CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26461
Tributi – IVA – Auto usate – Applicazione del regime del margine – Necessaria la prova, a carico del contribuente, della mancanza di detrazione Iva a monte
Rilevato che
1.1 L’Agenzia delle Entrate propone tre distinti ricorsi (nn. 28898/11, 28902/11 e 28904/11 rg.) per la cassazione, rispettivamente, delle sentenze nn. 113-114-112/32/10 del 5 ottobre 2010, con le quali la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento per Iva 2002 emessi a carico di E. s.n.c. di G.T. & B.M.G., nonché di questi ultimi in proprio. Ciò sul presupposto dell’indebito utilizzo, da parte della società, del c.d. ‘regime del margine’ Iva sull’acquisto, presso un rivenditore sedente in Germania (tal S.A. Kfz – Handel Export-Import), di alcune autovetture usate, ex art. 36 d.l. 41/95, conv. L. 85/95.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria, la mancata instaurazione del litisconsorzio necessario tra la società ed i due soci illimitatamente responsabili non determinasse la nullità della sentenza di primo grado, dal momento che la posizione di tutti i soggetti era stata comunque vagliata, ancorché in giudizi rimasti formalmente separati, in maniera sostanzialmente unitaria, perché ad opera degli stessi giudici ed all’esito della stessa udienza; – il ricorso al regime del margine ex art. 36 cit. da parte di E. snc dovesse ritenersi legittimo, dal momento che plurimi elementi (pregressa immatricolazione in Germania; prezzo inferiore al listino del nuovo; chilometraggio) deponevano per il fatto che si trattasse di autovetture ‘usate’.
Resistono con controricorso tanto E. snc, quanto i soci G.T. e B.M.G..
1.2 Sussistono i presupposti di connessione per la riunione dei ricorsi nn. 28902 e 28904/11 al n.28898/11, posto che essi – ancorché relativi a diverse sentenze CTR – attengono tutti alla medesima pretesa impositiva unitariamente considerata, e si basano su identiche censure (identico essendo, del resto, il contenuto sostanziale delle sentenze stesse).
2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360, 1° co. n. 4 cod.proc.civ. – nullità della sentenza per violazione degli articoli 111 Cost. e 102 cod.proc.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale escluso la nullità della sentenza di primo grado, nonostante che quest’ultima fosse stata emessa in assenza di formale instaurazione del litisconsorzio necessario (originario) tra la società ed i soci.
2.2 Il motivo è infondato.
Va premesso che il giudizio in questione verte esclusivamente sull’Iva; vale a dire, su un tributo per il quale non opera il principio di imputazione diretta ai soci – ‘per trasparenza’ – dei redditi della società personale, ex articolo 5 d.P.R. 917/1986.
Si rende pertanto applicabile l’indirizzo di legittimità secondo cui, in tale ipotesi, non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società ed i soci; né si pone, salvo particolari evenienze da dedurre caso per caso, l’esigenza di instaurare un simultaneas processus tra gli stessi, avente ad oggetto l’accertamento unitario della pretesa impositiva.
Cass. SSUU 10145/12 ebbe ad osservare (con richiamo a Cass. ord. 12236/10) che “l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del simultaneus processus nei confronti dei soci e, quindi, un litisconsorzio necessario, mancando un meccanismo analogo a quello previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, comma 2 e al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 di unicità di accertamento ed automatica imputazione dei redditi della società ai soci in proporzione alla partecipazione agii utili, con connessa comunanza di base imponibile tra i tributi a carico della società e dei soci”.
Concluse poi (con richiamo a Cass. 16661/11) nel senso che “solo nei tributi imputati per trasparenza sussiste il litisconsorzio necessario tra società di persone e tutti i soci mentre, per quanto riguarda l’IVA, possono sussistere solo in via eventuale esigenze di carattere unitario che possono comportare la necessità del simultaneus processus”.
Questo principio, più volte affermato, è stato da ultimo ribadito da Cass. ord. 6303/18, secondo cui la necessità di accertamento unitario (sussistente nell’ipotesi in cui oggetto del giudizio siano anche tributi correlati diversi dall’Iva, e direttamente imputabili ai soci) non sussiste allorquando l’amministrazione finanziaria abbia invece proceduto ad accertamento, nei confronti della società personale, esclusivamente per Iva; il che è quanto accade nel caso di specie.
Vale da ultimo osservare come l’amministrazione finanziaria si sia, del resto, limitata a lamentare la violazione in senso formale del litisconsorzio necessario, senza addurre ragioni sostanziali che avrebbero reso obbligatoria, nella specie, la trattazione giudiziale congiunta ab initio delle posizioni tanto della società quanto dei soci.
Fermo restando tutto ciò, va poi anche considerato come le posizioni della società e dei due soci illimitatamente responsabili siano comunque state fatte oggetto – nel corso dei gradi di merito – di un accertamento giudiziale sostanzialmente unitario; perché reso, come osservato dalla commissione tributaria regionale: – da parte dei medesimi giudici; – all’esito della medesima udienza; – con sentenze (tutte impugnate con gli identici ricorsi qui riuniti) del tutto speculari e sovrapponibili, tanto nella decisione quanto nella motivazione di sostegno.
Il che, come più volte ritenuto (Cass. nn. 3830/10; 22122/10; ord. 2014/14 ed altre), varrebbe di per sé ad escludere la violazione del litisconsorzio necessario, ex art. 14 d.lgs. 546/92, finanche in relazione alle imposte reddituali.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 36 e 37 d.l. 41/95 conv. I. 85/95, e 2697 cod.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto nella specie applicabile il regime del margine, nonostante che quest’ultimo fosse subordinato non soltanto al fatto che si trattasse di autovetture usate, ma anche alla prova (a carico del contribuente, trattandosi di disciplina agevolativa) della mancanza di detrazione Iva a monte. In assenza di tali elementi, si doveva ritenere che le cessioni in questione concretassero, come appurato dalla Guardia di Finanza, normali vendite intracomunitarie.
3.2 Questo motivo è fondato.
La commissione tributaria regionale ha ravvisato l’illegittimità dell’avviso di accertamento in recupero dell’Iva sul presupposto che si trattasse, nella specie, di autovetture usate; e che, inoltre, la mancata dicitura – in fattura – della dichiarazione di adozione del regime del margine fosse stata esaustivamente supplita dalla dichiarazione successivamente resa dal fornitore tedesco circa l’insussistenza in Germania, all’epoca delle cessioni, dell’obbligo legale di tale dicitura.
Questo ragionamento manifesta l’effettiva violazione della disciplina di riferimento.
Va premesso che, ex art. 36, 1^ co., d.l. 41/95 cit.: “Per il commercio di beni mobili usati, suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione, nonché degli oggetti d’arte, degli oggetti d’antiquariato e da collezione, indicati nella tabella allegata al presente decreto, acquistati presso privati nel territorio dello Stato o in quello di altro Stato membro dell’Unione europea, l’imposta relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Si considerano acquistati da privati anche i beni per i quali il cedente non ha potuto detrarre l’imposta afferente l’acquisto o l’importazione, nonché i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di franchigia nei proprio Stato membro e i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione al regime del presente comma”.
Consegue che, in tanto il regime del margine – volto ad attuare la neutralità del tributo con riguardo alla cessione di beni usati e d’occasione, evitando l’eventualità di doppia imposizione – può essere riconosciuto, in quanto sussista la prova che il primo cedente (dante causa) non abbia detratto l’iva; e ciò perché ‘soggetto privato’, o perché soggetto passivo comunitario in regime di franchigia ovvero, ancora, perché soggetto passivo UE a sua volta fruitore del regime del margine.
Diversamente da quanto affermato dalla commissione tributaria regionale, pertanto, non potevano reputarsi sufficienti né il fatto che si trattasse di autoveicoli ‘usati’, né la dichiarazione resa dal fornitore tedesco (successivamente alla verifica) circa la diversa disciplina normativa esistente nel Paese di sua residenza.
Si trattava, piuttosto, di acquisire la dimostrazione anche dell’ulteriore sostanziale requisito, insito nella non detrazione dell’Iva a monte; e, trattandosi di regime agevolativo, perché comportante la deroga dalla tassazione piena, tale prova doveva- per regola generale- essere fornita dalla società intimata.
Si è in proposito stabilito (Cass. SSUU 21105/17) che: “In tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in l. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”.
Hanno in particolare osservato le SSUU, con specifico riguardo alla compravendita di veicoli usati, che spetta al contribuente fornire la prova della propria condotta diligente, volta alla “individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione”.
Sicché, in caso di esito positivo di tale accertamento, “Il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta”‘, mentre, nell’ipotesi di esito negativo (cioè quando risulti che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli)” opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole”.
Ora, nel caso di specie, la commissione tributaria regionale – riconoscendo il regime del margine di utile soltanto in ragione della tipologia di beni e della dichiarazione successivamente resa dal fornitore tedesco (il quale, secondo quanto riferito dalla Guardia di Finanza, aveva tuttavia contabilizzato le vendite in oggetto quali ordinarie cessioni intracomunitarie in regime di piena tassazione) – non ha svolto alcuna indagine circa i concorrenti presupposti sostanziali di ammissione a tale regime.
L’accoglimento del motivo comporta la cassazione delle sentenze impugnate ed il rinvio delle cause riunite alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che dovrà svolgere la predetta indagine tenendo a mente quanto stabilito dal citato indirizzo delle SSUU, in ordine sia all’oggetto della prova (“buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto; secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto, al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”), sia alla ripartizione dell’onere ad essa relativo (a carico della parte contribuente).
Il giudice del rinvio provvederà anche a liquidare le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– riunisce i ricorsi nn. 28902/11 e 28904/11 al ricorso n. 28898/11 rg.;
– accoglie il secondo motivo dei ricorsi riuniti, respinto il primo;
– cassa le sentenze impugnate in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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