CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20597
Tributi – Accertamento antielusivo – Contratto di usufrutto di partecipazioni societarie – Simulazione – Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale – Violazione – Nullità dell’atto
Rilevato
L’Ufficio disconosceva alcune operazioni societarie ritenendole simulate e, per l’effetto, rideterminava il reddito da partecipazione in capo ai ricorrenti per l’anno di imposta 2007. Più in particolare, con rogito rep. 95451 del 14 dicembre 2006, i soci della soc. “C.A. & C. s.n.c.”, hanno stipulato con la soc. “P.M. s.r.l.” in liquidazione un contratto di costituzione di usufrutto a termine biennale sul 80% della partecipazione di ciascun socio nel capitale della predetta soc. C.A. & C. s.n.c., al valore nominale di €.200,00 (€.40,00 per ciascun socio), sicché -ai fini fiscali che qui rilevano- ciascun socio veniva ad esporre a tassazione per il 2007 solo il 5% del reddito da partecipazione maturato dalla C.A. & C. s.n.c., mentre il 80% era a carico della P.M. s.r.l., che li avrebbe esposti per l’anno 2007 (e, in tesi, anche per l’anno seguente), ma che non li avrebbe mai pagati.
Secondo l’Agenzia, per contro, i titolari – pieni proprietari della C.A. & C. s.n.c. restavano i quattro soci, ciascuno fiscalmente obbligato sul 25% del reddito da partecipazione a quella società.
La simulazione dell’operazione era affermata sulla base di plurimi indizi rilevati dal Settore Antifrode della Direzione regionale per la Lombardia della A.E., in particolare: per il prezzo simbolico di cessione in rapporto alla redditività di una società che per quell’anno esponeva ricavi per €.1.379.588,00 con utili per 283.248,00; per l’andamento del rapporto utili e ricavi, sempre attestato fra il 9 ed il 7% nel triennio antecedente la cessione, mentre nel biennio in esame era passato immediatamente al 21% il prim’anno e al 28% il successivo; per l’assenza di una perizia di stima sul prezzo; per l’assenza di qualsivoglia attività svolta dalla P.M. s.r.l., peraltro già in liquidazione e cancellata da lì a poco; per il ristretto periodo temporale del costituito usufrutto, scevro da ogni utilità imprenditoriale coerente con l’usufruita o l’usufruttuaria in ragione del relativo oggetto sociale; per la già rilevata natura di “schermo fiscale” della P.M. s.r.l., accertata come veicolo di evasione per i loro interlocutori.
Ritenendo simulato il contratto costitutivo di usufrutto, il reddito da partecipazione era imputato a ciascun socio, tra cui l’odierno ricorrente, nella misura del 25% in luogo dell’esposto 5% la con la conseguente ripresa a tassazione a fini Irpef, addizionali regionali e comunali, oltre a sanzioni.
I gradi di merito erano sfavorevoli ai contribuenti che ricorrono per cassazione affidandosi a cinque motivi, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
Considerato
Vengono svolti cinque motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si prospetta vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma settimo, l. n. 212/2000, dell’art. 1 l. n. 241/1990, nonché degli articoli 37 e 37 – bis del d.P.R. n. 600/1973 dell’art. 41 – bis d.P.R. n. 600/1973, nella sostanza lamentandosi non sia stata accolta la denunciata violazione del contraddittorio in ragione del tipo di accertamento adottato.
Occorre precisare che il contradditorio endoprocedimentale preventivo non è principio generale dell’azione amministrativa tributaria, bensì adempimento procedurale da esperire ove testualmente previsto dal legislatore sotto comminatoria di particolare sanzione invalidante. Più in particolare, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che l’art. 12, comma 7. della l. n. 212/2000 si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione europea, hanno chiarito che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoproceclimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).
1.1. Sennonché, ove l’accertamento si esplichi affermando l’elusione tributaria mediante negozi giuridici, il potere impositivo si esercita in forza (anche) dell’art. 37 – bis del d.P.R. n. 600/1973 che, nel testo vigente all’epoca dei fatti (anno di imposta e momento dell’accertamento), iscrive tale adempimento nel percorso funzionale all’accertamento antielusivo. Sul punto, questa Corte è intervenuta più volte, anche di recente, ribandendo costantemente il proprio medesimo orientamento, cioè che in tema di disciplina antielusiva, ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, è nullo l’avviso di accertamento che, oltre a non contenere una specifica motivazione in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente, ai sensi del comma 5 dell’art. 37 – bis del d.P.R. n. 600 del 1973, sia stato emesso all’esito di un procedimento iniziato con una richiesta di chiarimenti non rispettosa delle prescrizioni contenute del comma 4 del richiamato articolo, e pertanto inidonea ad instaurare un giusto contraddittorio con il contribuente (Cass. V, n. 30770/2018; conf. n. 2239/2018; n. 693/2015; n. 351/2009).
Il motivo è quindi fondato ed assorbente.
In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal primo motivo e, non residuando ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere definita con l’accoglimento del ricorso originario dei contribuenti.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per le ragioni attinte dal primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della parte contribuente.
Compensa integralmente fra le parti le spese di lite e condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere alla parte ricorrente, complessivamente intesa, le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in €.cinquemila/00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa come per legge.
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