CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2021, n. 28810
Tributi – Accertamento con metodo analitico-induttivo – Medico odontoiatra – Discrasia contabile tra protesi acquistate e protesi fatturate ai clienti – Presunzione di omessa fatturazione di compensi – Legittimità
Rilevato che
1. All’esito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di G. C., esercente la professione di odontoiatra, l’Agenzia delle Entrate, sul rilievo della omessa contabilizzazione di compensi per prestazioni professionali, determinava, con metodo analitico – induttivo ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il maggior reddito imponibile ai fini IRPEF per l’anno 1994 e recuperava a tassazione le imposte non versate, in uno a sanzioni ed accessori.
2. L’impugnativa del relativo avviso di accertamento spiegata dal contribuente veniva accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Bari, la quale, anche sulla scorta dell’esito assolutorio del procedimento penale promosso a carico del contribuente, qualificava gli elementi indiziari addotti nell’atto impositivo a suffragio della omessa fatturazione di compensi come mere presunzioni semplici, non connotate dai caratteri della gravità, precisione e concordanza e, pertanto, annullava l’atto impositivo.
La decisione veniva poi confermata in sede di appello dalla Commissione tributaria regionale della Puglia.
3. A seguito di ricorso ex art. 360 cod. proc. civ. proposto dall’A.F., questa Corte, con la sentenza n. 4170/2013 del 20 febbraio 2013, cassava con rinvio la pronuncia di seconde cure, ritenuta inficiata dal vizio di insufficiente motivazione sul fatto decisivo della presunzione di maggiori ricavi desunta dalla discrasia contabile tra i documenti di acquisto di protesi dentarie e di fatturazione delle stesse a clienti, circostanza invece potenzialmente rilevante per essere legittima la ricostruzione induttiva di ricavi «ove la cessione o l’impiego in prestazioni d’opera di beni possa desumersi dalla esistenza di documentazione di acquisto».
4. Tempestivamente riassunta la controversia, la C.T.R. della Puglia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’impugnativa del contribuente e dichiarato legittimo l’atto impositivo.
5. Avverso quest’ultima pronuncia ricorre per cassazione G. C., affidandosi a tre motivi; resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso, si eccepisce nullità della sentenza «ex artt. 36, secondo comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.».
Si deduce, in sintesi, una omessa motivazione, meramente «fittizia» e contrastante con il modello prefigurato dalle evocate disposizioni, per avere il giudice territoriale mancato di esaminare una serie di elementi risultanti dagli atti di causa.
4.1. La doglianza è infondata.
Dopo aver individuato (in parte narrativa) il thema decidendum della lite e la tipologia (analitico-induttiva) dell’accertamento oggetto di controversia, l’impugnata pronuncia ha considerato la (pacifica e riscontrata dalle emergenze contabili) differenza quantitativa tra le protesi dentarie acquistate e quelle fatturate con le prestazioni professionali rese come una «obiettiva e reale circostanza», idonea a giustificare, in quanto integrante elemento presuntivo grave, preciso e concordante, «/ maggiori compensi non contabilizzati», rilevando altresì il mancato assolvimento ad opera del contribuente dell’onere della prova contraria.
Un percorso argomentativo del genere, oltremodo coerente nella sequenzialità tra premesse e conclusioni, rende chiari ed intellegibili il modo di formazione e gli strumenti asseverativi del convincimento espresso con la statuizione dispositiva: si è ben lungi dall’integrare una «motivazione apparente» (la quale ricorre quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione: Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass. 25/09/2018, n. 22598) o altra anomalia motivazionale (quale, ad esempio, il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» oppure la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile») sindacabile in sede di legittimità alla stregua dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla vicenda (sul punto, basti il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
5. Con il secondo motivo, denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta l’omesso esame dell’eccezione con cui aveva dedotto il difetto di motivazione dell’atto impositivo (siccome mancante dell’allegazione degli atti indicati nel p.v.c.) nonché la carenza di prove ex art. 2697 cod. civ., non avendo l’A.F. depositato il richiamato p.v.c. in fase contenziosa.
5.1. La doglianza non merita accoglimento.
Essa va, in primis, correttamente sussunta (senza che l’erronea intestazione del motivo sortisca effetti invalidanti: Cass., Sez. U., 24/07/2013, n. 17931; Cass. 20/02/2014, n. 4036) nella ragione di impugnazione prevista dal num. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ.: il mancato esame di una domanda o di un’eccezione integra infatti vizio di omessa pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.).
Come è noto, siffatto vizio è tuttavia escluso in ipotesi di rigetto implicito, ovvero quando il provvedimento accolga una tesi incompatibile con la domanda o l’eccezione proposta oppure emetta una decisione che implichi, per logica incompatibilità, il rigetto della domanda o eccezione.
Tanto si è verificato nella vicenda in esame.
Il positivo apprezzamento del giudice di prossimità in ordine alla idoneità delle ragioni esposte nell’atto impositivo a fondare la ripresa a tassazione importa, quale ineludibile presupposto, la valutazione di compiutezza motivazionale del contenuto dell’avviso opposto; la ritenuta fondatezza della pretesa erariale si fonda poi sulla sufficienza delle prove fornite all’uopo dall’Amministrazione finanziaria.
6. Con il terzo motivo, ancora per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., il ricorrente censura l’omessa disamina dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento ex art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per difetto di sottoscrizione ad opera del capo dell’ufficio o di funzionario direttivo da lui delegato.
6.1. Anche questo motivo non merita accoglimento.
La ragione di illegittimità dell’avviso in discorso non poteva essere esaminata dal giudice di merito, in quanto tardivamente dedotta.
Come si inferisce dalla narrazione dell’andamento della vicenda processuale operata dallo stesso ricorrente, la contestazione sulla regolare sottoscrizione dell’atto impositivo è stata sollevata per la prima volta con memoria illustrativa depositata nel corso del giudizio di primo grado (cfr. ricorso introduttivo del presente grado, pag. 10).
Orbene, nel processo tributario, caratterizzato dalla introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, il thema decidendum è limitato alle censure specificamente dedotte dal contribuente nel ricorso introduttivo di primo grado, per essere ammissibile la presentazione di motivi aggiunti unicamente in caso di «deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione» (art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992). La deduzione, nella memoria depositata lite pendente, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento è pertanto inammissibile, in quanto la lite ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni avverso l’atto impositivo proposte con il libello introduttivo, le quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto (ex plurimis, Cass. 24/07/2018, n. 19616; Cass. 13/04/2017, n. 9637; Cass. 24/10/2014, n. 22662; Cass. 02/07/2014, n. 15051).
7. Rigettato il ricorso, le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
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