CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 32991
Tributi – Convenzione Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni – Regime fiscale società madri e figlie residenti in diversi stati membri dell’Unione Europea – Credito di imposta per dividendi distribuiti
Rilevato che
1. nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Società di diritto inglese del provvedimento di diniego di sei istanze di pagamento del credito di imposta relativo ai dividendi distribuiti nel 1995, 1997, 1998 e 1999 ai sensi dell’art. 10, par 4, lett. b) della convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 329 del 5.11.1990, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo (d’ora in poi C.T.R.) rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, confermando la decisione di primo grado (favorevole alla società);
in particolare, la C.T.R., dichiarata pregiudizialmente l’inammissibilità del primo motivo di appello, con cui l’Amministrazione aveva denunciato la violazione di legge per la dedotta alternatività dell’art. 10 della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito e della direttiva 23 luglio 1990, n. 435/90/CEE, relativa al regime fiscale applicabile alle società madri e figlie residenti in diversi stati membri dell’Unione Europea, riteneva comunque infondati i restanti motivi di appello, relativi alla qualità di effettiva beneficiaria dei dividendi erogati in capo alla società appellata ed alle prove dell’avvenuto pagamento;
2. avverso la sentenza della C.T.R. l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso articolato su tre motivi;
3. a seguito del ricorso, la società resiste con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 novembre 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.l.g.s n. 546/92 e dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c. ed all’art.62, primo comma d.lgs. n. 546/92;
secondo la ricorrente, il giudice di appello aveva ritenuto erroneamente inammissibile, perché avanzata per la prima volta in appello, la questione relativa alternatività dell’art. 10 della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito e della direttiva 23 luglio 1990 n.435/90/CEE;
tale questione, unitamente a quella relativa alla soggezione dei dividendi a tassazione nel Paese di residenza della società madre, beneficiaria degli stessi, atterrebbe alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 10 della Convenzione, che il giudice era tenuto a valutare anche d’ufficio per stabilire la fondatezza o meno della domanda di rimborso;
con il secondo motivo l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 10, par.4, lett b) della Convenzione Italia-Regno Unito, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n.329/1990, in relazione all’art.62 d.lgs. n.546/1992;
secondo l’Agenzia delle Entrate la C.T.R. avrebbe erroneamente limitato il concetto di beneficiario effettivo, escludendo che la società costituisse una semplice “società veicolo”, per il fatto che l’interponente ( la soc. Albright & Wilson PLC) aveva anch’essa sede in Gran Bretagna e non in un Paese a fiscalità privilegiata;
con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c. e 62, comma 1, d.lgs. n.546/92, perché la C.T.R. non avrebbe adeguatamente esaminato i fatti addotti dall’Ufficio allo scopo di dimostrare che la società fosse priva di capacità operativa e fosse una mera intermediaria di altri soggetti e non l’effettiva beneficiaria dei dividendi;
1.2. i motivi sono connessi;
il primo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del secondo e del terzo;
1.3. com’è noto il divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la legge 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 cod. proc. civ., e successivamente esteso al giudizio tributario dall’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo;
detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, esame e valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò fatti, allegazioni probatorie e argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione (v. ex pluribus Cass., Sez. 6 – 5, O rd. n. 6391 del 13/03/2013, Rv. 625589);
nel caso di specie la contestazione della sussistenza dei presupposti del vantato credito d’imposta, essendo volta a negare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio dalla società ricorrente e non già a contrapporvi fatti diversi con effetto estintivo, modificativo o impeditivo, configura mera difesa e non già eccezione in senso proprio e come tale è suscettibile di essere dedotta anche per la prima volta in appello, senza che ciò possa considerarsi violare il divieto dei nova dettato dall’art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; (vedi in motivazione Cass. sent. 10792/2016);
tali considerazioni sono riferibili sia nel caso in cui la società residente madre all’estero abbia impugnato il silenzio rifiuto dell’amministrazione sull’istanza di pagamento del credito di imposta, sia nel caso in cui l’impugnativa sia rivolta avverso un provvedimento esplicito di diniego;
“in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale” (Sez. 5, Sentenza n. 21197 del 08/10/2014, che ha ritenuto che l’esclusione del diritto al rimborso, derivante dall’adesione del contribuente al condono, può essere dedotta per la prima volta anche in appello dall’Amministrazione finanziaria, trattandosi di questione che, pur non esclusivamente processuale, partecipa a tale natura ed è, dunque, rilevabile d’ufficio; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 29613 del 29/12/2011, secondo cui le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza dei fatti -costitutivi del credito- o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione);
il giudice di appello, quindi, era tenuto a valutare anche d’ufficio la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 10 della Convenzione Italia – Regno Unito per stabilire la fondatezza o meno della domanda di rimborso del credito di imposta;
invero, come, è stato detto in relazione al credito d’imposta previsto dall’art. 10, paragrafo 4, lett. b), Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con I. n 20 del 1992 (normativa sostanzialmente analoga a quella oggetto di causa), “in tema d’imposte sui dividendi azionari, la società madre francese che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell’attuazione in Francia della Dir. 90/435/CEE non ha diritto al credito d’imposta previsto dall’art. 10, paragrafo 4, lett. b), Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, ratificata con I. n 20 del 1992, in quanto l’esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare” (Sez. 5, Sentenza n. 23367 del 06/10/2017);
inoltre la Corte di merito, alla stregua delle su riportate argomentazioni, avrebbe dovuto verificare se la società di diritto britannico fosse soggetta ad imposta sui dividendi percepiti dalla società controllata italiana;
ciò in conformità al chiaro disposto sul punto della citata norma convenzionale che, ai fini dell’applicabilità dell’invocato beneficio, richiede, oltre ai requisiti della residenza nello Stato estero e della qualità di beneficiaria effettiva, anche l’essere la società che riceve i dividendi «a tal titolo» soggetta all’imposta del Regno Unito, laddove l’inciso «a tal titolo » tende evidentemente a postulare uno specifico rilievo impositivo dei dividendi;
1.4. l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei successivi motivi, secondo e terzo;
la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla C.T.R. dell’Abruzzo, in diversa composizione, per nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi enunciati;
la Corte demanda alla C.T.R. di provvedere in sede di rinvio anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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