CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16206
Licenziamento – Inadempimento datoriale – Trasferimento – Rifiuto opposto dal lavoratore – Contrarietà a buona fede – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte di appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva annullato il licenziamento intimato per motivi disciplinari a M. V. e condannato la società datrice di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto oltre che al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
2. la statuizione di conferma è stata fondata sulla considerazione che la condotta oggetto di addebito, come risultante dalla lettera di contestazione della società, era rappresentata dall’abbandono del posto di lavoro, il giorno 21 dicembre 2015, dalla assenza ingiustificata dal servizio nei giorni successivi e dal fatto che ciò era avvenuto in assenza di motivazione da parte del lavoratore. Ha osservato il giudice d’appello che mentre l’allontanamento e l’assenza nei giorni successivi potevano essere considerati pacifici, in quanto non negati dal lavoratore, non sussisteva l’ulteriore elemento integrante la condotta ascritta, rappresentato dal difetto di motivazione della stessa; con lettera del 23 dicembre 2015, infatti, il V. aveva spiegato le ragioni del suo comportamento ponendole in relazione al provvedimento datoriale con il quale era stato assegnato in via definitiva presso la sede di Milano (o, in alternativa, di Alessandria); tale provvedimento era stato adottato in esecuzione di precedenti sentenze di reintegra del lavoratore, divenute definitive.
Secondo la Corte distrettuale la condotta del lavoratore era priva di profili di illiceità in quanto doveva essere posta in relazione alla illegittima condotta datoriale; RFI s.p.a., infatti, non solo aveva tardato, nonostante ripetuti solleciti del lavoratore, a dare esecuzione a due sentenze definitive con le quali il V. era stato reintegrato nel posto di lavoro ma ne aveva sostanzialmente eluso il comando passato in giudicato; la reintegra non era avvenuta, infatti, nel luogo e nelle mansioni originarie; l’assegnazione a sede diversa da quella precedente configurava di fatto un trasferimento ad altra unità produttiva che , ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., avrebbe dovuto essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive; la relativa mancanza connotava di illiceità la condotta datoriale e giustificava il comportamento del lavoratore sia quale espressione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso,
4. sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ. ;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, I. n. 300/1970 come novellato dalla I. n. 92/29012, nonché dell’art. 63, lett. h) del c.c.n.l. Mobilità/Attività ferroviarie del 20.7.2012; censura la decisione impugnata sia in quanto fondata su una errata nozione di “fatto contestato” sia in relazione alla individuazione della causale del licenziamento richiamata nella lettera di recesso della società.
Denunzia un ampliamento da parte della Corte territoriale della nozione di “fatto contestato”, che assume, in contrasto con le previsioni collettive, essere stata indebitamente estesa fino a comprendervi elementi, quali la mancanza di motivazione da parte del lavoratore, del tutto neutri se non addirittura estranei alla fattispecie disciplinarmente rilevante costituita dall’assenza ingiustificata e non della mancanza di motivazione; l’errore della Corte di merito era reso palese dal richiamo operato all’art. 63, lett. h), del c.c.n.I che contempla l” assenza ingiustificata” come fattispecie rilevante e unico dato fattuale da prendere in considerazione;
2. con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1460, comma 2, cod. proc. civ.; lamenta che la Corte di merito si sia astenuta dall’applicare il principio in base al quale il rifiuto di adempiere l’obbligazione deve essere conforme a buona fede e, in subordine, per essersi discostata, nella relativa verifica, dai canoni interpretativo- applicativi più volte enunciati dal giudice di legittimità; in questa prospettiva evidenzia che il rifiuto del lavoratore era intervenuto quando ancora il provvedimento di assegnazione non aveva sortito alcun effetto, perché sospeso nella pendenza del termine concesso al V. per esercitare l’opzione tra le due sedi del Nord Italia proposte dalla società, e che pertanto il provvedimento datoriale non aveva in alcun modo intaccato la sfera giuridica del lavoratore; tanto connotava come contrario a buona fede il comportamento del lavoratore;
3. il secondo motivo di ricorso, che investe una delle due distinte rationes decidendi alla base della sentenza impugnata, ciascuna idonea a sorreggere da un punto di vista logico e giuridico la statuizione di conferma della illegittimità del licenziamento, è infondato e tanto determina l’assorbimento della necessità di esame del motivo (Cass. n. 15350/2017);
3.1. non sussiste la violazione, prospettata in via principale, di omessa verifica della conformità a buona fede dell’inadempimento del lavoratore; tale verifica risulta infatti intrinseca al ragionamento sviluppato dalla Corte di merito fondato sulla evidenziazione della particolare gravità della condotta datoriale per il ritardo con il quale la società aveva dato esecuzione all’ordine di reintegrazione, portato da ben due sentenze divenute definitive, e sulla sostanziale elusione del giudicato operata attraverso la ricollocazione del lavoratore in un luogo diverso da quello originario e comunque, in ipotesi di qualificazione di tale ricollocazione come trasferimento, per l’assenza di ragioni giustificative dello stesso, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ.; in relazione a tale gravità la Corte ha ritenuto priva dei caratteri di illiceità e quindi giustificata la reazione del lavoratore, con implicita valutazione di conformità a buona fede della stessa, ai sensi dell’art. 1460, comma 2 cod. civ.;
3.2. in ordine alla censura, sviluppata in via subordinata, che denunzia violazione dei canoni interpretativi e applicativi nella verifica di conformità a buona fede, ai sensi dell’art. 1460, comma 2 cod. civ., della condotta del lavoratore, si ribadisce, in continuità con la consolidata giurisprudenza di legittimità, che tale verifica, da effettuare necessariamente sulla base delle circostanze del caso concreto, è rimessa all’esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 11408/2018, Cass. n. 4709/2012, Cass. n. 11118/2002); nello specifico la valutazione di proporzionalità della reazione del V. al comportamento della società, non appare né logicamente incongrua né in contrasto con superiori principi giuridici; dal raffronto tra l’inadempimento della società e il rifiuto opposto dal lavoratore emerge infatti la obiettiva, speciale, gravità della condotta datoriale sia in quanto sostanziatasi dapprima nella protratta inottemperanza e poi nella sostanziale elusione del comando giudiziale portato da ben due sentenze definitive, sia perché incidente su aspetti di pregnante rilievo esistenziale attinenti al medesimo diritto al lavoro, coperto dalla garanzia costituzionale, ed al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, corredato dalle garanzie dell’art. 2103 cod. civ.. L’accertamento del giudice di merito risulta pertanto del tutto coerente con le indicazioni di questa Corte secondo la quale in tale ipotesi la verifica detta- contrarietà o meno a buona fede del comportamento del lavoratore « in coerenza con le richiamate caratteristiche del rapporto di lavoro, dovrà essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell’ambito delle quali si potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell’inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell’ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost..>> (Cass. n. 11408/2018 cit.). Né alcun profilo di illogicità o incongruità è rinvenibile in relazione al fatto che il provvedimento di assegnazione era sospeso in ragione del pacifico carattere definitivo dello stesso, in quanto tale potenzialmente lesivo della sfera giuridico- esistenziale del dipendente;
4. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto e le spese di lite regolate secondo soccombenza;
5. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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