CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2019, n. 4921

Tributi – Dichiarazioni fiscali – Rettifica – Accertamento – Maggior reddito – Riscossione – Sanzioni

Fatti di causa

A. – A.P.I. – s.p.a. propose ricorso avverso avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate, in rettifica della dichiarazione relativa all’annualità 1997, aveva accertato un maggior reddito, a fini irpeg, di € 22.025.520,20 e, a fini ilor, di € 17.176.980, con conseguenti maggiori imposte e relative sanzioni.

Per quanto ancora rileva, l’accertamento risultava determinato dal recupero a tassazione dell’importo di I. 32.133.466.000, a titolo di costi non inerenti, e di quello di I. 541.413.000 a titolo di indebita deduzione ammortamenti.

L’adita commissione provinciale accolse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale.

Avverso la decisione di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione in sei motivi.

La società contribuente ha resistito con controricorso ed illustrato le proprie ragioni anche con memoria.

Ragioni della decisione

I) 1. Con i primi quattro motivi di ricorso (tutti dotati d’idoneo quesito di diritto), L’Agenzia censura le determinazioni del giudice di appello poste a fondamento dell’affermata illegittimità del primo dei recuperi sopra menzionati: quello per costi non inerenti.

2. In particolare, con il primo motivo di ricorso per cassazione, deducendo “nullità della sentenza per violazione dell’art. 53, comma 1, d.l. n. 546 1992, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c.”, l’Agenzia censura la sentenza impugnata, laddove – in merito alla ritenuta illegittimità della ripresa di quota di deduzione del costo di prestazioni di raffinazione per l’eccesiva misura del corrispettivo all’uopo convenuto – essa ha ritenuto inammissibile il suo appello, per mancata aggressione dell’autonoma ratio decidendi, costituita dall’affermata impossibilità, per l’Ufficio, di sindacare le scelte imprenditoriali della società.

Il motivo è fondato.

Dall’atto di appello dell’Agenzia, così come incontrastatamente riportato in ricorso, emerge, infatti, che, in detto atto, l’Agenzia ha compiutamente contrastato l’assunto in rassegna ribadendo che il sindacato sulla congruità del corrispettivo contrattualmente stabilito per le prestazioni di raffinazione le era consentito proprio nell’ambito della doverosa valutazione, in tema di deduzione dei costi, del rispetto della regola dell’inerenza sancita dall’art. 75 t.u.i.r..

3. Con il secondo motivo di ricorso per cassazione, l’Agenzia ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la decisione impugnata per aver erroneamente ritenuto vincolante ai fini della controversia in oggetto, in tema di irpeg ed ilor, il giudicato formatosi tra le parti in controversia avente ad oggetto iva.

Il motivo è fondato, posto che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, da cui non v’è motivo di discostarsi, nel processo tributario l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi (nella specie, iva ed irpeg – ilor), stante la diversità strutturale delle suddette imposte, oggettivamente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto (Cfr. Cass. 14596/18, 13475/14, 235/14).

Deve peraltro, altresì, escludersi il carattere vincolante, ai fini della presente decisione, delle statuizioni della decisione C.T.P Roma 80/04/07 (allegata al controricorso), passata in giudicato e riguardante controversia, tra le medesime parti, inerente alle medesime imposte (irpeg ed ilor) oggetto del presente giudizio, ma con riferimento ad annualità diversa (il 1996).

Al riguardo, deve, invero, rilevarsi che costituisce principio, altresì, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (cfr. Cass. 21824/18; 4832/15).

Va, per altro verso, considerato che, invece, revocato precedente non risponde, ai fini considerati, a quel carattere di valore condizionante inderogabile che l’accertamento deve necessariamente assumere per dispiegare effetti di giudicato esterno in relazione a giudizi riguardanti altre annualità d’imposta, avendo pronunziato su costi, per (generica) previsione contrattuale sempre ribaltabili sulla società contribuente, ma, di volta in volta, definibili in funzione di una pluralità di fattori (peraltro non specificamente descritti) destinati a variare ogni anno in rapporto alla mutevolezza delle circostanze di mercato e di ogni altro fattore interno al processo produttivo, dando, così, vita a fattore non destinato a replicarsi immutabilmente.

4. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente censura la decisione impugnata con riferimento alla previsione di cui all’art. 75, comma 5, d.p.r. 917/1986 (nel testo vigente ratione temporis) per non aver escluso la deducibilità di costi in rassegna, ancorché risultassero ingiustificatamente superiori a quelli di mercato e, con il quarto (subordinato) motivo, per violazione dei principi in tema di abuso del diritto.

Le censure sono inammissibili, perché la prima, mentre non si raffronta con la motivazione della sentenza, che ha riconosciuto l’inerenza dei costi in rassegna in funzione di diversi ed in se esaustivi ordini di considerazioni, appare peraltro implicare una rivalutazione dei fatti acquisiti inammissibile in sede di giudizio di legittimità e, la seconda, integra censura nuova, almeno in prospettiva di autosufficienza.

II) 1. Con il quinto e sesto motivo di ricorso (anch’essi dotati d’idonei quesiti di diritto), L’Agenzia censura le determinazioni del giudice di appello poste a fondamento dell’affermata illegittimità del recupero a titolo di indebita deduzione di quote di ammortamento.

Al riguardo, in particolare, con il quinto motivo, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 2, d.p.r. 917/1986 e d.m. 31.12.1988 per aver ritenuto le costruzioni esistenti negli impianti stradali di distribuzione dei carburanti riconducibili alla categoria degli “impianti stradali di distribuzione” ed assoggettabili al medesimo coefficiente di ammortamento del 12,5% anziché a quella dei “fabbricati industriali”, soggetti al coefficiente di ammortamento del 5,5%.

Con il sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione delle stesse disposizioni sopra menzionate, censurando la pronuncia di appello nella parte in cui ha riconosciuto tra i beni ammortizzabili e con la stessa aliquota del 12.5% prevista per le stazioni di servizio, anche i terreni, pur trattandosi di beni non suscettibili di ammortamento in quanto non soggetti a deperimento e consumo.

Il quinto motivo è fondato. Risulta, infatti, già incontrastatamente affermato che in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’allegato unico al D.M. 31 dicembre 1988, emesso in base all’art. 67, comma secondo, d.p.r. 917/1986, le costruzioni esistenti negli impianti stradali di distribuzione dei carburanti sono riconducibili, non alla categoria “Oleodotti – Serbatoi – Impianti stradali di distribuzione”per la quale la tabella dedicata al “Gruppo TX – Industrie Manifatturiere Chimiche – Specie 2 – Raffinerie di petrolio, produzione e distribuzione di benzina e petroli per usi vari, di oli lubrificanti e di oli lubrificanti e residuati, produzione e distribuzione di gas di petrolio liquefatto” per cui è previsto un coefficiente di ammortamento del 12,5%, ma alla “Fabbricati destinati all’industria”, per cui la medesima tabella prevede un coefficiente del 5,5%. “(Cass. 9497/2008), essendosi più di recente precisato essere “logico che l’indice di deperimento dell’impianto sia maggiore rispetto a quello della costruzione, benché strumentale alla stessa attività” (Cass. 12924/2013).

In merito al sesto motivo, va premesso che, con recente arresto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato i seguenti principi di diritto: a) in tema di determinazione del reddito d’impresa, è ammortizzabile il costo di acquisizione del terreno costituente area di sedime di un impianto di distribuzione di carburante ove si constati che, al termine dell’uso produttivo, il bene non sia più utilizzabile in modo proficuo in ragione del suo deperimento (economico, se non fisico), atteso che la piena operatività della regola dell’ammortizzabilità del costo del bene strumentale posta dalle norme civilistiche (art. 2426 c.c.) e fiscali (d.P.R. n. 917 del 1986), per il caso di “vita utile” limitata nel tempo, non è ostacolata dalla mancata, espressa menzione dei terreni nel d.m. 31 dicembre 1988, richiamato dall’art. 67 del d.P.R. n. 917 del 1986, trattandosi di fonte normativa che individua i soli coefficienti e non l’ “an” dell’ammortamento; b) Il costo di acquisizione di un terreno su cui insista un impianto di distribuzione di carburante e che sia strettamente e funzionalmente pertinenziale a tale impianto è soggetto ad ammortamento secondo il coefficiente previsto dal d.m. 31 dicembre 1988 per “chioschi, colonne di distribuzione, stazioni di imbottigliamento, stazioni di servizio” ai sensi dell’art. 67 (ora 102), comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, alla condizione che rimanga accertato, in concreto, che detto terreno abbia una “vita utile” limitata, nel senso che la sua utilizzazione sia limitata nel tempo ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 2, c.c.

Ciò posto, il motivo in rassegna va accolto nei limiti in cui il dictum della sentenza impugnata non si uniforma ai suesposti principi, laddove, in particolare, presuppone che il costo dei terreni in oggetto sia incondizionatamente ammortizzabile.

II) Alla stregua delle considerazioni che precedono, dichiarati inammissibili il terzo ed il quarto motivo, vanno accolti il primo, il secondo, il quinto ed il sesto motivo del ricorso dell’Agenzia.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata, anche per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio.

P.Q.M.

Accoglie il primo, il secondo, il quinto ed il sesto motivo del ricorso e dichiara inammissibili il terzo ed il quarto; cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio.