CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2019, n. 29963
Tributi – Accertamento – Atto di accertamento emesso prima del termine dilatorio dalla notifica del p.v.c. – Particolare e motivata urgenza – Imminente scadenza del potere di accertamento dell’ufficio – Esclusione – Nullità dell’atto
Rilevato che
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle Entrate di Vicenza aveva emesso diversi avvisi di accertamento nei confronti della società C. s.r.l. con i quali erano state contestate indebite detrazioni IVA per – operazioni ritenute inesistenti; a seguito di impugnazione proposta dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Vicenza aveva parzialmente accolto il ricorso, avendo ritenuto non dovute le sanzioni irrogate; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate;
la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello per quanto concerneva tutti i motivi di impugnazione attinenti alla ritenuta non legittimità dell’atto impugnato, riformando la sentenza impugnata solo nella parte relativa alla condanna alle spese, avendo ritenuto sussistenti giusti motivi per la compensazione delle stesse;
la società contribuente ricorre con sei motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto in epigrafe;
si è costituita l’Agenzia delle entrate, depositando controricorso; la ricorrente ha depositato memoria in data 13 febbraio 2018;
il Pubblico Ministero ha depositato memoria in data 1 marzo 2018 con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si cesura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 3 e 21-septies, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e degli artt. 12, comma 7, e 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per avere ritenuto che, nel caso di specie, la deroga all’emanazione dell’avviso di accertamento prima del termine di sessanta giorni dalla notifica del p.v.c., consistente nella esistenza di particolare e motivata urgenza, trovava giustificazione nell’imminente scadenza del potere di accertamento dell’ufficio per lo spirare del termine di decadenza entro cui doveva essere fatta valere la pretesa impositiva;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione delle disposizioni sul contraddittorio, per omessa e insufficiente motivazione in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., con riferimento all’art. 6 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per non avere l’Ufficio considerato e replicato alle osservazioni circa le conclusioni contenute nel p.v.c. in sede di procedimento di accertamento con adesione attivato dalla stessa contribuente;
con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), per violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per non avere motivato sulla base di quali elementi ha ritenuto di dovere confermare la sentenza di primo grado in ordine alla mancanza di motivazione dell’atto impugnato;
con il quarto motivo, si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma primo, n, 5), cod. proc. civ., per mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’amministrazione finanziaria, per violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non avere tenuto conto che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito alcuna valida dimostrazione in ordine alla esistenza di una operazione oggettivamente inesistente;
con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione in violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 19 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non avere fatto corretta applicazione delle norme in materia di riparto dell’onere probatorio, non avendo l’ufficio dato la prova della conoscenza, da parte della ricorrente, del carattere fraudolento, ai fini IVA, delle operazioni effettuate;
con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per non avere enunciato chiaramente la ratio decidendi, data la mera adesione alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado;
ai fini della definizione della presente controversia assume valore assorbente il primo motivo di ricorso che è da ritenersi fondato; la questione prospettata attiene alla individuazione delle conseguenze giuridiche del mancato rispetto, da parte dell’amministrazione finanziaria, del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, che prevede che l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo;
va osservato preliminarmente che costituisce elemento determinante la circostanza che, nella specie, gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società contribuente contestavano indebite detrazioni IVA, sicché si era proceduto al relativo recupero, dunque in relazione ad un tributo “armonizzato”, la cui disciplina interna deve necessariamente coordinarsi con quella derivante dalle disposizioni dell’Unione e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia;
è fatto incontestato che gli avvisi di accertamento, conseguenti alla redazione di un processo verbale di constatazione, siano stati notificati prima del decorso del termine dilatorio a causa della scadenza del potere di accertamento dell’ufficio per lo spirare del termine di decadenza entro cui doveva essere fatta valere la pretesa impositiva;
ciò precisato, va evidenziato che, in materia di principio del contradditorio endoprocedimentale dei tributi armonizzati, questa Corte (Cass. civ., 15 gennaio 2019, n. 702) ha affermato i seguenti principi di diritto: «La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità»;
pertanto, anche per i tributi armonizzati, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore, con la previsione di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo; si tratta di una disciplina nazionale che, già a monte, assorbe la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (cfr. sentt. Kamino, cit., p. 80 e Sopropè, cit., p. 37); sicché, ove non sia stato osservato il termine dilatorio, con emissione dell’atto impositivo prima della scadenza, sussiste, ex lege, la violazione del diritto al contraddittorio preventivo, senza che sia necessario verificare, come è, invece, nel caso di controlli c.d. “a tavolino”, l’osservanza da parte del contribuente dell’onere di fornire la c.d. prova di resistenza;
pertanto, con riferimento al caso di specie, doveva essere rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni previsto dallo Statuto, termine che, pacificamente, non è stato osservato dall’Amministrazione finanziaria;
a tale violazione consegue la nullità dell’atto impositivo prevista dal legislatore, e ciò esclude la necessità di dover vagliare le eventuali allegazioni difensive a sostegno della c.d. prova di resistenza, non essendo la stessa richiesta, come detto, nella fattispecie in cui vi è stata l’inosservanza di specifiche previsioni normative; va peraltro precisato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 18 aprile 2019, n. 10947) «In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’Amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa” (Cass. 9 novembre 2015 n. 22786 e, più in generale, Cass. Sez. Un., Sentenza 29 luglio 2013 n. 18184)»; tale è esattamente il caso di specie, in cui, in presenza di verifica, il termine dilatorio non è stato rispettato e, alla luce dei principi giurisprudenziali che precedono, non possono essere identificati motivi di urgenza nello spirare del termine decadenziale al momento dell’emissione dell’atto impositivo;
l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi;
in conclusione, il primo motivo di ricorso è fondato, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma primo, cod. proc. civ., con accoglimento del ricorso originario; sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio, atteso la affermazione dei principi di diritto sopra indicati in data successiva alla presentazione del ricorso;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della ricorrente, compensa interamente le spese di lite dei giudizi di merito e del presente giudizio.
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