CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26362
Tributi – Accertamento – Agevolazioni – Studi di settore – Scostamento – Onere di motivazione
Rilevato che
l’Agenzia delle entrate notificava alla contribuente, società M.T. s.r.I., per l’anno d’imposta 2004 un avviso di accertamento per IVA, IRAP ed IRES con il quale, in applicazione degli studi di settore, erano stati stimati ricavi in euro 718.278 rispetto al dichiarato di euro 564.562, con conseguenti maggiori ricavi per euro 153.716;
che la società contribuente proponeva ricorso affermando di avere perso due importanti commesse e ciò nonostante di aver dovuto mantenere del personale in esubero assunto con le agevolazioni di cui alla legge n. 388 del 2000;
la Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa, aderendo alla sostanza delle argomentazioni della ricorrente, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava applicabile il ricavo minimo di euro 664.689 e non quello puntuale come attribuito dall’Ufficio;
che la Commissione Tributaria Regionale, in parziale accoglimento dell’appello principale della contribuente, lo accoglieva limitatamente alle sanzioni, da calcolare secondo il criterio del cumulo giuridico, e per il resto confermava la sentenza di primo grado, respingendo altresì l’appello incidentale dell’Ufficio;
che avverso detta sentenza il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
Considerato che
con il primo motivo d’impugnazione la parte contribuente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 e degli artt. 2729 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. in quanto lo scostamento dei ricavi rispetto alla risultanza dello studio di settore è dipeso dal fallimento di due importanti committenti con la conseguenza che l’accertamento effettuato avrebbe dovuto essere annullato in toto in quanto lo studio di settore non avrebbe dovuto essere applicato, neppure al minimo;
con il secondo motivo d’impugnazione, la parte contribuente deduce nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per assenza o apparenza della motivazione, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., 156, comma 2, cod. proc. civ. e art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto la motivazione della sentenza impugnata non fornisce alcuna motivazione circa la riduzione dal ricavo “puntuale” al ricavo cd. “minimo”, né può ritenersi che l’onere di motivazione sia assolto dal rinvio alla decisione del giudice di primo grado;
con il terzo motivo impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la parte contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., 156, comma 2, cod. proc. civ. e art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 per il vizio di motivazione della sentenza impugnata;
ritenuto di dover valutare preliminarmente il secondo motivo di ricorso, in quanto logicamente antecedente rispetto agli altri perché lamenta la nullità della sentenza;
ritenuto che tale motivo di ricorso è infondato in quanto deve ritenersi affetta da nullità assoluta solo la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che risulti sostanzialmente priva della esposizione dei motivi, in fatto e in diritto, sui quali la decisione si fonda e che va quindi affermata la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., solo in quanto essa risulta corredata da motivazione solo apparente perché fondata su mere formule di stile, riferibili a qualunque controversia, disancorate dalla fattispecie concreta e sprovviste di riferimenti specifici, del tutto inidonee dunque a rivelare la “ratio decidendi” e ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità (Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. SU, 7 aprile 2014, n. 8053);
che, invece, nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata tiene conto delle obiezioni della controparte proposte nei motivi di appello ritenendo quindi di ridurre, come chiesto, l’accertamento dell’Ufficio, non però sino a quanto richiesto dal contribuente ma al livello minimo previsto dallo studio di settore;
che pertanto una motivazione, sia pure difettosa e incompleta è presente ed è tale da raggiungere la soglia del “minimo costituzionale”; che dalla ritenuta infondatezza del secondo motivo discende anche quella del terzo, che ripropone la stessa doglianza del secondo sia pure sotto il diverso profilo della violazione di legge, che però è già implicito nel secondo ove si lamenta la violazione dell’obbligo del giudice di motivare; ritenuto che invece il primo motivo di ricorso è fondato in quanto,
secondo l’insegnamento di questa Corte cui si ritiene di aderire, in tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in ispecie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, e sia necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio (ossia la circostanza che lo scostamento dei ricavi rispetto alla risultanza dello studio di settore è dipeso dal fallimento di due importanti committenti), solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30370; analogamente Cass. 31 maggio 2018, n. 13908);
che nel caso di specie il contraddittorio vi è stato e la sentenza impugnata ha sì tenuto conto delle contestazioni sollevate dal contribuente in quella sede in quanto ha ammesso che lo scostamento dei ricavi rispetto alla risultanza dello studio di settore è dipeso dal fallimento di imprese che fornivano alla società contribuente rilevanti commesse ma non ne ha tratto fino in fondo le dovute conseguenze dato che, non avendo chiarito le ragioni per le quali – mediante il riferimento agli studi di settore nel minimo e non all’originale dichiarazione del contribuente – sono state, sia pure in parte, disattese le contestazioni sollevate dal contribuente, dal pieno riconoscimento delle ragioni del contribuente ne sarebbe dovuto derivare che lo studio di settore non avrebbe dovuto essere applicato, neppure quanto ai suoi parametri minimi;
ritenuto pertanto che il ricorso della società contribuente va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, affinché valuti, alla luce delle ragioni offerte dal contribuente in sede di contraddittorio e di quelle presentate dall’Ufficio per le quali dovrebbero essere disattese le contestazioni sollevate dal contribuente, quale debba essere l’ammontare dei ricavi della società contribuente da considerarsi ai fini fiscali per l’anno d’imposta 2004.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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