CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20617

Tributi – IRPEF – Previdenza integrativa aziendale – Vecchio iscritto” al fondo prima del 1993 – Prestazioni erogate in forma di capitale – Regime di tassazione

Rilevato che

1. G.N., ex dirigente E. S.p.a. (“E.”), iscritto al fondo pensione denominato “PIA” (previdenza integrativa aziendale), presentò all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso IRPEF della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta E. e quanto dovuto per effetto dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, prevista per i redditi di capitale dall’art. 42, comma 4, t.u.i.r., e dell’art. 6, della legge n. 482 del 1985. Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente impugnò il diniego e la Commissione tributaria provinciale di Roma accolse il suo ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio, con la sentenza n. 140/26/2006, in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, dichiarò applicabile l’aliquota del 12,50% «sulla parte relativa al rendimento determinata con i criteri dell’art. 42 del TUIR»;

2. la vertenza giunse all’esame di questa Corte che, con sentenza n. 272/2012, accolto il ricorso principale dell’Agenzia e disatteso quello incidentale del contribuente, cassò con rinvio la pronuncia d’appello, demandando al giudice del merito (vedi pag. 5 della decisione della Corte) «l’accertamento delle somme derivanti dall’investimento in libero mercato dei capitali costituiti dai versamenti dell’azienda e dei lavoratori»;

3. il contribuente ha riassunto il giudizio avanti alla C.T.R., quantificando il rendimento in euro 811.721,95, sulla base della certificazione E. datata 12/09/2005, e ha chiesto il rigetto dell’appello dell’ufficio e la condanna di quest’ultimo al rimborso di euro 176.306,01 (oltre interessi legali);

4. la Commissione regionale, nel contraddittorio dell’Agenzia, aderendo alla tesi della parte privata, sul presupposto che si trattava di un “vecchio iscritto” all’apposito fondo prima del 1993, ha rigettato l’appello dell’Amministrazione finanziaria e ha riconosciuto al contribuente il rimborso nella misura richiesta, pari alla differenza (a tutto il 2000) tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta E. e quanto dovuto per effetto dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, ai sensi della legge n. 482 del 1985;

5. l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di tre motivi; il contribuente resiste con controricorso;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso [«1. Violazione o falsa applicazione dell’art. 63 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 384, 392 e 394 c.p.c., nonché dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere fatto un’applicazione meramente apparente del principio di diritto enunciato da questa Corte, nella sentenza di rinvio, senza compiere la verifica circa l’eventuale investimento sul mercato finanziario del capitale accantonato dal fondo PIA e circa l’eventuale assegnazione di plusvalenze ai dipendenti;

2. con il secondo motivo [«2. Violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. e conseguenziale violazione dell’art. 394 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto l’aliquota del 12,50% sul “rendimento” discostandosi dalle puntuali e univoche allegazioni del contribuente – il quale, in sostanza, aveva ammesso che, nella vigenza della PIA, E. non aveva impiegato i contributi sul mercato finanziario, ma si era limitata ad accantonare in bilancio, secondo le tecniche assicurative, la somma presumibilmente necessaria per fare fronte agli obblighi derivanti dall’accordo E.-Fndai del 16/04/1986 -, e per avere identificato erroneamente il rendimento con la redditività degli accantonamenti a bilancio, ossia con la redditività del patrimonio netto di E.;

3. con il terzo motivo [«3. In subordine rispetto ai motivi nn. 1 e 2: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare il fatto storico principale relativo all’esistenza e all’eventuale misura dell’investimento dei capitati del fondo PIA sui mercarti finanziari;

4. i primi due motivi, suscettibili d’esame congiunto per connessione, sono fondati, con assorbimento del terzo, formulato in subordine;

4.1. per chiarire la questione di diritto in esame occorre innanzitutto ricordare la fondamentale pronuncia delle Sezioni unite (Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13645, conforme a Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13642), secondo cui: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della l. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n. 917 cit.»;

4.2. con specifico riferimento al fondo PIA (e all’analogo strumento finanziario FondE.), questa Corte, nel ribadire tale indirizzo, anche di recente (ex multis: Cass. 6/03/2019, n. 6514, da ultimo consolidata, tra le altre, da Cass. 13/05/2021, n. 12860), ha puntualizzato come la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6, della legge n. 482 del 1985, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, possa applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, dovendo invece escludersi tale più favorevole tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente ad un fondo PIA che non abbia mai investito sul mercato finanziario (Cass. 15/06/2018, n. 15853; 19/06/2018, n. 16116; 29/12/2011, n. 29583; 12/01/2012, n. 280; 04/04/2012, n. 5376; 25/05/2012, n. 8320; 27/03/2013, nn. 7724-7728; 22/05/2013, nn. 12491-12496; 02/10/2013, n. 22492; 09/10/2013, n. 22950; 12/02/2014, n. 3132; 12/02/2014, n. 3136; 19/03/2014, n. 6380; 09/04/2014, n. 8310; 04/02/2015, n. 1977; 22/05/2015, n. 10604; 13/01/2017, n. 720;). Costituiscono, quindi, il “rendimento netto”, come ha ulteriormente chiarito questa Corte, le «somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (Cass. nn. 10285/2017 e 24525/2017);

4.3. nella prospettiva che qui rileva, pertanto, si deve escludere che possa considerarsi quale “rendimento” ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio E., poiché tale fattore costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato (Cass. n. 5436/2018; conf.: Cass. n. 4941/18). Si è anche chiarito (come ampiamente argomentato in motivazione dalla citata Cass. 19/06/2018, n. 16116) quale sia l’ambito dell’indagine fattuale pertinente al principio di diritto affermato dalle Sezioni unite (n. 13642/11), che impone la necessità di una «ricostruzione dell’impiego delle somme sul mercato finanziario», con apposita verifica se vi sia stato «l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato», e quale sia stato «il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%». Inoltre, spetta al contribuente, che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso, quale attore in senso sostanziale, provare il fondamento della sua pretesa; l’interessato, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio «al conteggio proveniente dall’E., prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (Cass. 21/12/2016, n. 720; 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 13281);

4.4. così delimitata la materia del contendere, venendo adesso all’esame congiunto dei due motivi di ricorso, è evidente che la sentenza impugnata non si è attenuta ai princìpi di diritto sopra enunciati e neppure alle prescrizioni della sentenza di rinvio (n. 272/2012), poiché, senza spiegarne la ragione, ha ritenuto provato tout court il diritto al rimborso, mentre questo profilo nevralgico avrebbe dovuto essere oggetto di puntuale dimostrazione, nel giudizio di merito, con onere della prova spettante al contribuente. In altri termini, l’errore commesso dalla C.T.R. sta nell’avere dato per pacifico, in aderenza alla tesi dell’attore sostanziale, che esistesse un rendimento del capitale accantonato nel fondo PIA, senza verificare da un lato l’an dell’investimento, ossia l’effettivo impiego sul mercato (finanziario o dei valori mobiliari) del capitale accantonato (nel fondo PIA); dall’altro, una volta appurata una simile destinazione del capitale, il quantum del rendimento, visto che soltanto tale importo era assoggettabile alla tassazione agevolata del 12,50%;

4.5. da quest’angolazione, giova ricordare l’ormai consolidato indirizzo sezionale, del quale in parte si è dato conto in precedenza (vedi supra p. 4.3.), che esclude che la prova del rendimento del capitale accantonato possa consistere nella certificazione E. della redditività, sul mercato, dell’intero patrimonio netto dell’impresa, poiché tale evidenza esprime una mera operazione matematica e non è il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato. In particolare, sulla scia della giurisprudenza di questa Corte, si rileva che dalla certificazione E. e dalla relazione attuariale, cui fa riferimento il controricorso, non è dato trarre elementi probatori idonei a dimostrare che il capitale accantonato del contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito sul mercato di riferimento (finanziario, mobiliare, o altro mercato);

4.6. infatti, questa Corte ha ripetutamente precisato che né la certificazione E. né la consulenza di parte assolvono all’onere probatorio, spettante al contribuente che agisca per vedere riconosciuto il suo diritto al rimborso, poiché non recano alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce “rendimento”, sì da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass. 04/05/2021, nn. 11611, 11612; 28/04/2021, n. 11171, in connessione con Cass. 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 1328; 03/04/2019, n. 9246). Il prospetto E. certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale. Quello indicato nella certificazione E., giova tenerlo a mente, è il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’E.. D’altronde, la relazione attuariale, prodotta nei giudizi di merito e più volte menzionata nel controricorso (a prescindere dal rilievo che essa non è mezzo di prova, ma mera allegazione difensiva), nulla dice circa l’incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato. Simili conclusioni, del resto, sono confermate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo di E., relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 13/11/2019, n. 29396; Cass. 23/11/2020, n. 26543);

5. in conclusione, accolti il primo e il secondo motivo e assorbito il terzo, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, poiché la vicenda fiscale appare pienamente sviscerata anche sul piano dell’apprezzamento del materiale probatorio da parte dei giudici di merito, e in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo;

6. le peculiarità della dinamica processuale e degli aspetti giuridici vagliati, oggetto di oscillazioni giurisprudenziali superate soltanto di recente, portano a compensare, tra le parti, le spese dei gradi di merito e del giudizio di cassazione;

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.