CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 aprile 2018, n. 9844
Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Procedimento – Contenzioso tributario
Rilevato che
– la Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava i ricorsi riuniti proposti da B. A. avverso avvisi di accertamento e cartelle di pagamento emessi nei suoi confronti quale di amministratore di fatto della soc. Ci Esse s.r.i., a seguito della rideterminazione dei redditi e delle conseguenti maggiori imposte dovute;
– tale sentenza è stata confermata in grado d’appello dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr), che faceva propria la valutazione dei primi giudici su tutti i contenuti dell’accertamento (ricostruzione induttiva del reddito e qualità di amministratore di fatto del B.);
– contro la sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui l’Agenzia delle entrate reagisce con controricorso.
Considerato che
– il primo motivo è inammissibile;
– in verità sotto lo schermo della violazione di legge la parte deduce un difetto di motivazione, che tuttavia non si attiene ai requisiti attualmente richiesti dall’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. (infra) per la denuncia in cassazione di un simile vizio;
– il motivo inoltre incorre in un difetto di autosufficienza, perché non deduce come e dove la esistenza della procura speciale fu sottoposta all’esame del giudice d’appello;
– il secondo motivo è inammissibile;
– la sentenza è stata pubblicata dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012;
– quindi trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, primo comma, lett. b), del suddetto d.l., che consente l’impugnazione solo “per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
– le Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza n. 8053 del 2014 ha chiarito che le modifiche si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle Commissione tributarie regionali
– le stesse Sezioni Unite (con la medesima sentenza n. 8053 del 2014) hanno delineato l’ambito del controllo demandato al giudice di legittimità sulla base della riformulazione della norma in questi termini: «il controllo previsto dall’art. 360, c.p.c., nuovo n. 5) concerne […] l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extra testuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti […]. La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il fatto storico in cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extra testuale (emergente dagli atti processuali) da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione fra le parti, la decisività del fatto stesso».
– nella stessa pronuncia le Sezioni Unite hanno inoltre evidenziato come «nella riformulazione dell’art. 360, c.p.c., n. 5) scompare ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà»;
– diversamente il motivo in esame, come risulta fin dalla rubrica, non deduce un omesso esame, ma un vizio di motivazione, la cui deduzione non è più consentita;
– in verità il motivo consiste in una critica globale della sentenza, che vorrebbe preludere a un riesame del materiale istruttorio, non consentito già in base a testo originario del n. 5 del primo comma dell’art. 360 nel testo applicabile ratione temporis, «posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità» (Cass. n. 11789/2005);
– il ricorso, pertanto, va rigettato;
– le spese seguono la soccombenza;
– poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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