dissenso che, come causa risolutiva tipica del contratto, presuppone che il rapporto giuridico sussista e permanga in vigore;
1.5. a seguito del mutuo dissenso il rapporto giuridico costituito con il contratto viene dunque meno con effetto retroattivo ma sono fatti salvi i diritti dei terzi e non può ritenersi, pertanto, che nel caso di specie detto atto abbia efficacia retroattiva elidendo completamente con riguardo ai terzi gli effetti derivanti dalla stipula dell’atto di compravendita;
1.6. invero, sulla base di principi già affermati da questa Corte in tema di imposta di registro, ed applicabili anche al caso in esame, è stata negata l’efficacia retroattiva del mutuo dissenso sul rilievo che «…l’applicazione dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che prevede la restituzione dell’ imposta per la parte eccedente la misura fissa nel caso di nullità o annullamento dell’atto per causa non imputabile alle parti, è limitata, in considerazione del dato letterale e della sua “ratio”, alle sole ipotesi di nullità o annullamento dell’atto per patologie ascrivibili a vizi esistenti “ab origine”, e con esclusione di quelli sopravvenuti o relativi ad inefficacia contrattuale derivante da altre e diverse ragioni» (cfr. Cass. n. 791/2015);
1.7. è stato altresì ritenuto che «in tema di imposta di registro, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà di un immobile, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto (cosa che per la legge di registro si verifica anche nella ipotesi di vendita con riserva di proprietà, dato che tale normativa considera detta vendita immediatamente produttiva dell’effetto traslativo), deve essere assoggettato alla imposta proporzionale da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari» (cfr. Cass. n. 5075/1998);
1.8. ne consegue che, in caso di risoluzione per mutuo dissenso del contratto di compravendita rispetto al quale si è goduto dell’agevolazione cd. «prima casa>>, il ritrasferimento costituisce un evento causativo della revoca dell’agevolazione per alienazione infraquinquennale;
2.1. con il terzo e quarto motivo si lamenta nullità della sentenza e violazione di norme di diritto (art. 91, 1° co., c.p.c.) per avere la CTR condannato il contribuente al pagamento delle spese di lite anche del primo grado di giudizio, sebbene l’Amministrazione fosse rappresentata, innanzi alla CTP, da un proprio funzionario;
2.2. le censure sono parimenti infondate;
2.3. al riguardo vanno richiamati, in questa sede, i principi di diritto recentemente affermati da questa Corte (cfr. Cass. n. 4473/2021);
2.4. l’art. 15 co. 2 bis del D.lgs. n. 546/1992, vigente ratione temporis (in forza delle modifiche apportate dal d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge 24.3.2012 n. 27), dispone, infatti, che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la liquidazione il «compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto», prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio (cfr. da ultimo Cass. n. 23055/2019);
2.5. a tale citato orientamento questa Corte intende dare continuità, non tralasciando che, di recente, è intervenuto un diverso orientamento giurisprudenziale sul punto;
2.6. con ordinanza n. 27444/2020, infatti, questa Corte, eliminando la statuizione di condanna alle spese processuali, pronunciata dal giudice di merito nei confronti del contribuente, preso atto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio senza il ministero del difensore, ha escluso che la parte privata potesse essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari;
2.7. la citata ordinanza, ha escluso, in radice la riconoscibilità dei compensi, per il solo fatto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio «senza il ministero di difensore» dovendo conseguentemente «escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari» e tale argomentazione è stata supportata anche dal riferimento alla sentenza n.8413/2016 di questa Corte, con cui si erano ritenuti liquidabili a favore dell’autorità amministrativa «le spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente affrontato in quel giudizio e purché risultino da apposita nota», si riferiva all’ipotesi in cui l’autorità amministrativa «sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (il che è consentito dall’art. 23, 5° cc. 1. n. 689/1981)», mediante richiamo di due decisioni della S.C. la n. 11389/2011 e la n. 18066/2007;
2.8. entrambe le decisioni citate non riguardano, tuttavia, la materia tributaria., in quanto nella prima (n. 11389/2011) si verte in materia di opposizione a sanzione amministrativa (con cognizione del Giudice di Pace) per una opposizione ad «un verbale-avviso di accertamento» emesso dal Comune di Roma, in seguito ad una violazione del Codice della Strada, mentre nel secondo caso (n. 18066/2007), si tratta di opposizione, proposta innanzi al Tribunale ordinario, avverso ordinanza ingiunzione, emessa da Azienda Sanitaria, per violazione della normativa prevista in materia di macellazione di bovini, ed anche in quest’ultimo procedimento, invero, questa Corte richiamava espressamente la normativa stabilita «nel procedimento oppositivo di cui alla L. n. 689 del 1981, ove l’amministrazione opposta si sia avvalsa della facoltà di resistere in giudizio “personalmente”, costituendosi a mezzo di un proprio funzionario, come previsto dall’art. 23, comma 4″, riconoscendo come rimborsabili, “ex art. 91 c.p.c., solo gli esborsi concretamente sostenute le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti»;
2.9. la normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi;
2.10. va qui precisato, quindi, che il tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontata con vari interventi legislativi;
2.11. il decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva all’art. Art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: <<Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»;
2.12. con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all’art.1 comma 32, la disposizione veniva così precisata: «Nell’articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, al comma 2-bis le parole: «si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti» sono sostituite dalle seguenti: «si applica il decreto previsto dall’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti percento dell’importo complessivo ivi previsto»;
2.13. infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all’art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, attualmente in vigore, si prevede che «nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza»;
2.14. pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato, e per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia, non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell’ordinanza di rimessione;
2.15. considerato che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato;
2.16. sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l’altro, del tema della disparità di trattamento tra la normativa di cui all’art. 23 legge n. 689/81 (modifiche al sistema penale) e dell’art. 91 c.p.c., in ragione dell’inoperatività dell’onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela, ed in particolare, la Corte ha affermato che: a) l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sé compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee;
2.17. in tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (art. 15 d.lgs n. 546/1992), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate;
2.18. da quanto argomentato, si ritiene possa ritenersi la particolarità normativa prevista in materia di spese e compensi processuali nell’ambito del processo tributario, che, come visto, è stata mantenuta costante nel tempo e che impedisce di decidere in senso difforme, in violazione di una volontà chiaramente espressa dal legislatore, e si deve, quindi, anche in questa sede, in aderenza al dettato normativo, riconoscere come corretta la condanna alle spese in favore dell’amministrazione;
3. sulla scorta di quanto precede, il ricorso va pertanto respinto;
4. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
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