CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2021, n. 28919
Obbligo contributivo – Iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli – Domanda di cancellazione – Cessazione dell’attività lavorativa
Con sentenza del 3.3.15 la corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza del 6.6.12 del tribunale di Foggia che aveva rigettato l’opposizione del sig. S. a cartella esattoriale per contributi IVS gestione coltivatori diretti per gli anni 2004-2005 2008.
In particolare la corte ha affermato l’obbligo contributivo per la perdurante iscrizione del contribuente negli elenchi dei lavoratori agricoli, non essendo stata accolta la domanda di cancellazione in quanto non firmata, e per l’insufficienza delle prove offerte (in particolare, un contratto d’affitto del fondo nello stesso ambito familiare) a dimostrazione della cessazione dell’attività lavorativa.
Avverso tale sentenza ricorre il contribuente per 4 motivi, cui resiste con controricorso l’INPS.
Con i quattro motivi di ricorso (prospettati sia per vizi di violazione di legge -pur senza richiamare specifiche norme che si assumono violate- sia per vizio di difetto di motivazione, vizi che peraltro si sovrappongono per più profili, anche per la loro genericità ed assenza di precisione), il ricorrente deduce in sostanza che la sentenza impugnata ha trascurato sia il silenzio dell’INPS sulla domanda di cancellazione, sia l’accoglimento tardivo della stessa (durante il processo d’appello), con sgravio dei contributi.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente per quanto detto: essi sono inammissibili.
A parte ogni considerazione inerente la mancata indicazione specifica di singole norme che si assumono violate e delle ragioni della relativa addotta violazione, deve evidenziarsi che la sentenza impugnata ha respinto le pretese attoree rilevando da un lato che per i coltivatori diretti – ove la costituzione del rapporto previdenziale avviene solo all’esito della iscrizione effettiva negli elenchi di categoria- la cancellazione postula la prova della cessazione dell’attività rilevante, prova nella specie non data (non essendo sufficiente la prova dell’esistenza di un contratto di affitto del medesimo fondo con altro familiare); dall’altro lato la sentenza ha rilevato che nella specie non vi era una domanda amministrativa di cancellazione (non essendo stata firmata quella presentata).
Nella specie, dunque, la parte della sentenza (e relativa ratio decidendi) relativa ai presupposti della cancellazione (ossia alla prova del venir meno dell’attività lavorativa che comporta l’iscrizione negli elenchi degli agricoli) non è stato state oggetto di alcuna doglianza e dunque vale da sola a sorreggere l’impugnata sentenza.
Questa Corte ha infatti reiteratamente affermato Sez. U, Sentenza n. 16602 del 08/08/2005, Rv. 582945 – 01 e, più di recente, Sez. 3 – , Sentenza n. 13880 del 06/07/2020, Rv. 658309 – 01; Sez. 1 – , Ordinanza n. 17182 del 14/08/2020, Rv. 658567 – 01) che, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse “rationes decidendi”, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla “ratio decidendi” non censurata, piuttosto che per carenza di interesse.
Quanto ai motivi inerenti i pretesi vizi di motivazione, deve rilevarsi la parte richiama per lo più mere valutazioni e non fatti (che soli rilevano ai fini del vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., ricorrendo gli altri presupposti di legge) e che il solo fatto richiamato dalla parte che potrebbe astrattamente assumere rilevanza è lo sgravio dei contributi operato a seguito della cancellazione tardivamente operata dall’INPS in corso di causa, ma al riguardo il motivo è del tutto carente in violazione del principio di autosufficienza, in quanto non riporta il provvedimento, come era necessario per comprendere la rilevanza del fatto e soprattutto la portata e l’ambito temporale dell’asserito sgravio.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese al 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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