CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 maggio 2021, n. 13590
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Sentenza – Motivazione completamente disallineata rispetto ai fatti di causa – Nullità
Fatti di causa
Con due separati avvisi la Agenzia delle Entrate di Padova, sulla base di una verifica condotta da propri funzionari al fine di riscontrare il possesso da parte della Associazione Sportiva Dilettantistica F.F. dei requisiti formali e sostanziali per potere usufruire delle agevolazioni fiscali previste per gli enti non commerciali, conclusasi con processo verbale di constatazione del 25.3.2010 che aveva ritenuto trattarsi, nonostante la presenza di uno statuto di tipo associativo, di una palestra gestita sostanzialmente per finalità di tipo lucrativo operante in base ad una organizzazione di tipo imprenditoriale che applicava i prezzi di mercato per i servizi erogati, accertò nei confronti della detta Associazione, per gli anni 2006 e 2007, ai fini IRES, IVA, IRAP ed IRPEF, la omessa dichiarazione dei redditi, la irregolare tenuta dei libri contabili, l’omessa effettuazione e l’omesso versamento di ritenute relative a redditi di lavoro autonomo e dipendente, nonché le conseguenti imposte e sanzioni.
La ASD propose due separati ricorsi, successivamente riuniti, con cui dedusse, per quanto ancora interessa, infondatezza e mancanza di prova delle ragioni che avevano indotto l’Ufficio ad individuare il carattere di impresa commerciale nella attività posta in essere dall’Associazione, nonché erronea ricostruzione dei ricavi e violazione delle disposizione in materia di IVA. I ricorsi furono rigettati dalla Commissione Tributaria Provinciale di Padova con sentenza n. 97/2/2013, la quale preliminarmente respinse le eccezioni che riguardavano la correttezza del procedimento amministrativo e nel merito rilevò che l’Ufficio aveva correttamente recuperato a tassazione, a norma degli artt. 148 e 149 del TUIR, i ricavi non dichiarati nonché l’IVA – quantificata sulla base della documentazione prodotta dalla stessa parte – relativi ad attività collaterali dell’ente qualificabili come commerciali e quindi produttive di reddito sulla base di diversi indici già esplicitati nella motivazione degli avvisi di accertamento, quali: la circostanza che le domande di ammissioni dei soci non erano sottoposte ad alcun vaglio da parte del consiglio direttivo; che i soci in quanto tali non avevano alcun diritto di partecipare alla attività sportiva mentre per essere ammessi alla palestra occorreva avere corrisposto il costo di uno specifico abbonamento con prezzi differenziati in relazione alle specifiche attività richieste ed in linea con quelli delle altre palestre della zona; che i soci non partecipavano alla vita associativa, che non veniva pubblicizzata e non venivano esclusi pur se non avevano rinnovato la quota associativa; che la ricorrente risultava avere svolto diverse indagini di mercato e campagne pubblicitarie per vendere i propri servizi, con confronto con i prezzi delle palestre concorrenti e per usufruire del cd. T. dove la contribuente vendeva direttamente alcuni prodotti; e che infine aveva rapporti commerciali con una srl (la F.F., quasi omonima), gestita dal padre della presidente della F.F., al quale la Fitness versava un canone mensile di 15.000 euro mensili per usufruire degli spazi e delle attrezzature della srl, il tutto nell’ambito di una logica prettamente commerciale (v. motivi dei ricorsi iniziali e sentenza della CTP di Padova integralmente trascritta sia nel ricorso per cassazione che nel controricorso, in modo conforme, da entrambe le parti).
Investita dall’appello della Associazione F.F. – che aveva dedotto vizio di motivazione, di ultrapetizione e di omessa pronuncia della sentenza di primo grado, vizi della autorizzazione del Procuratore della repubblica all’accesso, erronea valutazione delle prove ed erronea pronuncia sulla illegittima ricostruzione dei ricavi, sull’accertamento e sulla quantificazione dell’IVA, sulla violazione dell’art. 149 del TUIR in materia di qualifica di associazione sportiva dilettantistica e di violazione delle regole sul diritto di difesa e sulla delega alla sottoscrizione di atti – la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n. 1918/25/2014, depositata in data 25 novembre 2014, accolse l’appello e dichiarò illegittimi gli avvisi di accertamento emessi per l’anno 2006 dalla Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Treviso.
La CTR, premesso che rientrava nei poteri dell’Ufficio accertare i redditi se ritenuti derivanti da attività commerciale, mentre spettava al contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti che giustificavano la invocata esenzione, rilevò che le doglianze dell’appellante erano fondate poiché solo nel 2009 la ricorrente aveva assunto la qualifica di Associazione sportiva dilettantistica per cui nel 2006 non era gravata dell’osservanza degli obblighi previsti dalla legge per tale tipologia di associazioni e nel contempo il “disordine amministrativo” cui si riferiva la sentenza impugnata non poteva da solo costituire motivo per il disconoscimento della natura associativa dell’ente risultante dallo statuto e, per converso, elemento sufficiente a ritenere provato il carattere commerciale dell’attività svolta dall’associazione, che non era stato provato dalla polizia tributaria; non poteva costituire prova di ciò neppure il fatto che fossero stati eseguiti per contanti pagamenti superiori a 516,36 euro, il cui divieto era stato introdotto solo con il decreto legislativo n. 231 del 2007, tanto più che l’unica attività svolta dalla Associazione risultava essere quella, da parte dei propri iscritti, del calcio amatoriale, che non poteva avere natura commerciale e che non risultava essere mai stata difforme dal modello statutario.
Contro la sentenza d’appello, notificata il 1.12.2014, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto notificato il 28 gennaio 2015, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la contribuente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 111 della Costituzione e 36, comma 2, n. 4, del d. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4, c.p.c., poiché la sentenza impugnata si riferiva ad una controversia – che riguardava l’esercizio del calcio amatoriale da parte di una associazione che nel 2006 si trovava in stato di “disordine amministrativo”, peraltro irrilevante avendo assunto la qualifica di associazione sportiva dilettantistica solo nella successiva annualità 2009 e che aveva eseguito numerosi pagamenti anche per importi ad euro 516,36 in contanti invece che tramite bonifico – sicuramente diversa da quella in esame che coinvolgeva la F.F. la quale svolgeva certamente ed indiscutibilmente l’attività di palestra sulla base di un accertamento svolto dai funzionari della Agenzia delle Entrate di Padova che aveva condotto a riscontrare numerosi e concordanti indizi, indicativi della natura commerciale della attività svolta, che non avevano alcuna attinenza con gli elementi riportati nella parte in fatto ed in diritto della sentenza impugnata, ma neppure con l’atto di appello presentato dalla Associazione che aveva dedotto questioni completamente diverse da quelle prese in esame dalla sentenza della CTR del Veneto.
2. Con il secondo motivo si duole, in una prospettiva subordinata, di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo della infrapetizione per avere la sentenza impugnata omesso – al di là del dispositivo di accoglimento dell’appello – qualsiasi pronuncia sui motivi di appello e sulle difese della Agenzia delle Entrate.
3. Con il terzo motivo lamenta, infine, in una prospettiva ulteriormente subordinata, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi e controversi tra le parti con riguardo a plurimi fatti, risultanti dagli atti sostanziali e dal fascicolo processuale, che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti, quali: il fatto che le delibere del Consiglio direttivo si sostanziavano in una mera ricognizione formale delle domande presentate e che i soci che non avevano rinnovato la quota associativa mai erano stati esclusi; il fatto che, a fronte di 1.059 iscritti, non veniva mai rilasciata copia dello statuto e non veniva data alcuna comunicazione delle assemblee; il fatto che in occasione dell’accesso dei funzionari alla sede della associazione erano stati reperiti ben 32 associati nessuno dei quali conosceva i componenti del comitato direttivo ed era stato raccolto materiale dimostrativo delle strategie di marketing e di pubblicità della associazione; il fatto che la associazione interferiva e provvedeva direttamente ad erogare visite , nonché alla gestione diretta del cd. T. e presentava diverse interconnessioni con la F.F. srl di cui era amministratore il padre della presidente della associazione F.F., alla quale corrispondeva un canone mensile di 15.000 euro; fatti che, se esaminati nella loro gravità e concordanza logica, avrebbe dovuto indurre a ritenere che gli avvisi di accertamenti erano legittimi e dimostrativi della natura commerciale dell’attività svolta dalla palestra.
4. I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, pur se il secondo è stato proposto in una prospettiva subordinata, poiché sostanzialmente deducono entrambi una omissione di pronuncia sulle questioni dedotte in causa, sono fondati.
4.1. in primo luogo occorre osservare che la ricorrente ha dedotto correttamente il vizio di omessa pronuncia poiché la statuizione del giudice di merito il quale non esamini e non decida una questione oggetto di specifica doglianza è impugnabile per cassazione solo attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” da omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., in riferimento alla violazione dell’art. 112 dello stesso codice, citato, appunto, dalla ricorrente (v. per tutte, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6835 del 16/03/2017 Rv. 643679 – 01). Ciò in quanto tale motivo di gravame non investe un fatto principale o secondario, bensì proprio la completa omissione di esame e di decisione sull’appello proposto dalla società sportiva dilettantistica F.F., il cui contenuto è stato indicato nella sentenza impugnata con riguardo a questioni completamente diverse e disallineate da quelle contenute nell’appello relativo alla presente causa (le cui doglianze sono state trascritte in modo del tutto conforme a pagine 9 e 10 del ricorso per cassazione ed a pagine 6 e 7 del controricorso), nonché la totale mancanza di risposta, da parte della sentenza impugnata, ai reali motivi di appello, che non sono stati presi in esame, mentre la sentenza impugnata trascrive la motivazione di altra sentenza che riguardava un ricorso completamente diverso contro un diverso accertamento emesso nei confronti di una società dilettantistica che si occupava di calcio amatoriale e che era fondato su argomentazioni (mancati adempimenti formali richiesti nel 2006 alle ASD quando invece la associazione in esame era divenuta tale solo nel 2009; “disordine amministrativo”; esecuzione di pagamento superiori a 516,36 euro in contanti in epoca precedente alla disposizione che ne aveva previsto il divieto; impossibilità concreta per una associazione di calcio amatoriale di svolgere attività commerciale lucrativa) del tutto disallineate rispetto a quelle che hanno investito nella presente causa gli accertamenti relativi, per le annualità 2006 e 2007, ad una associazione che gestiva una palestra, alla quale era stato contestato di avere svolto attività lucrativa concorrenziale di tipo commerciale, come tale pubblicizzata e gestita, a favore dei frequentatori della palestra, i quali pagavano una retta in relazione agli specifici servizi richiesti e forniti, sotto lo schermo solo formale di una ASD che peraltro mancava di vita associativa.
4.2. Non si è trattato poi solo di solo di omesso esame totale dei reali motivi di appello nella motivazione della sentenza, bensì anche di omessa pronuncia nel dispositivo della sentenza della CTR poiché l’accoglimento dell’appello riguarda gli avvisi di accertamento emessi “per l’anno di imposta 2006 dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Treviso ed impugnati in primo grado”, mentre invece la sentenza di primo grado (trascritta integralmente sia nel ricorso per cassazione che nel controricorso e riportata correttamente pure nel frontespizio della sentenza impugnata redatto dal sistema informatico) riguarda gli accertamenti per gli anni 2006 e 2007 emessi dalla Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Padova.
4.3. La contribuente oppone con il controricorso che i motivi sarebbero inammissibili per difetto di autosufficienza in mancanza di riferimento puntuale agli atti processuali ma anche perché una motivazione sarebbe pur sempre contenuta nella sentenza impugnata, che faceva riferimento alla non dimostrata natura commerciale della attività svolta, per cui i vizi dedotti si scontravano con la riformulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per effetto del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, convertito dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, applicabile ratione temporis nel coso in esame, in virtù del quale era stato ridotto al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, cosicché non era consentito il tentativo, posto in essere dalla Agenzia delle Entrate con il ricorso per cassazione, di operare un confronto con le risultanze processuali.
4.4. Tale deduzione non è però condivisibile poiché, in primo luogo, il ricorso trascrive la sentenza di primo grado, l’appello e la sentenza di appello e pone dettagliatamente a confronto gli atti trascritti nella parti rilevanti, così superando il controllo di dettagliatezza e di autosufficienza della doglianza. In secondo luogo è ben vero che, in ordine alla nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario e ratione temporis nel caso in esame – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata…. ed è stato ribadito pure che tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed innumerevoli altre); però, nel caso di specie, risulta dal testo della sentenza impugnata ed in particolare dal dispositivo che essa ha deciso in relazione ad un appello contro una sentenza diversa da quella indicata nel frontespizio della stessa sentenza come sentenza appellata ma anche che non ha preso in esame alcuna delle doglianze poste con l’atto di appello in relazione alla sentenza di primo grado.
4.5. Non è poi vero che l’omesso esame debba risultare solo dal dato testuale poiché questa Corte a sezioni unite ha affermato che, pur nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, peraltro ciò essere posto non solo in relazione al dato “testuale” evincibile dalla sentenza, ma anche dal dato “extratestuale”, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (Rv. 629831 – 01); come nel caso in esame in cui il ricorso per cassazione ha indicato e trascritto puntualmente gli atti di causa da cui emergeva come anche la motivazione fosse completamente disallineata rispetto ai fatti di causa.
4.6. Si deve quindi ritenere che i suddetti motivi di ricorso siano autosufficienti ed altresì fondati posto che la sentenza impugnata non ha pronunciato sull’appello contro la sentenza 97/2/2013 della CTP di Padova, che non viene mai presa in esame nella sentenza di appello, bensì su una diversa sentenza, pur non citata, ma che aveva pronunciato in primo grado su diversi accertamenti relativi ad altro contribuente che aveva subito una verifica da parte della Guardia di Finanza e quindi un accertamento da parte della Direzione di Treviso della Agenzia delle Entrate.
5. Il terzo motivo proposto in via ulteriormente subordinata resta assorbito.
6. In accoglimento del primo e del secondo motivo di appello la sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR del Veneto,, Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.
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