CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2021, n. 28795
Tributi – IRPEF – Accertamento – Presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili accertati a società a ristretta base societaria – Sentenza non passata in giudicato di annullamento dell’accertamento societario – Efficacia di giudicato esterno per i soci – Esclusione
Rilevato che
con la sentenza impugnata la CTR accoglieva l’appello del contribuente con ciò riformando la sentenza di prime cure che aveva ritenuto legittimi gli atti impugnati, avvisi di accertamento per IRPEF riferiti agli anni 2004 – 2006, derivanti dal recupero a tassazione di redditi societari da partecipazione sottratti a imposizione provenienti dalla società C.E.Z. S.r.I., partecipata dai ricorrenti nella forma della c.d. “ristretta base societaria”;
ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a cinque motivi;
i contribuenti resistono con controricorso;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 c. 3 TUIR (rectius del d.P.R. n. 600 del 1973) per avere la CTR erroneamente accolto l’eccezione di decadenza dell’Ufficio da potere di accertamento ritenendo sufficiente, ai fini della disapplicazione del c.d. “raddoppio” dei termini, l’emissione del decreto di archiviazione del procedimento penale promosso nei confronti di M. M. D.;
– il motivo è fondato, restando escluso solo con riguardo all’IRAP, qui non contestata, il c.d. “raddoppio” dei termini di accertamento in quanto la tutela ivi prevista non opera per tal imposta (in termini, e pluribus, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4742 del 24/02/2020) poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali;
– è ormai costante la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 13481 del 02/07/2020; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018) nel ritenere che il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, vigenti ratione temporis in forza delle modifiche normative introdotte con l’art. 37 c. 24 del d. L. n. 223 del 2006, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito peraltro già dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 247 del 2011; conseguentemente, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, questi deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario;
– con particolare riferimento alle relazioni tra le conclusioni e gli esiti del procedimento penale e il quello tributario, questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018) che il raddoppio dei termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo;
– infatti, la dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato e non dipende dal suo accertamento in concreto che può anche mancare per ragioni che trovano spiegazione e giustificazione nelle risultanze del procedimento penale e ivi spiegano i loro effetti; ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame, non consentito (che in questo caso non risulta esse stato né dedotto né provato) al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento;
– il correlativo tema di prova e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario risulta conseguentemente circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato (così, par. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale appena citata);
– il secondo motivo di ricorso si incentra sull’omesso esame ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR esaminato il fatto per cui le somme derivanti dall’evasione posta in essere dalla C.E.Z. s.r.l., partecipata dagli odierni controricorrenti, prima di esser investite nelle altre società riferibili agli stessi venivano incassate dagli stessi soci che disponevano in proprio di redditi modesti;
– il motivo è infondato;
– invero, la CTR ha in concreto valutato, e non del tutto pretermesso, il fatto consistente nell’avvenuto re-investimento di tali utili extrabilancio, ritenendo però che l’esistenza di tali proventi in ogni caso non assumeva rilevanza in capo ai soci poiché “il margine (corrispondente ai presunti utili extrabilancio) conseguito dalla C.E.Z. s.r.l. veniva poi fatto rientrare nella disponibilità della Suinicola C.S. srl e della C. S.M. Srl attraverso la fraudolenta rappresentazione di apporto di mezzi propri” (pag. 6 della sentenza impugnata);
– il terzo motivo di impugnazione censura la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 c.c. e degli artt. 44 e 45 TUIR, tutti in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per non avere la CTR fatto applicazione della presunzione (salva la prova del contrario) di distribuzione ai soci dei maggiori utili occulti accertati in capo alla società partecipata, escludendo che l’utilizzo di tali somme per sottoscrivere e versare aumenti di capitale delle società Suinicola e C.S.M. sopra citate costituisse percezione di tali utili in capo ai soci oggi contrari correnti;
– il motivo è fondato;
– come è noto, la suddetta presunzione può ovviamente essere vinta dal socio dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass. n. 1932 del 2/2/2016) e resta salva in ogni caso la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati concretamente distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (Cass. n. 18032 del 24/7/2013; n. 24572 del 18/11/2014; n. 15828 del 29/7/2016; (Cass. n. 15828 del 29/7/2016, in ultimo Cass. 27637/2019 e Cass. n. 7323/2021) o ad esempio sono stati oggetto di apprensione da parte dell’amministratore o esclusivamente da parte di altri soci;
– ciò posto, è chiaro come risulti del tutto irrilevante a questi fini (anzi è a ben vedere elemento indicativo e probante dell’esatto contrario) la circostanza qui dedotta dai contribuenti anche in controricorso (e ritenuta in ogni caso provata dalla CTR) in forza della quale il reinvestimento non è avvenuto da parte della società partecipata C.E.Z. s.r.l., ma da parte dei soci, i quali – nella loro veste sempre di soci – li hanno concretamente trasferiti nel capitale di altre società da costoro ancora partecipate;
– come correttamente notato in ricorso, tal operazione ha avuto luogo solo a seguito dell’ingresso di tali somme nel patrimonio dei soci, vale a dire nello loro disponibilità; essi per indirizzare ivi tali risorse (necessariamente, sia sul piano logico sia su quello giuridico) dovevano averne dapprima, per l’appunto, il potere di disporne; il che esclude che si possa sostenere che le somme in parola siano state re-investite dalla società C.E.Z. s.r.l. dal momento che una volta sottratte all’imposizione sono state apprese dai soci e poi da questi, non dalla società C.E.Z. s.r.I., ulteriormente dirottate altrove, sia pure in altre società partecipate sempre dai medesimi soci qui parti del giudizio;
– e in concreto, tali denari sono stati dapprima sottratti all’imposizione IRES in capo alla società C.E.Z. s.r.l., secondo la prospettazione dell’Ufficio, quindi trasferiti alle altre società; e ciò esclude, proprio sotto l’ulteriore profilo della loro destinazione, che siano nei fatti mai stati reinvestiti nella società C.E.Z. s.r.I.;
– pertanto, nel ritenere che di escludere che i presunti utili “essendo stati messi nella disponibilità delle suddette società, possano esser stati distribuiti ai soci”, la CTR ha erroneamente interpretato e altrettanto erroneamente applicato i principi di diritto sopra citati;
– il quarto motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. e dell’art. 44 e 45 del d.P.R. n. 917 del 1986 (c.d TUIR) in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto operante la presunzione di distribuzione di utili occulti nel caso di contestazione di operazioni inesistenti formulata in capo alla società a ristretta base societaria;
– il motivo, per le ragioni già esposte in sede di disamina del terzo motivo di ricorso, è fondato; ritiene questa Corte che sia del tutto irrilevante la genesi del maggior reddito sottratto a imposizione e le modalità della sua formazione e occultamento, sia in capo alla società produttrice del medesimo, sia in capo ai soci che ne sono ritenuti (salva la prova contraria, il cui onere grava su costoro) percettori e corresponsabili dell’illecito;
– detto reddito esiste e viene identicamente nascosto, previa alterazione delle risultanze dichiarative, all’Amministrazione (e se ne legittima la sua rideterminazione da parte dell’Ufficio) sia nel caso in cui la contestazione riguardi operazioni inesistenti sia nel caso in cui la contestazione riguardi altre condotte costituenti violazione di norme tributarie;
– il quinto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 35 del d. Lgs. n. 546 del 1992, 132 c.p.c. e 118 disp. att. ne c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la CTR anche ritenuto rilevante ai fini dell’annullamento degli atti qui impugnati l’intervenuto annullamento in autonomo giudizio degli atti presupposti, vale a dire gli avvisi di accertamento notificati alla società partecipata C.E.Z. s.r.I.;
– il motivo è fondato;
– questa Corte ritiene, con orientamento al quale nella presente sede il Collegio intende dare continuità, aderendovi, che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 752 del 19/01/2021) la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisca presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso – reso con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria – avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari; tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo, comunque e diversamente, ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’ accertamento sulla pretesa erariale;
– nel presente caso, indipendentemente dalla tipologia di giudicato sopra descritta, difetta invero radicalmente proprio il presupposto del giudicato: è la stessa la CTR al momento della propria decisione a far riferimento a pronunce (quelle rese riguardo gli accertamenti svolti “a monte”, in capo alla società partecipata) che pacificamente non erano per nulla passate in giudicato, essendo state rese addirittura “nella odierna camera di consiglio” corrispondente a quella che ha prodotto la sentenza qui gravata (pag. 6 ultima riga della sentenza CTR);
– pertanto, tali pronunce relative all’annullamento dell’avviso di accertamento emesso a carico della società C.E.Z. s.r.I., collocatosi “a monte” degli atti qui impugnata, non potevano avere la rilevanza pregiudiziale che in concreto la CTR ha loro attribuito;
– conclusivamente, il secondo motivo di ricorso è rigettato; i restanti motivi sono tutti accolti;
– la sentenza è quindi cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame, il quale provvederà anche sulle spese;
P.Q.M.
rigetta il secondo motivo di ricorso; accoglie tutti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna in diversa composizione anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
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