CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2019, n. 4935
Tributi – Dazi – Importazioni – Titolare di certificati AGRIM – Agevolazioni – Meccanismo fraudolento – Violazioni
Rilevato che
– la S. s.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore, importò negli anni 2004-2005 banane extracomunitarie usufruendo di un trattamento daziario agevolato nell’ambito dei contingenti stabiliti in sede comunitaria (c.d. contingente GATT), essendo titolare dei certificati AGRIM utili alla fruizione dell’agevolazione;
-con avviso di rettifica dell’accertamento n. 2913/92 Prot. n. 29674 del 5 maggio 2010, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in relazione all’operazione di importazione di banane del 2004-2005, richiese alla S. s.r.l. maggiori diritti doganali a seguito del disconoscimento del trattamento daziario agevolato, ritenendo che la contribuente avesse aggirato il contingentamento delle banane imposto dalla disciplina dell’Unione europea, attraverso un meccanismo fraudolento, mediante l’acquisto delle banane allo stato estero da Chiquita Ltd. e la successiva rivendita dei quantitativi importati dopo lo sdoganamento a Chiquita Italia s.p.a. con utilizzo indebito da parte di quest’ultima dei titoli di importazione (titolo AGRIM – contingente GATT) rilasciati alla S. s.r.l. che fungeva da società di comodo; in tal modo, la effettiva società importatrice Chiquita Italia s.p.a. – secondo la contestazione – aveva acquistato le banane senza il pagamento dei maggiori diritti di confine e per quantità superiori a quelle a essa spettanti nell’ambito del contingentamento, utilizzando titoli che consentivano l’importazione con dazio di favore da parte della S. s.r.l. nel contingente ad essa assegnato;
– la contribuente impugnò l’avviso di rettifica dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con sentenza n. 242/19/12, lo rigettò;
– avverso la sentenza di primo grado propose appello la società contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio che lo accolse osservando, in punto di diritto, per quanto di interesse, che:l) quanto alle importazioni dell’anno 2004, la comunicazione del 12 giugno 2008 della notizia di reato da parte della Guardia di finanza alla Autorità giudiziaria era tardiva in quanto intervenuta oltre il termine triennale dal verificarsi dei fatti; 2)quanto alle importazioni dell’anno 2005, benché la denuncia della notitia criminis risultasse tempestiva, non era riscontrabile l’ulteriore elemento dell’accertamento irrevocabile da parte dell’AG della rilevanza penale degli svincoli doganali in questione, essendosi l’Agenzia limitata a riferire dell’avvenuto proscioglimento del legale rappresentante della S. s.r.l. per avvenuta prescrizione, senza documentare tale assunto né dare conto della irrevocabilità del provvedimento; 3) l’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 in tema di accertamento suppletivo e di rettifica, non trovava applicazione per il recupero dei diritti doganali evasi per fatti penalmente rilevanti, disciplinando la diversa fattispecie in cui la nuova liquidazione dei diritti di dogana tragga origine da una differente qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura così risolvendosi in un’indagine “fattuale” e non già- come nel caso di specie- da una errata individuazione del regime daziario applicabile;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Dogane propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, S. s.r.l., in liquidazione;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.l cod. proc. clv., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 221, del Reg. CE n. 2913 del 1992, 84 del d.P.R. n. 43 del 1973 e 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, per avere la CTR, anche in mancanza di una specifica norma dell’ordinamento e in presenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, ritenuto che – per le importazioni dell’anno 2004 – l’azione di recupero a posteriori esigesse la trasmissione della notizia di reato entro il termine triennale dal verificarsi dei fatti;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 221, del Reg. CE n. 2913 del 1992, 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, per avere la CTR, per quanto concerneva l’importazione per l’anno 2005, ritenuto che non poteva trovare applicazione la sospensione del termine di decadenza per la revisione dell’accertamento, non avendo l’Agenzia delle dogane fornito la prova dell’avvenuta irrevocabilità del provvedimento di proscioglimento per prescrizione del legale rappresentante della S. s.r.l., ancorché l’accertamento della irrevocabilità della sentenza penale fosse una circostanza irrilevante, potendo l’Amministrazione – come nella specie- notificare gli atti impositivi anche prima della conclusione del procedimento penale e dunque della decorrenza del termine di decadenza di legge;
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e 78 del reg. CE n. 2913 del 1992, per avere la CTR affermato che l’art. 11 cit in tema di accertamento suppletivo e di rettifica, disciplinasse una fattispecie eterogenea relativa ai casi in cui la nuova liquidazione dei diritti in dogana tragga origine da una differente qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura, così risolvendosi in un’indagine fattuale; ciò senza considerare che la revisione dell’accertamento ex art. 78 C.D.C. e 11, comma 5, cit. implica il potere di rettificare tutti i dati contenuti nella dichiarazione doganale, come nella specie, muovendo l’avviso di rettifica dell’accertamento in questione da una ritenuta non corretta applicazione dell’aliquota daziaria agevolata, accordata al titolare del certificato AGRIM, in ragione dell’aggiramento della normativa comunitaria in tema di contingentamento delle importazioni agevolate;
i motivi- da trattare congiuntamente per connessione – sono infondato il primo e fondati il secondo e terzo;
– l’art. 221, n. 3, prima frase, del codice doganale (Reg. CEE del Consiglio n. 2913 del 1992, come modificato dal Reg. CE del Parlamento europeo e del Consiglio 2700 del 2000, applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis) ha introdotto una regola di prescrizione in base alla quale, in via di principio, la comunicazione dell’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione da pagare non può più essere effettuata dopo la scadenza del termine di tre anni a decorrere dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale (cfr. C. Giust. 23.2.2006, C- 201/04, Molenbergnatie; C, Giust. 16.7.2009, C- 124/08 e C- 125/08, Snauwaert; C. Giust. 17.6.2010, C- 75/09, Agra s.r.l.);
– l’art. 221, n. 3, seconda frase, del codice doganale ha stabilito, inoltre, che detto termine di prescrizione è sospeso a seguito della presentazione di un ricorso a norma dell’art. 243 del codice in parola e per la durata del relativo procedimento di ricorso. A titolo di eccezione rispetto alla regola summenzionata, tuttavia, l’art. 221, n. 4, del codice doganale ha disposto che, “alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti”, le autorità doganali possano procedere a tale comunicazione dopo la scadenza del termine di cui sopra, qualora dette autorità non abbiano potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto “perseguibile penalmente” (formula, quest’ultima che ha sostituito quella di “perseguibile a norme di legge” anteriore alla modifica adottata dal Reg.CE n.2700/2000);
– ciò posto, va osservato che la giurisprudenza comunitaria ha affermato, in proposito, che l’art. 221, n. 4, del codice doganale non prevede di per sé alcun termine di prescrizione e nemmeno le cause di sospensione o d’interruzione della prescrizione applicabile. In particolare, a differenza di quanto disposto dal n. 3 del medesimo art., 11 n. 4 dell’articolo in parola non impone alcuna sospensione della prescrizione nel corso della durata di un eventuale procedimento penale. È stato, inoltre, rilevato dai giudici europei che, limitandosi ad operare un riferimento alle “condizioni previste dalle disposizioni vigenti”, l’art. 221, n. 4, del codice doganale opera un rinvio al diritto nazionale per il regime della prescrizione dell’obbligazione doganale, qualora tale obbligazione sorga a seguito di un atto che era, nel momento in cui è stato commesso, perseguibile penalmente. Di conseguenza – a giudizio della Corte di Lussemburgo – non prevedendo il diritto dell’Unione regole comuni in materia, spetta ad ogni Stato membro determinare il regime della prescrizione delle obbligazioni doganali che è stato possibile accertare a causa di un fatto “perseguibile penalmente” (cfr., C. Giust. 16.10.2003, C- 91/02, Hannl-Hofstetter; C. Giust. 23.2.2006, C- 201/04, Mo-lenbergnatie; C. Giust. 17.6.2010, C- 75/09, Agra s.r.l.; da ultimo si veda, la sentenza della Corte di giustizia del 19 ottobre 2017, nella causa C-522/16, A contro Staatssecretarìs van Financièn);
-per quanto concerne il diritto italiano, va osservato che l’art. 84 del d.P.R. n. 43 del 1973 (T.U.L.D.) prevedeva che “l’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di cinque anni” (primo comma) e che “qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili” (terzo comma). Tale termine è stato ridotto da cinque a tre anni per effetto dell’art. 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, applicabile ai diritti doganali sorti successivamente alla data di entrata in vigore di tale norma, fissata al 1° maggio 1991. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il termine decorre dalla data in cui è divenuta irrevocabile la pronuncia nel giudizio penale, qualunque ne sia il contenuto, e quindi anche nel caso in cui il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione (Cass. n.n. 30710/11; 6820/2009, 20513/2006, 8139/1990); ciò, senza che tuttavia sia preclusa all’autorità doganale la facoltà di notificare una richiesta di pagamento anche prima che sia iniziata la decorrenza di tale termine e, quindi, si sia concluso ¡I procedimento penale (Cass., sez. 5, n. 7836 del 31/03/2010);
– questa Corte ha chiarito che la sopra richiamata “regola comunitaria si applica non soltanto al termine di prescrizione per la riscossione dei diritti doganali, ma anche a quello di decadenza per la revisione dell’accertamento, stabilito dall’art. 11 del d.lgs. 374/90, in ovvia coerenza, del resto, con la loro ratio, che è quella di impedire che il decorso del tempo giovi a chi ha occultato il credito e di impedire altresì che giovi al debitore l’ostacolo all’azione amministrativa determinato dal procedimento di indagine penale” (Cass. n. 26045 del 2016, punto 2.2.; in termini, sia pure con riguardo alle omologhe norme stabilite dal regolamento CEE del Consiglio numero 1697 del 1979, vedi Cass. n. 9253/13);
-orbene, la giurisprudenza della sezione quinta, malgrado alcune pronunzie di segno contrario (Cass. n. 11932/2012) è andata progressivamente assestandosi nel senso di ritenere che, in tema di tributi doganali, l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi all’importazione o all’esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto quando la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente – a prescindere dall’esito – di condanna o assolutorio- del giudizio- purché sia trasmessa, nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza, la “notitia criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto-reato e presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale – cfr. Cass.n.5384/2012; Cass.n. 14016/2012, Cass.n.8046/13; Cass.n.8322/ 2013;Cass. 8708/2013; n. 7562 del 2015; 24674/15;
– nella specie, la CTR, mentre si è attenuta ai suddetti principi per quanto concerne la rilevata intervenuta decorrenza del termine triennale di decadenza per la revisione dell’accertamento, quanto alle importazioni dell’anno 2004, stante la mancata trasmissione della notitia criminis entro il detto termine dal verificarsi dei fatti, non ha fatto buon governo degli stessi principi, quanto all’importazione dell’anno 2005, avendo ritenuto che, ai fini della applicazione della sospensione del termine di decadenza, nell’ipotesi di mancato pagamento dei diritti doganali ascrivibile ad un fatto di reato, fosse rilevante la prova dell’avvenuta irrevocabilità della sentenza penale conclusiva del relativo procedimento penale e avendo ritenuto, peraltro, che la procedura di revisione dell’accertamento ex art. 11, comma 5, del d.lgs. n. 374 del 1990 costituisse una fattispecie eterogenea non applicabile nell’ipotesi di recupero dei diritti doganali evasi per fatti penalmente rilevanti;
– in conclusione, vanno accolti i motivi secondo e terzo; dichiarato infondato il primo; con cassazione della sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti- e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per un riesame della vicenda alla luce dei principi sopra enunciati;
P.Q.M.
Accoglie i motivi secondo e terzo; dichiara infondato il primo; cassa l’impugnata sentenza- in relazione ai motivi accolti- e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.
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