CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2019, n. 29992
Tributi – Accertamento catastale – Revisione parziale del classamento – Art. 1, co. 335, della L. n. 311 del 2004 – Legittimità
Fatti di causa
1. – Con sentenza n. 1528/2017, depositata il 23 marzo 2017, la CTR del Lazio ha (parzialmente) accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure che, – anch’essa in parziale accoglimento del ricorso proposto da T. S., – aveva annullato l’avviso di accertamento catastale col quale, in applicazione della I. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, c. 335, erano stati rideterminati classe e rendita catastale di sei unità immobiliari ubicate in Roma.
A fondamento del decisum, – e diversamente da quanto ritenuto dalla CTP, – il giudice del gravame ha rilevato che l’avviso di accertamento risultava correttamente motivato con riferimento ai suoi presupposti giustificativi, – gli unici rilevanti ai fini del riclassamento degli immobili, ai sensi della l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 335, – e che, – avuto riguardo alla ubicazione cittadina (nell’ambito della microzona n. 20) delle unità immobiliari nonché al classamento degli altri immobili (compresi nel medesimo stabile), – cinque, delle sei, unità immobiliari erano state correttamente riclassate (per quella di Via Tolmino n. 42, in catasto al fol. 573, p.Ila 25, sub. 13, ferma la nuova classe 4, non giustificandosi l’attribuzione della categoria A/2, a fronte della originaria categoria A/4).
2. – T. S. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Col motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., T. S. denuncia violazione e falsa applicazione della l. n. 212 del 2000, art. 7, e della l. n. 241 del 1990, art. 3, deducendo l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato «per carenza di motivazioni».
Premessa la ricostruzione delle nozioni (di categoria, consistenza e classe) rilevanti ai fini del classamento, e delle relative procedure estimative, assume il ricorrente che l’avviso di accertamento difettava, nella fattispecie, dell’indicazione degli elementi che avevano «indotto l’Ufficio impostore ad emettere tale atto … per carenza degli atti prodromici alla procedura accertativa …», – procedura, questa, «meramente teorica» quanto al rilevato impiego «dei principi dell’estimo comparativo» (id est «raffronto con le unità di riferimento»), – con riferimento a: – «tipologie e … natura delle indagini tecniche che avrebbero consentito di verificare i classamenti e le rendite»; – «ragioni dell’asserita rivalutazione del patrimonio immobiliare e dell’altrettanto asserito aumento della redditività»; – «presunti interventi di riqualificazione urbana ed edilizia posti a fondamento della riclassificazione operata dall’Ufficio».
Spiega, ancora, il ricorrente che: – il giudice del gravame aveva omesso di valutare la perizia di parte (che escludeva un qualche miglioramento del contesto urbano ed edilizio della microzona e) che, peraltro, nemmeno era stata contestata dall’Agenzia delle Entrate; – erano state utilizzate «visure e planimetrie che non sono necessariamente aggiornate e non assurgono ad elementi di prova in giudizio»; – l’accertamento relativo all’«accresciuto valore complessivo della microzona è genericamente affermato, senza alcuna motivazione in ordine alle ragioni di tale presunto accrescimento» (peraltro contraddetto dal «crollo del mercato immobiliare»).
2. – Il motivo di ricorso è inammissibile.
3. – La disposizione normativa della quale, com’è incontroverso, nella fattispecie è stata fatta applicazione, prevede che «La revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali, è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Per i calcoli di cui al precedente periodo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339. L’Agenzia del territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell’Agenzia medesima.» (l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 335).
Detta disposizione, – per come interpretata dallo stesso Giudice delle leggi (Corte Cost., 1 dicembre 2017, n. 249), – esplicita, quindi, i presupposti della revisione «parziale» del classamento delle unità immobiliari, riclassamento che, in effetti, consegue dalla specifica (ed esclusiva) valorizzazione del cd. fattore posizionale (d.p.r. 23 marzo 1998, n. 138, art. 8, cc. 5 e 6, cit.), qui inteso in riferimento ad «una modifica del valore degli immobili presenti in una determinata microzona» che «abbia una ricaduta sulla rendita catastale» (Corte cost. n. 249 del 2017, cit.); ove, dunque, non è irragionevole che detta modifica di valore dell’immobile si ripercuota sulla rendita catastale il cui «conseguente adeguamento, proprio in quanto espressione di una accresciuta capacità contributiva, è volto in sostanza ad eliminare una sperequazione esistente a livello impositivo.» (Corte cost. n. 249/2017, cit.).
E, in tali termini, i presupposti della procedura in discorso effettivamente si distinguono da quelli (incentrati su «specifiche caratteristiche dell’immobile») che altrove trovano la loro emersione, secondo procedure articolate in relazione ad individuate unità immobiliari (v., condivisibilmente, Cass., 19 ottobre 2016, n. 21176 che fa riferimento alle disposizioni di cui alla stessa l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 336, ed a quelle di cui alla l. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 58; v., altresì, Cass., 13 giugno 2012, n. 9629 nonché Corte Cost. n. 249/2017, cit.).
3.1 – La gravata sentenza, come si è anticipato, nell’accertare che l’atto impugnato era stato correttamente motivato in relazione a detti presupposti (qual integrati da atti amministrativi generali costituiti dalla deliberazione comunale n. 5 del 11 ottobre 2010, e dalla determinazione del Direttore dell’Agenzia del territorio, del 30 novembre 2010) ha, altresì, proceduto al (partito) esame di ciascuna unità immobiliare, corroborando i classamenti operati dall’Agenzia con riferimento al fattore posizionale ed a quello edilizio (d.p.r. 23 marzo 1998, n. 138, art. 8); e, in tali termini, il decisum si pone in linea di continuità con la giurisprudenza della Corte alla cui stregua l’atto di riclassamento deve esplicitare (anche) in quali termini il mutato assetto dei valori medi di mercato e catastale (recte del loro rapporto), nel contesto delle microzone comunali previamente individuate, abbia avuto una ricaduta sul singolo immobile (sulla sua classe e rendita catastale), «così incidendo sul diverso classamento della singola unità immobiliare» (così Corte Cost., n. 249/2017; v., ex plurimis, Cass., 26 settembre 2018, n. 23129; Cass., 21 giugno 2018, n. 16378; Cass., 29 settembre 2017, n. 22900; Cass., 17 febbraio 2015, n. 3156).
3.2 – Rileva, allora, la Corte che, nel coacervo delle deduzioni svolte dal ricorrente, difetta ogni specifica censura avverso i fatti posti a fondamento della gravata pronuncia, con riferimento tanto ai presupposti della procedura di revisione del classamento (l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 335), – da identificare nel mutato assetto dei valori di mercato di una microzona, nel rapporto istituito dalla citata disposizione e dettagliato, nelle modalità operative, dalla determinazione dell’Agenzia del Territorio 16 febbraio 2005 (adottata ai sensi della stessa l. n. 311 del 2004, art. 1, cc. 335 e 339), – quanto alle valutazioni probatorie che, – involgendo i criteri di classamento nella fattispecie impiegati, – la gravata sentenza ha operato con (specifico) riferimento a ciascuna unità immobiliare.
I motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, difatti, non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie controversa; il ricorrente ha, difatti, l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata (v., ex plurimis, Cass., 14 maggio 2018, n. 11603; Cass., 22 settembre 2014, n. 19959; Cass., 3 luglio 2008, n. 18202; Cass., 14 novembre 2003, n. 17183).
3.3 – Come, poi, risulta evidente dalla sintesi che si è operata a riguardo delle censure svolte dal ricorrente, viene in considerazione, nella fattispecie, un motivo cd. misto, che, – sotto la rubrica della violazione e falsa applicazione di disposizioni di legge, – reca anche (se non soprattutto) censure che involgono i mezzi di prova posti a fondamento della decisione («visure e planimetrie che non sono necessariamente aggiornate e non assurgono ad elementi di prova in giudizio») ovvero il loro omesso esame (perizia di parte che avrebbe escluso un qualche miglioramento del contesto urbano ed edilizio della microzona).
Orbene, come rilevato dalle stesse Sezioni Unite della Corte, la formulazione, con un unico motivo di ricorso, di plurime censure, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere prospettata come un autonomo motivo, non è, di per sé sola, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione se non quando «nell’ambito della parte argomentativa del mezzo d’impugnazione non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure»; così che se tale scindibilità sia possibile, – ovvero la formulazione del ricorso consenta «di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, onde consentirne, se necessario, l’esame separato», – «deve ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure (così come i quesiti di diritto ex art. 380 bis, ove ratione temporis prescritti) siano tenute distinte …» (cfr. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931 cui adde, ex plurimis, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass., 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. Sez. U., 6 maggio 2015, n. 9100; con riferimento ai cd. motivi misti formulati in relazione all’art. 360, c. 1, nn. 3 e 5, v., poi, Cass., 5 ottobre 2018, n. 24493; Cass., 11 aprile 2018, n. 8915; Cass., 24 agosto 2017, n. 20335; Cass., 23 aprile 2013, n. 9793; Cass. Sez. U., 31 marzo 2009, n. 7770).
3.4 – In disparte, allora, che il ricorso difetta (anche) di autosufficienza (art. 366, c. 1, n. 6, cod. proc. civ.) con riferimento tanto alle censure involgenti valutazioni probatorie (ove non è precisato né il dove né il come della produzione della perizia di parte, col suo effettivo ed integrale contenuto, nonché della condotta processuale di non contestazione) quanto a quella che concerne l’integrale contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento impugnato (per il rilievo che la censura involgente la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti testualmente i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi, v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786), considera la Corte che il complesso delle deduzioni in esame, – che, peraltro, nemmeno identificano il (sopra ricordato) contenuto normativo della fattispecie che, qual regolata dalla legge (l. n. 311 del 2004, art. 1, c. 335), costituisce il parametro di riferimento della motivazione deiratto impugnato, – integra (anche) un inestricabile commistione di dati (probatori, fattuali e normativi) che, in sostanza, finisce col rimettere alla stessa Corte l’identificazione del vizio denunciato e, con questo, delle parti della sentenza che formano oggetto di impugnazione.
4. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza e, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 2.050,00, oltre rimborso spese generali della difesa e oneri accessori, come per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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