CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32962
Tributi – Imposta provinciale di trascrizione – Accertamento – Perfezionamento del silenzio assenso – Contenzioso tributario
Svolgimento del processo
T.A. e M.A. hanno proposto distinti ricorsi presso la Commissione tributaria provinciale di Mantova per accertare la nullità, conseguente al perfezionamento del silenzio assenso, e per ottenere l’annullamento dei provvedimenti datati 9 febbraio 2009 con i quali il funzionario responsabile dell’Imposta provinciale di trascrizione della Provincia di Mantova aveva risposto in modo negativo alle istanze di interpello dalle stesse proposte e concernenti l’esenzione dal pagamento dell’imposta provinciale di trascrizione degli atti societari di conferimento del loro parco veicoli, nonché di tutti gli atti presupposti e/o conseguenti, in particolare dei provvedimenti con cui l’Aci-Ufficio Provinciale di Mantova Pubblico Registro automobilistico aveva respinto le pratiche delle medesime società.
Si è costituita la sola Provincia di Mantova.
La Commissione tributaria provinciale di Mantova, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 85/2/10, li ha accolti.
La Provincia di Mantova ha proposto appello.
La Commissione tributaria regionale di Milano, Sez. Dist. di Brescia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 139/67/11, ha accolto l’appello.
M.A. srl e T.A. srl hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
La sola Provincia di Mantova si è costituita mediante controricorso.
Le società ricorrenti e la Provincia di Mantova hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con un unico motivo di ricorso le società ricorrenti deducono l’erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 e dell’articolo 8 del regolamento per l’istituzione e l’applicazione dell’imposta provinciale di trascrizione della Provincia di Mantova, nonché la falsa applicazione dell’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed il suo travisamento.
M.A. srl e T.A. srl lamentano che la Commissione tributaria regionale di Milano, Sez. Dist. di Brescia, avrebbe errato nel respingere i loro ricorsi sul presupposto, da esse, peraltro, condiviso, della non impugnabilità delle risposte alle istanze di interpello, non essendo questo l’oggetto del contendere.
Infatti, la controversia in esame sarebbe stata volta, in via principale, ad ottenere l’accertamento giudiziale dell’avvenuto perfezionamento dell’istituto del silenzio assenso, con riferimento alle suddette istanze, come disciplinato dagli articoli 11 della legge n. 211 del 2000 ed 8 del Regolamento provinciale per l’istituzione e l’applicazione dell’imposta provinciale di trascrizione.
La doglianza è inammissibile.
Pur volendo accogliere la prospettazione dell’oggetto del giudizio delle società § ricorrenti, deve rilevarsi che, benché la tutela del contribuente riguardo ai “tributi di ogni genere e specie” sia affidata alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario, tale tutela può svolgersi solo attraverso l’impugnazione di specifici atti impositivi dell’amministrazione finanziaria, non essendo ammissibile un accertamento preventivo, positivo o negativo del debito di imposta ove manchino i suddetti atti, nella richiesta del cui annullamento consiste il petitum sostanziale idoneo a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice tributario (Cass., SU, n. 6224 del 21 marzo 2006).
Se ne ricava che non sono in linea di principio proponibili azioni di mero accertamento del silenzio assenso formatosi, come quella esercitata dalle parti ricorrenti, potendo essere contestati esclusivamente gli specifici atti impositivi emessi in contrasto con il detto silenzio assenso, mentre risulta preclusa la verifica dell’esistenza dello stesso anteriormente all’adozione degli atti impositivi de quibus.
Sostengono, altresì, M.A. srl e T.A. srl che, comunque, in materia di imposta provinciale di trascrizione, la risposta all’atto di interpello avrebbe natura provvedimentale, provenendo dalla medesima amministrazione beneficiaria del pagamento dell’imposta, con la conseguenza che sarebbe atto impugnabile.
Così definita la questione, si osserva che viene qui in rilievo la tematica dell’impugnabilità delle risposte agli atti di interpello formulate ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000.
La disciplina legale dell’interpello ha origine nell’articolo 21 della legge n. 413 del 1991, che ha previsto la facoltà per il contribuente di domandare pareri all’Amministrazione con riferimento all’applicazione delle norme antielusive.
Ai sensi del comma 3 del menzionato articolo 21, il parere aveva efficacia esclusivamente ai fini e nell’ambito del rapporto tributario e, nell’eventuale fase contenziosa, sulla parte che non si fosse conformata al parere, sarebbe gravato l’onere della prova.
Successivamente lo Statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge n. 212 del 2000, ha generalizzato, con l’articolo 11, l’istituto dell’interpello, volto a consentire al contribuente di conoscere l’opinione dell’Amministrazione finanziaria per l’applicazione di disposizioni tributarie nel caso concreto, quando vi fossero obiettive condizioni di incertezza sulla loro interpretazione, restando comunque confermato il parere antielusivo introdotto dal citato articolo 21.
Sono nati, perciò, due modelli di interpello, quello ordinario, di cui all’articolo 11 dello Statuto del contribuente, e quello ex articolo 21 della legge n. 413 del 1991, ed è sorta la questione del loro inquadramento giuridico.
Il legislatore è, quindi, intervenuto con il d.lgs. n. 156 del 2015, per riordinare la disciplina degli interpelli e predisporre una regolamentazione omogenea dell’istituto, elevato al rango di diritto.
In seguito a tale nuova normativa, è stato modificato l’articolo 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, che contiene ormai una partizione delle tipologie dei vari interpelli.
L’articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015 stabilisce che le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 non sono impugnabili, salvo quelle alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, vale a dire le richieste di disapplicazione di norme antielusive, avverso le quali il ricorso può essere proposto unitamente all’atto impositivo.
La giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di considerare questa ultima previsione non applicabile retroattivamente, con la conseguenza che nelle controversie che, come quella in esame, sono state instaurate prima della sua entrata in vigore, permane il problema dell’impugnabilità degli atti di interpello, che resta regolata dalla disciplina precedente.
In particolare, la Suprema Corte ha riconosciuto al contribuente, prima della riforma del 2015, la facoltà di impugnare il diniego di disapplicazione di norme antielusive ex articolo 37-bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973, considerato che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’articolo 19 del d. lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione finanziaria porta a conoscenza del contribuente medesimo, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass., Sez. 6 – 5, n. 3775 del 15 febbraio 2018; Cass., Sez. 5, n. 17010 del 5 ottobre 2012).
Questa conclusione è stata giustificata sull’assunto che, ai fini dell’individuazione degli atti soggetti ad impugnazione ai sensi del summenzionato articolo 19, oltre ai singoli provvedimenti nominativamente indicati nella citata disposizione, deve aversi riguardo agli effetti giuridici prodotti in concreto dall’atto nella sfera giuridica del contribuente, i quali devono essere astrattamente idonei a fondare l’interesse del medesimo all’impugnazione ex articolo 100 c.p.c. poiché contenenti una compiuta e definita pretesa tributaria.
L’applicazione di criteri di interpretazione estensiva ed analogica nella individuazione delle categorie di atti contenuti nell’elenco indicato dall’articolo 19 summenzionato trovava, infatti, fondamento nell’esigenza di certezza dei rapporti tributari e nei principi costituzionali di buon andamento della Pubblica Amministrazione ex articolo 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del contribuente di cui all’articolo 24 Cost.
Pertanto, la tassatività dell’elenco dell’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 è stata riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma agli effetti giuridici da essi prodotti.
La vicenda in esame, però, concerne non interpelli relativi a fattispecie antielusive, ma l’interpello ordinario interpretativo disciplinato dall’articolo 11 dello Statuto del contribuente e facoltativamente azionabile dall’interessato.
Mentre, con riferimento ai primi, si è sostenuto in dottrina che la risposta abbia natura provvedimentale e, dunque, in senso lato impositiva, considerato che l’accoglimento dell’istanza avrebbe una sorta di valenza autorizzatoria perché, in questo caso, il richiedente potrebbe disapplicare la norma antielusiva, quanto ai secondi la ricostruzione deve essere diversa, dato che è più evidente la loro qualificazione come pareri in senso stretto.
Peraltro, anche accogliendo la diversa impostazione per la quale la risposta all’interpello, compreso quello disapplicativo, non sarebbe l’esito finale di un percorso necessario per non applicare la norma sfavorevole, ma sempre un mero parere che, se favorevole al contribuente, vincolerebbe l’Amministrazione e, se sfavorevole o non richiesto, non impedirebbe al contribuente di procedere come meglio ritiene, fatto salvo il potere dell’amministrazione di esercitare la pretesa impositiva e il correlativo diritto del contribuente di impugnarla in sede giurisdizionale, la distinzione fra le due tipologie di interpello non verrebbe meno, riguardando quello antielusivo la richiesta di disapplicazione di una specifica normativa che, linea generale, dovrebbe regolare la fattispecie.
Tale distinzione è confermata dall’articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015, il quale ha stabilito che “le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, non sono impugnabili, salvo le risposte alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 11, avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo”.
Il comma 2 dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 recita, invece, che
L’innovazione legislativa, benché non sia applicabile retroattivamente, ha un rilievo che incide sull’interpretazione da adottare in un caso – come quello in esame, concernente interpelli ordinari – nel quale non è rinvenibile un chiaro indirizzo della giurisprudenza di legittimità come, al contrario, in tema di interpello antielusivo.
Da detta innovazione si evince che il legislatore ha escluso la configurabilità.
come atto autonomamente impugnabile della risposta per tutti i tipi di interpello, considerandoli alla stregua di pareri, che si manifestano in una fase prodromica all’attività dell’accertamento vero e proprio, dovendo essere contestato, perciò, il solo atto impositivo finale.
Se ne ricava che non è possibile ricorrere contro le risposte (negative) agli interpelli ordinari, non incidendo queste direttamente in danno del contribuente, a nulla rilevando che l’ente che ha fornito tali riposte sia quello che beneficerà dei tributi versati.
2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
3. Le spese di lite seguono la soccombenza ex articolo 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– condanna le società ricorrenti a rifondere le spese di lite in favore della Provincia di Mantova, che liquida in complessivi € 7.200,00, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.
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