CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 gennaio 2022, n. 1698

Tributi – Verifica fiscale – Accesso – Locali ad uso promiscuo aziendale/familiare – Esclusione – Immobili non collegati internamente, ma solo esternamente – Necessità invalidante dell’autorizzazione del PM – Esclusione

Rilevato che

Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 194/33/13 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di S. srl in liquidazione contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008.

La CTR, nella parte che qui rileva, osservava in particolare che era pienamente corretta la sentenza appellata in punto affermazione della invalidità (derivata) dell’atto impositivo impugnato a causa di quella delle operazioni di verifica, posto che l’accesso presso la società contribuente aveva riguardato locali ad uso promiscuo aziendale/famigliare della sua legale rappresentante pro tempore, senza che fosse stata rilasciata la – necessaria – autorizzazione del Procuratore della Repubblica territorialmente competente e senza comunque che la verifica fosse stata autorizzata dal funzionario agenziale dotato del relativo potere.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Considerato che

Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta il vizio motivazionale assoluto della sentenza impugnata per “illogicità manifesta”, evocando la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ.

La censura, che va esaminata in via preliminare per sua astratta portata dirimente, è palesemente infondata.

La ricorrente infatti critica con questo mezzo soltanto uno dei passaggi argomentativi della sentenza impugnata ossia la valorizzazione della ripartizione paritaria dei costi gestionali dei locali presso i quali si è espletata la verifica fiscale quale fatto “indiziante” della promiscuità dei locali stessi.

E’ tuttavia evidente che questo argomento è inserito in un tessuto motivazionale più ampio, che si pone bel oltre il “minimo costituzionale” e che non rientra affatto negli stigmi invalidanti di cui al consolidato principio di diritto secondo il quale «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).

Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione dell’art. 52, commi 1-2, dPR 633/1972, poiché la CTR ha affermato la “necessità invalidante”dell’autorizzazione del PM all’accesso nei locali ove si è svolta la verifica fiscale de qua, in quanto locali ad uso promiscuo (aziendale di S.m e famigliare della sua legale rappresentante prò tempore).

Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 42, dPR 600/1973, poiché la CTR ha altresì affermato l’invalidità derivata dell’avviso di accertamento impugnato a causa del difetto di autorizzazione “interna”, non provenendo la stessa dal direttore dell’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono fondate.

Quanto alla prima -evidente la sua ammissibilità per piena autosufficienza, avendo la ricorrente esposto con chiarezza tutti i termini fattuali/processuali della questione giuridica sottoposta a questa Corte e quindi disattesa la correlativa eccezione della controricorrente- basti infatti ribadire che «In tema di accertamento, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’accesso del personale dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli Uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo; destinazione, quest’ultima, che ricorre non soltanto ove i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi» (v., da ultimo, Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 21411 del 06/10/2020, Rv. 659069 – 01).

È dunque da ritenersi fermo nella giurisprudenza di questa Corte che la “promiscuità” dei locali destinatari di accesso ispettivo fiscale e quindi la necessità dell’autorizzazione del PM territorialmente competente dipenda, esclusivamente, dalla circostanza di fatto che vi sia una “agevole possibilità di comunicazione interna”.

Nel caso di specie invece, stando allo stesso accertamento di fatto della CTR campana, tale circostanza non è ricorrente, trattandosi di immobili non collegati internamente, ma solo esternamente, il che fa evidentemente venire meno la ratio di maggior tutela connessa alla “promiscuità”, quale prevista nel comma 1, dell’art. 52, dPR 600/1973.

Quanto al terzo mezzo -non essendovi alcun giudicato interno da rilevare, posto che la ratio decidendi censurata è esattamente quella della sentenza impugnata in ordine all’ invalidità dell’ autorizzazione endoprocedimentale all’accesso e quindi alla correlata affermata invalidità derivata dell’avviso di accertamento impugnato, pertanto disattesa la relativa eccezione della cortroricorrente- basti ribadire che «La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa» (Cass., n. 11013 del 19/04/2019, Rv. 653414 – 01) e che «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, commi :L e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2305, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella I. n. 44 del 2012. {Principio affermato ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c)» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015, Rv. 637349 – 01).

Pur riguardando tali principi di diritto la sottoscrizione dell’atto impositivo conclusivo del procedimento di verifica tributaria, è tuttavia evidente la loro estensibilità all’autorizzazione de qua, secondo il generale canone logico-giuridico che “il più comprende il meno”, essendovi la stessa ragione giuridica a basamento della soluzione interpretativa dell’una e dell’a tra questione.

In conclusione, accolto il primo ed il terzo motivo del ricorso, rigettato il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania per nuovo esame ed anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.