CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2020, n. 22691
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione meramente apparente
Fatti di causa
1. La società contribuente conduce esercizio di bar – caffè – pasticceria ed era oggetto di verifica fiscale nel 2008 da cui scaturivano distinti avvisi di accertamento per gli anni 2002 e 2005, poi riflessi per trasparenza in capo ai due soci. I diversi ricorsi in primo grado erano riuniti dalla CTP che confermava l’operato dell’Ufficio per il 2002, dove riconosceva essersi avvalsa la società di lavoro “in nero”, mentre per il 2005 annullava la ripresa a tassazione perché ritenuta basarsi unicamente sugli studi di settore, non rappresentativi della particolare realtà ov’era ubicato l’esercizio in questione.
I soci non costituiti in appello definivano in forma agevolata la pendenza, sicché l’oggetto del decidere si riduceva alla sola annata 2005 e unicamente con riguardo alla società. Il gravame proposto dall’Ufficio veniva rigettato dalla CTR che confermava la sentenza di primo grado.
Ricorre per cassazione l’Ufficio, affidandosi a tre motivi, mentre è rimasta intimata la società contribuente.
Ragioni della decisione
Vengono proposti tre motivi di ricorso
1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 132 c.p.c. nonché dell’art. 36, n. 2 del d.lgs. n. 546/1992, nella sostanza lamentandosi che la gravata sentenza sia sostenuta da motivazione meramente apparente, non potendosi ricavare dalle quattro righe e mezzo in cui si sostanzia le ragioni che la sostengono, neppure con riferimento alla sentenza di primo grado A viene confermata. Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass V, n. 24313/2018). Tale è la sentenza in esame, né soccorre la c.d. motivazione per relationem. Infatti, per la Suprema Corte, la motivazione per relationem “è legittima soltanto nel caso in cui a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti b) ovvero riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata” (Cass., S.U. n.14815/2008). Inoltre, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. VI – 5, n. 107/2015; n. 5209/2018; n. 17403/2018; n. 21978/2018). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. VI – 5, n. 22022/2017). Di questi principi non ha fatto buon governo la gravata sentenza.
Il motivo è quindi fondato ed assorbente.
2. Con il secondo motivo si profila censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. C) e D) del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54 del d.P.R n. 633/1972, per aver ritenuto la gravata sentenza che l’accertamento siasi basato solo sugli studi di settore, mentre l’attestata presenza di alcuni indici costituisce autonomo indizio di attività non dichiarate. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del precedente.
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per insufficiente motivazione ed omesso esame di elementi specifici, riproponendosi -sotto altra veste- le censure già dedotto col primo motivo, il cui accoglimento assorbe il presente.
In conclusione, il ricorso è fondato e merita accoglimento per le ragioni di cui al primo motivo di gravame.
P.Q.M.
accoglie il ricorso in relazione al primo motivo di gravame, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Toscana, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado di legittimità.
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