CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 marzo 2020, n. 7471
Società armatrice – Licenziamento individuale illegittimo per violazione del criterio di scelta – Manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Assenza di riduzione della flotta – Applicazione della tutela reintegratoria – Accertamento di una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento
Rilevato che
1. Con sentenza 23 marzo 2018, la Corte d’appello di Ancona determinava in venti mensilità l’indennità risarcitoria conseguente al licenziamento intimato il 17 agosto 2015 a G.A. da E.S.A., quale agente delle società armatrici V.O.I. s.r.l. e P.E.V. B.V., nelle forme della cancellazione dal turno particolare: così riformando la sentenza di primo grado, che, in parziale accoglimento dell’opposizione avverso l’ordinanza dello stesso Tribunale, ai sensi dell’art. 1, comma 49 I. 92/2012, di rigetto dell’impugnazione del licenziamento, l’aveva invece dichiarato illegittimo per violazione del criterio di scelta eccedentario e condannato la società datrice V.O.I. s.r.l. al pagamento, in suo favore, di un’indennità omnicomprensiva, in applicazione dell’art. 18, settimo comma I. 300/1970, pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, oltre accessori;
2. avverso la predetta sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, cui resisteva V.O.S. s.r.l. con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;
3. il ricorrente comunicava invece memoria inammissibile, in quanto oltre il termine prescritto dall’art. 380 bis 1 c.p.c.;
Considerato che
1. il lavoratore ricorrente deduce, premessa l’istanza di correzione dell’errore materiale nell’indicazione della società datrice come V.O.I. s.r.l. anziché come V.O.S. s.r.l., violazione e falsa applicazione dell’art. 18, settimo e quinto comma I. 300/1970, anche in relazione agli artt. 132 c.p.c.e 156 c.n., per la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in assenza di riduzione della flotta, per non essere stata venduta alcuna nave, tanto meno quella su cui era arruolato il lavoratore, avendone la società armatrice semplicemente trasferito alcune ad altro registro di iscrizione (ex se non implicante trasferimento della proprietà della nave); non essendo peraltro stata quella la ragione del licenziamento, ma la propria condizione di esubero per la soppressione del posto, peraltro egli appartenendo ad una categoria professionale (operaio
motorista: motorman), non interessata dall’esubero, essendo stato inserito in quella di “E.” (unico motivo);
1.1. il motivo è infondato;
1.2. in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo occorre ribadire che:
a) il nuovo regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 I. 300/1970, come modificato dalla I. 92/2012, prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria, dovendosi escludere che ricorra, in tal caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste a fondamento del recesso (Cass. 25 luglio 2018, n. 19732);
b) ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, quarto comma I. cit., il giudice è tenuto ad accertare che vi sia una evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento e, in caso di esito positivo di tale verifica, a procedere all’ulteriore valutazione discrezionale sulla non eccessiva onerosità del rimedio, essendo altrimenti applicabile la sola tutela risarcitoria di cui all’art. 18, quinto comma (Cass. 31 gennaio 2019, n. 2930);
c) il requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” è da intendersi come chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso, cui non può essere equiparata una prova meramente insufficiente (Cass. 25 giugno 2018, n. 16702);
1.3. non è configurabile la violazione di legge denunciata, da dedurre, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche specifiche argomentazioni, motivatamente intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass, 15 gennaio 2015, n. 635);
1.4. la denuncia si pone nella prospettiva, non già appropriata di una confutazione in diritto, bensì di una contestazione in fatto: ed è noto che il vizio di violazione di legge sia integrato dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e ne implichi necessariamente un problema interpretativo; e che, invece, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa sia esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisca alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155);
1.5. il motivo consiste pertanto nella contestazione dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale, con argomentazione congrua (per le ragioni in particolare svolte ai p.ti da 4.2. a 4.4. di pgg. 4 e 5 della sentenza), secondo un esercizio insindacabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo di correttezza giuridica e coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694);
1.6. infine, deve essere esclusa la pure denunciata omissione di motivazione, anzi congrua e confutata dalla ricorrente, non essendo poi configurabile alcun fatto storico di cui sia stato omesso l’esame, quanto piuttosto una valutazione giuridica contestata, pertanto eccedente il rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);
2. quanto all’istanza di correzione dell’errore materiale nell’indicazione della società datrice come V.O.I. s.r.l. anziché come V.O.S. s.r.l., essa è inammissibile sotto un duplice profilo;
2.1. qualora, infatti, si tratti effettivamente di un tale errore, non comportante alcuna forma di valutazione giuridica, come appunto nel caso di specie, il rimedio non può essere la sua deducibilità in sede di legittimità, ma soltanto la procedura stabilita dagli artt. 287 c.p.c.(Cass. 15 gennaio 2013, n. 795; Cass. 31 gennaio 2018, n. 2399, entrambe in riferimento alla distinzione tra errore causato da inesatta determinazione dei presupposti ed errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo), trattandosi di rimedi tra loro alternativi (Cass. 2 luglio 2019, n. 17664): potendo l’errore materiale contenuto nella decisione impugnata con ricorso per cassazione, pur non suscettibile di correzione da parte del giudice di legittimità, essere soltanto rilevato ed accertato dalla Corte medesima, al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività, devoluto al suo sindacato (Cass. 26 gennaio 2016, n. 1420);
2.2. l’istanza è peraltro pure generica, in assenza di alcuna specifica indicazione in grado di chiarire gli elementi di fatto dai quali si dovrebbe ritenere l’identità delle due società;
3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese di giudizio i secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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