CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2018, n. 33008
Tributi – Accertamento – Riscossione – Versamento dei soci a copertura delle perdite – PVC – Processo tributario
Rilevato che
1. La controversia riguarda l’opposizione, da parte della S. Srl, avverso un avviso di accertamento ex art. 41 – bis, del d.P.R. n. 600/1973, con il quale l’Agenzia delle entrate, in seguito ad un verbale di constatazione della Guardia di Finanza (datato 7/08/1998), contestò alla società, ai fini IRPEG e IRAP, per l’annualità 1995, un maggiore reddito imponibile di lire 319.072.000 (euro 164.786,93);
2. la Commissione tributaria provinciale di Messina, con sentenza n. 621/05/2002, accolse il ricorso della contribuente; tale pronuncia è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia (in seguito: CTR), con la decisione in epigrafe;
la CTR, per un verso, ha escluso che la contribuente, in qualità di appaltatrice, nell’anno d’imposta 1995, avesse maturato un credito, certo ed esigibile, verso la committente S. Srl, per lavori eseguiti presso il cantiere “C.L.T.”, in quanto, al 31/12/1995, i lavori erano tuttora in corso; per altro verso, con riferimento al recupero a tassazione di lire 38.258.000, relativo ad un versamento dei soci a copertura delle perdite, non ha ritenuto: “violata alcuna normativa fiscale”;
3. per la cassazione ricorre l’Agenzia delle entrate, sulla base di quattro motivi; la società, che resiste con controricorso, ha depositato una memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in cui sarebbe incorsa la CTR che, da un lato, non ha esposto le ragioni del proprio convincimento e, dall’altro, non ha tenuto conto che il recupero fiscale è scaturito da un controllo incrociato, compiuto dalla Guardia di Finanza, sulla contabilità di S. Srl e di M.C., che aveva effettuato lavori edili, presso il cantiere “C.L.T.” di proprietà della S. Srl (che, formalmente, aveva incaricato dell’esecuzione delle opere la stessa S. Srl), per i quali aveva emesso cinque fatture, per complessive lire 212.5000.00, intestandole a S. Srl;
da questa circostanza, tralasciata dal giudice d’appello, l’Agenzia aveva desunto che, se l’appaltatrice effettiva aveva fatturato a S. Srl, quest’ultima avrebbe dovuto riaddebitare alla committente S. Srl il corrispettivo pagato, maggiorato della percentuale del 30%, pari alla normale redditività del settore edilizio, per un totale di lire 276.250.130, quale reddito non dichiarato che, perciò, era stato recuperato a tassazione;
in base alla prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, quindi, il decisum dei giudici di merito, secondo cui il recupero non era legittimo in quanto la società verificata non aveva alcun obbligo di fatturazione, al 31/12/1995, poiché i lavori erano ancora in corso, era eccessivamente semplicistico, sia perché non erano indicati gli elementi di fatto sottesi a una simile asserzione, sia perché l’emissione delle fatture, da parte della società che aveva effettivamente eseguito i lavori, e il loro pagamento, da parte di S. Srl, costituivano una solida base presunzione rispetto al fatto, ignoto, che anche il credito di S. Srl verso la committente S. Srl fosse stato soddisfatto;
2. con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si addebita alla CTR la violazione e la falsa applicazione dell’art. 41-bis, del d.P.R. n. 600/1973 per non avere attribuito alcuna rilevanza alla ricostruzione presuntiva del reddito in questione, da parte dell’Ufficio che, dal canto suo, si era uniformato al meccanismo probatorio delineato da tale articolo;
2.1. il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati;
e, invero, l’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicché il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva (Cass. 4/04/2018, n. 8406);
ciò precisato, la CTR non ha fatto corretta applicazione di tale principio e, a causa di un error in judicando, ha completamente trascurato che, a norma dell’art. 41-bis, l’esistenza di un reddito non dichiarato può essere accertata anche per presunzioni; in secondo luogo, con un vizio dell’apparato argomentativo, ha affermato, in termini anapodittici, che, alla fine del 1995 (annualità in verifica), l’appalto che avrebbe generato il reddito non dichiarato era ancora in corso; infine, non ha preso posizione, esplicitando il percorso logico seguito, sulla tesi dell’Agenzia, per la quale il reddito in questione poteva essere accertato per presunzioni, giacché, di solito, l’appaltatrice paga l’impresa cui ha demandato la realizzazione delle opere solo dopo avere ricevuto, a sua volta, il pagamento da parte della committente;
3. con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., si fa valere il vizio di motivazione della decisione che ha laconicamente disatteso il recupero a tassazione delle somme versate dai soci a copertura delle perdite, non ritenendo violata alcuna norma, senza considerare che l’Ufficio aveva puntualmente esposto che, per la deducibilità di quel costo, sarebbe stata necessaria la prova documentale dell’esistenza della perdita e della decisione sociale di coprirla con un versamento da parte dei soci, laddove, nella specie, S. Srl non aveva prodotto, neppure in fase contenziosa, un documento (ad esempio: un verbale d’assemblea) a supporto di una simile scelta gestionale;
4. con il quarto motivo, ai sensi degli artt. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, del d.lgs. n. 546/1992, infine, si critica la sostanziale assenza di motivazione e, conseguentemente, la nullità della sentenza, che poggerebbe su mere affermazioni di principio;
4.1. il quarto motivo è fondato;
secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 7/04/2014, nn. 8053 e 8054): «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denundabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»;
onde, a seguito della riforma del 2012 – proseguono le sezioni unite – scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata;
le sezioni unite, inoltre, hanno statuito che: «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione)» (Cass. 3/11/2016, n. 22232);
nella controversia tributaria in esame, con riferimento al tema del decidere (recupero, da parte dell’ente collettivo, delle somme versate dai soci a copertura delle perdite), la Commissione regionale dichiara, esclusivamente, di non ravvisare la violazione di alcuna norma, senza illustrare alcun iter logico e senza prendere posizione sull’assunto dell’Ufficio, che aveva negato la deducibilità del costo, in mancanza di una corrispondente deliberazione societaria;
5. il terzo motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del quarto motivo;
6. alla stregua di queste considerazioni, accolti il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo di ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui è demandato anche di decidere sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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