CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2020, n. 4423
Tributi – Imposta sostitutiva – Rivalutazione delle partecipazioni ex art. 5, co. 1, della L. n. 448 del 2001 – Adesione alla proroga ex art. 1, co. 91, della L. n. 244 del 2007 – Rimborso – Legittimità
Rilevato che
Con sentenza n. 76/9/2013, depositata il 21 ottobre 2013, non notificata, la CTR dell’Emilia – Romagna accolse l’appello proposto dalla signora M.C. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Bologna, che aveva invece rigettato il ricorso della contribuente avverso diniego parziale di rimborso.
L’istanza era riferita alla richiesta di rimborso dell’imposta sostitutiva versata dalle contribuente nella misura del 4% ex art. 5, comma 1, della l. n. 448/2001 sulla rivalutazione della partecipazione, allora qualificata, pari al 33,33% allora detenuta nella S. S.r.l. (poi S. S.p.A.). Essendosi quindi la contribuente avvalsa di successiva disposizione di proroga, ex art. 1, comma 91, della l. n. 244/2007, effettuando nuova rivalutazione, alla data del primo gennaio 2008, della partecipazione residua, questa volta non qualificata, pari al 13,33%, ancora detenuta a seguito della cessione medio tempore del 20% delle azioni, versando nuovamente l’imposta sostitutiva nell’aliquota del 2%, aveva chiesto a rimborso l’importo a suo tempo versato a titolo d’imposta sostitutiva sulla prima rivalutazione sino alla concorrenza del 13,33%, richiesta solo parzialmente accolta dall’Ufficio.
In ragione della percentuale del 2% che era stata versata a titolo d’imposta sostitutiva.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la contribuente resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
La controversia a è stata rimessa alla sezione ordinaria con ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 5 della l. n. 448/2001, come prorogato dalla l. n. 248/2005 e dalla l. n. 244/2007), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, Il giudice d’appello non avrebbe considerato che la duplicazione del tributo in virtù del medesimo presupposto poteva ritenersi sussistente unicamente per la parte di tassazione versata due volte, da intendersi come quella corrispondente al 2% sulla parte residua rivalutata della partecipazione, questa volta non qualificata, ancora detenuta.
2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riferito proprio al fatto che la duplicazione della tassazione, con l’aliquota del 2%, era riferibile alla rivalutazione delle sole azioni societarie ancora possedute (6 000).
3. Giova riepilogare, in fatto, ai fini di una migliore comprensione della vicenda, la sequenze temporale degli avvenimenti.
La signora C. compiva una prima rivalutazione sulla base di perizia giurata del 2006 sulle partecipazioni possedute al 1° gennaio 2005 pari al 33,33% del capitale sociale, il cui valore era stimato di Euro 1.083.000,00, cioè 1/3 del capitale sociale di Euro 3 025.000,00 versando l’imposta sostitutiva nella misura del 4% delle partecipazioni qualificate per Euro 43.333,22 oltre alla maggiorazione rateale per complessivi Euro 44.633, 22.
Ceduta quindi la quota del 20%, la contribuente restava titolare della quota del 13,33%, partecipazione non qualificata, che avvalendosi della proroga di cui alla l. n. 244/2007, sottoponeva nel 2008 a nuova rivalutazione, venendo il valore della partecipazione residua fissato al 1° gennaio 2008 in Euro 1.065.666,00, su cui la contribuente versava questa volta l’imposta sostitutiva per l’importo di Euro 21.334,00 secondo l’aliquota del 2% applicabile ratione temporis.
Ciò posto, il fisco ha riconosciuto alla contribuente il solo rimborso della differenza tra il 2% sulla partecipazione non qualificata per la quota del 13,33% e quella corrispondente sull’originaria maggiore partecipazione del 33,33% assoggettata all’imposta sostitutiva secondo l’aliquota del 4% all’atto della prima rivalutazione.
4. il primo motivo, con il quale l’Amministrazione finanziaria, censurando la sentenza impugnata, insiste nel sostenere la legittimità del proprio assunto, è infondato.
4.1. Questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 12 novembre 2014, n. 24057; Cass. sez. 5, 29 gennaio 2016, n. 1683, che debbono leggersi in sostanziale continuità l’una con l’altra), ha evidenziato come il pagamento dell’imposta sostitutiva in relazione a quanto disposto dall’art. 5 della l. n. 448/2001 sia frutto di scelta opzionale della parte, come tale irrevocabile, configurandosi come “imposta volontaria” e che, in virtù di disposizioni di legge sopravvenute, è senz’altro legittima la facoltà di chiedere una nuova rivalutazione del bene medesimo, ovvero di ciò che nel frattempo sia residuato.
Per effetto di ciò, nel caso di specie (anteriore all’entrata in vigore dell’art. 7 del d.l. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, nella l. n. 106/2011, sicché l’istanza era riferita unicamente al rimborso dell’imposta sostituiva già versata), si è venuta in effetti a determinare una duplicazione d’imposta riguardo alla partecipazione del 13,33% residua oggetto di ulteriore rivalutazione, con versamento di nuova imposta sostitutiva con applicazione dell’aliquota del 2%.
4.2. Ne consegue che è legittima la richiesta di rimborso dell’imposta sostitutiva già (interamente), versata dalla contribuente per Euro 17.333,32 con riferimento alla quota oggetto di duplice tassazione, con l’unico limite, che non risulta nella fattispecie in esame superato, che detto importo non ecceda quanto dovuto e versato (€ 21.334,00) a seguito della nuova rideterminazione di valore della partecipazione sociale; ciò in forza del a ricordata irrevocabilità della scelta a suo tempo operata dalla contribuente (si veda, più di recente, in senso conforme, Cass. sez. 5, ord. 13 luglio 2018, n. 18172).
5. Il rigetto del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
5. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
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