CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 maggio 2021, n. 13593
Tributi – Accertamento – Costi riferiti ad operazioni soggettivamente inesistenti – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Rilevato che
– con la sentenza impugnata la CTR aquilana respingeva l’appello dell’Ufficio, con ciò confermando la illegittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento per IVA, IRES ed IRAP 2004;
– tale atto era stato emesso nei confronti della società contribuente alla quale era contestato l’utilizzo, a seguito di PVC della GdF, di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti costituenti la partecipazione a un meccanismo di “frode carosello”;
– ricorre a questa Corte l’Amministrazione Finanziaria con atto affidato a tre motivi; resiste con controricorso la società contribuente;
Considerato che
– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso, svolta in controricorso; i mezzi di impugnazione infatti sono sia articolati in modo adeguatamente specifico quanto alla indicazione delle disposizioni di legge che si assumono violate, sia diretti a censurare il governo dei principi di ripartizione dell’onere probatorio senza in alcun modo sollecitare la Corte a una rivalutazione del meritus causae; né infine essi dirigono le proprie critiche verso la motivazione della sentenza, con ciò sottraendosi anche all’eccezione di inammissibilità pure proposta in tal senso dal controricorrente;
– può quindi procedersi oltre con l’esame dei motivi di ricorso;
– con il primo motivo si denuncia ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR ritenuto necessaria la prova dell’accordo fraudolento volto all’evasione dell’Iva, insufficiente, a tal fine, la prova della qualità di cartiera dell’interponente, essendo necessaria la dimostrazione che i reali rapporti economici con il fornitore comunitario erano tenuti dalla società appellata, dovendosi altresì dimostrare “con assoluta certezza” che l’acquisto dei mezzi era stato effettuato ad un prezzo inferiore, sì da richiedere, in conclusione, 1) la prova dell’esistenza di un rapporto di commerciale diretto tra acquirente finale e fornitore comunitario; 2) la prova che l’acquisto del fittizio intermediario fosse avvenuto ad un prezzo inferiore a quello di mercato; 3) la prova dell’anteriorità dei pagamenti rispetto alla data di acquisto dei beni;
– il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione dell’art. 2697 e dell’art. 2727 c.c., dell’art. 62 d. Lgs. n. 546 del 1992 tutti in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto necessaria la prova piena della fraudolenza contestata alla società contribuente, non risultando bastevole a provarne la responsabilità la sola prova presuntiva;
– infine, il terzo motivo censura la pronuncia impugnata per violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2727 c.c. in relazione ai principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria in materia di detrazioni iva in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 c. 1 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere il giudice dell’appello, dopo aver accertato l’assenza di organizzazione in capo ai soggetti emittenti le fatture contestate, ritenuto che tali circostanze non avessero i sufficienti requisiti di gravità, precisione e concordanza, quali elementi presuntivi atti a ribaltare in capo al contribuente l’onere di dar prova della propria diligenza per dimostrarsi estraneo alla frode;
– i motivi costituiscono sfaccettature diverse di una medesima censura e possono quindi trattarsi congiuntamente;
– gli stessi sono fondati;
– invero, la CTR prende le mosse del proprio ragionamento in diritto dalla esistenza di “dubbi circa la effettiva attività svolta dalla società ritenuta di interposizione, per essere la predetta società dotata di strutture minime, di natura amministrativa e operativa” per poi concludere che “il quadro generale delle risultanze acquisite peraltro carente sotto i diversi profili della struttura organizzativa preordinata alla frode, non assurge al rango di prova appagante circa la esistenza di una frode carosello e pertanto l’insieme degli indizi raccolti non presenta i requisiti di gravità, precisione e concordanza idonei a invertire l’onere della prova”;
– la CTR, dunque, riconosce che gli elementi addotti dall’Ufficio erano sufficienti ed idonei a far ritenere che l’interposta avesse le caratteristiche proprie di una cartiera; esclude, peraltro, che in atti vi fosse la certezza della prova dell’accordo fraudolento, necessario – ad avviso del giudice d’appello – per fondare la responsabilità del contribuente nell’evasione all’Iva;
– orbene, occorre premettere che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018 (seguita da molte altre; recentemente v. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in piena aderenza ai principi affermati ripetutamente dalla Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che:
– a. l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;
– b. la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;
– c. incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;
– è di piena evidenza, dunque, l’errore in diritto in cui è incorsa la CTR: da un lato ha preteso la prova “certa”, mentre sono necessari, e sufficienti, elementi indiziari e presuntivi; la prova presuntiva infatti non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza ai fini della formazione del proprio convincimento;
– d’altro canto, la CTR ha erroneamente ritenuto esser richiesta la prova dell’esistenza di “un accordo fraudolento”, il che non è, essendo invece necessario e sufficiente, rilevare che il contribuente “sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”;
– ne deriva anche che tutte le considerazioni svolte in sentenza relative al mancato accertamento del prezzo praticato nelle operazioni contestate, sia tra il fornitore e il contribuente sia tra il contribuente e i suoi clienti, così come le considerazioni svolte quanto ai pagamenti operati da parte controricorrente, risultano inconferenti non risultando idonei a impedire il ribaltamento dell’onere probatorio in capo al contribuente e dovendosi al più valutare, con apprezzamento di merito, se costituiscano elementi atti a fornire prova della diligenza del controricorrente;
– ne deriva, inoltre, che nel ritenere privo di vis probatoria presuntiva idonea a invertire l’onere della prova il difetto di organizzazione da parte delle imprese emittenti le fatture, la CTR ha commesso errore di diritto;
– ciò fermo restando che, nelle ipotesi più semplici come quella che ci occupa (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può anche esaurirsi, per l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente;
– non va trascurato, del resto, che, dovendo tale riscontro essere operato secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, la frequenza e ripetizione delle operazioni e/o la pluralità di soggetti fittizi con cui la società venga ad intrattenere rapporti commerciali, in ¡specie ove l’entità delle transazioni sia ragguagliabile ad ingenti importi, costituiscono sicuramente elementi atti ad essere valutati dal giudice di merito anche sotto il versante della necessaria diligenza professionale nello svolgimento dell’attività da parte del contribuente accorto e, dunque, della possibilità, per questi, di conoscere o dover conoscere il carattere illecito delle operazioni che stava ponendo in essere;
– ciò in quanto continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione; – in particolare, (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015 cit.), se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo;
– per le sopra esposte ragioni, il ricorso va accolto;
– la sentenza è quindi cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame, il quale si atterrà ai principi sopra illustrati;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
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