CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2021, n. 28984

Tributi – Accertamento induttivo ex art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 – Reddito d’impresa – Chiusure del conto cassa in negativo – Contabilità inattendibile – Sussiste

Fatto e diritto

Considerato che:

Con sentenza nr 4819/2018 la CTR del Lazio accoglieva l’appello proposto dalla società A. s.r.l. avverso la pronuncia della CTP di Roma con cui era stato rigettava il ricorso avente ad oggetto l’impugnativa di un avviso di accertamento relativo ad un maggior reddito imponibile ai fini Ires, Irap ed Iva.

Il giudice di appello rilevava che l’Ufficio non avrebbe potuto procedere ex art 39 del D.P.R. nr 600/1973 in quanto le scritture contabili erano regolari. Osservava comunque che l’accertamento era infondato giacché i saldi di cassa negativi non potevano di per sé costituire elementi tali da far venir meno l’affidabilità delle scritture contabili.

La CTR riteneva fondate le censure del contribuente in merito alla percentuale di ricarico per errata individuazione “dei prodotti maggiormente significativi” nella determinazione del reddito finale, il cui calcolo andava effettuato sul valore degli acquisti e non del venduto.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi cui resiste la contribuente con controricorso illustrato da memoria.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 39 del DPR 600/1973 in relazione all’art 360,primo comma nr 3 c.p.c.

Critica la decisione nella parte in cui aveva ritenuto non sussistenti i presupposti per procedere all’accertamento induttivo.

Si lamenta che la CTR non avrebbe fatto buon governo dei principi espressi dalla cassazione in merito all’accertamento induttivo ex art 39 del DPR 600/1973.

Si osserva al riguardo che la chiusura in rosso di un conto di cassa significa che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati e rappresentano una anomalia contabile sufficiente a legittimare l’accertamento di tipo induttivo.

Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 comma secondo del dlgs nr 546/1992 e dell’art 132 c.p.c. comma secondo nr 4 in relazione all’art. 360,primo comma nr 4 c.p.c.

L’ufficio si duole che la CTR con scarna motivazione si sarebbe limitata ad aderire alla tesi difensiva del contribuente senza indicare le ragioni del proprio convincimento malgrado le specifiche argomentazioni dell’Amministrazione in ordine alla correttezza della tipologia ricostruttiva utilizzata.

Per priorità logico giuridica occorre iniziare la disamina dal secondo motivo di ricorso che è infondato.

Giova ricordare che è denunciarle in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020).

In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, è possibile ravvisare una “motivazione apparente” nel caso in cui, pur essendo la stessa graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

Un simile vizio – da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – è, nella specie, insussistente. La CTR ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per procedere all’accertamento induttivo in assenza delle presunzioni gravi precise e concordanti ed ha considerato comune non corretto prendere a verifica solo determinati prodotti nel computo del reddito finale il cui calcolo doveva essere effettuato sul valore degli acquisti e non su quello del venduto.

Il primo motivo è fondato.

In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg e Iva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo” (Sez.5, nn. 11998 del 2011, 27585 del 2008, 24509 del 2009). La dottrina ragionieristica e, con essa, la giurisprudenza di questa Corte hanno chiarito che, siccome la chiusura “in rosso” di un conto di cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degl’introiti registrati, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l’esistenza di altri ricavi, non registrati. Si deve conseguentemente ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di attività (almeno equivalente al disavanzo).

Di talché, atteso il riparto degli oneri probatori regolato dal regime di presunzioni del D.P.R. n. 633, art. 54, comma 2, e del D.P.R. n. 600, art. 39, comma 2, l’Ufficio non era tenuto fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati. Com’è noto, in questi casi, l’onere della prova s’inverte dovendo la società contribuente offrire prove contrarie merce la dimostrazione di ulteriori componenti positive del reddito (es. a titolo di prestiti e/o conferimenti, corrispondenti al suddetto saldo di cassa e di provenienza diversa rispetto ai ricavi contabilizzati), ovvero dimostrare errori di scritturazione e/o problemi d’impostazione contabile.

Ciò posto la sentenza d’appello, pertanto, va censurata sul punto impugnato, perché contiene un vizio logico quando, pur riconoscendo l’anomalia, considera ingiustificata la conclusione dell’occultamento di ricavi, ritenendo fondate le censure del contribuente in merito alla percentuale di ricarico per errata individuazione dei prodotti maggiormente significativi nella determinazione dei reddito finale.

Inoltre, la decisione di secondo grado non rende conto delle ragioni addotte dal fisco nel processo verbale di verifica per accreditare la propria tesi limitandosi ad annotare che “il saldo negativo non costituisce di per sé elemento utile per far venir meno l’affidabilità delle scritture contabili” senza ulteriori specificazioni, necessarie per superare la presunzione ex actis di maggiori guadagni e i principi contabili di veridicità e chiarezza dei bilanci societari (artt. 2423 e 2424 c.c.). Per le ragioni esposte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo e previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.