CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16227
Imposte dirette – IRPEF – Istanza di rimborso – Assegnazione delle azioni – Prezzo di vendita ed il prezzo di esercizio delle opzioni – Plusvalenza
Ritenuto in fatto
1. Nel corso dell’anno 2004 a G.G., dipendente della A. s.p.a., venivano attribuiti I diritti di opzione per l’acquisto di azioni della A.I. s.a., controllante di A. s.p.a.. Nell’anno 2005 il contribuente provvedeva, avvalendosi della riapertura dei termini per la rivalutazione di titoli, quote e diritti non negoziati, al sensi dell’art. 11 quaterdecies comma 4 del d.l. 203/2005, alla rivalutazione dei diritti di opzione, fissandone il costo in € 202.692,00, che tale opzione veniva esercitata in data 15-12-2006 dal G., il quale contestualmente rivendeva le azioni ottenute per un importo di € 864.568,78, che ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera g bis del d.l. 262/2006, convertito in legge 286/2006, il datore di lavoro assoggettava tali somme a ritenuta Irpef calcolata dalla differenza (€ 715.818,78) tra il prezzo di vendita delle azioni (€ 864.568,78) ed il prezzo di esercizio dei diritti di opzione nel 2004 (€ 148.750,00), che II contribuente riteneva che le somme percepite dovevano essere assoggettate a tassazione In base alla disciplina vigente al momento della “assegnazione” delle “stock options”, e non a quella in vigore al momento della “assegnazione” delle “azioni”, mentre il datore di lavoro, In sede di calcolo della ritenuta, avrebbe dovuto tenere conto della rivalutazione dei diritti di opzione effettuata, che, quindi, il G. presentava istanza di rimborso, che, secondo il contribuente, il rimborso era pari alla differenza tra l’Irpef e le addizionali pagate (sul differenziale tra prezzo di vendita e prezzo di esercizio delle azioni) e l’Imposta sostitutiva del 12,50 % applicabile sulla plusvalenza determinata come differenza tra il prezzo di vendita ed il prezzo di esercizio delle opzioni, aumentato del valore fiscalmente riconosciuto derivante dalla rivalutazione.
2. L’Agenzia delle entrate notificava espresso provvedimento di diniego di rimborso.
3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso ritenendo che doveva essere applicata la disciplina vigente al 2004, quando vi era stata l’attribuzione al dipendente dei diritto di opzione.
4. Avverso tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
5. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello, evidenziando che a decorrere dal 3-10-2006, data di entrata in vigore del d.l. 262/2006, convertito in legge 286/2006, il,regime fiscale delle stock options , con applicazione della aliquota del 12,5 % era subordinato a cinque condizioni (il prezzo pagato dal dipendente per l’assegnazione delle azioni doveva esse pari al valore delle azioni al momento dell’offerta; le partecipazioni di titoli posseduti dal dipendente non dovevano rappresentare una percentuale di voto in assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale sociale al 10%; l’opzione doveva essere esercitabile non prima della scadenza di tre anni dalla sua attribuzione; la società le cui azioni erano oggetto di opzione doveva essere quotata in mercati regolamentari al momento in cui l’azione era esercitabile; il dipendente doveva mantenere per almeno cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento della assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente stesso), che, però, tale normativa poteva applicarsi solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, ossia dal primo periodo di imposta successivo a quello in corso (2006) alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, che il processo di attribuzione dei diritti di opzione era iniziato nel 2005 e solo il 15-12-2006 si era conclusa l’operazione, che solo a decorrere dal 3-10-2006 erano state aggiunte le ulteriori tre condizioni, che trovava applicazione l’art. 3 della legge 212/2000, in base al quale le modifiche rispetto ai tributi periodici si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
6. Proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate.
7. Resisteva con controricorso il contribuente.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “sulla disciplina applicabile al caso di specie: rilevanza del momento dell’assegnazione delle azioni. Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 comma 2 lettera g del d.p.r. 917/1986, come modificato dal d.l. 262/2006, convertito in legge 286/2003; e degli artt. 11 disp. prel. c.c. e 3 legge 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente), in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto il momento impositivo coincide con l’esercizio del diritto di opzione, in quanto solo da tale momento l’azione rientra nella disponibilità giuridica del dipendente. Prima di tale momento vi è solo una accordo tra le parti avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta del promittente (quindi il patto di opzione), ma l’esercizio della opzione è solo eventuale. Inoltre, il contribuente ha esercitato il proprio diritto mentre vigeva una normativa più restrittiva in piena libertà ed autonomia.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “sulla portata e sul significato dell’art. 3 dello Statuto del contribuente, richiamato dalla Commissione tributaria regionale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge 212/2000, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente non hanno rango costituzionale, ben potendo peraltro il legislatore emanare norme anche con efficacia retroattiva, a condizione che tale retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Del resto, già il d.l. 223/2006 prevedeva che la nuova disciplina si applicasse alle azioni la cui “assegnazione” ai dipendenti fosse stata effettuata successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge.
2.1.Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
Invero, a seguito del d.l. 262/2006, entrato in vigore il 2-10-2006, la disciplina impositiva sulle stock options è stato profondamente modificata, con l’inserimento di ulteriori tre condizioni in aggiunta alle prime due.
L’art. 51 comma 2 lettera g bis del d.p.r. 917/1986 (determinazione del reddito di lavoro dipendente), quindi prevede, dopo il 2-10-2006, che “Non concorrono a formare il reddito :….g-bis) la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell’offerta; se le partecipazioni, i titoli…posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento, la predetta differenza concorre in ogni caso a formare il reddito”.
L’art. 51 comma 2 bis, poi, stabilisce, nella versione all’epoca vigente, che “la disposizione di cui alla lettera g-bis del comma 2 si rende applicabile esclusivamente quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:a)che l’opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione; b) che, al momento In cui l’opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati; c) che il beneficiarlo mantenga per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente”.
Per la Suprema Corte, però, ha affermato che, in tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile “ratione temporis” alle cosiddette “stock options” va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio del diritto di opzione da parte del dipendente, indipendentemente dal momento in cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributarla, ma nell’effettivo esercizio di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell’imposizione commisurata proprio sul prezzo delle stesse e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato (Cass. Civ., 12 aprile 2017, n. 9465; In termini analoghi Cass.Civ., 20 maggio 2011, n. 11214; Cass.Civ., 13088/2012; Cass.Civ., 11413/2015).
Nella specie il diritto di opzione, con l’acquisto delle azioni, è stato esercitato il 15-12-2006, quando era già in vigore il d.l. 262/2006.
Inoltre, in tal caso, l’applicazione del d.l. n. 262/2006 non determina una applicazione retroattiva della norma tributaria, poiché l’operazione alla quale consegue la tassazione non va individuata nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio del diritto di opzione mediante l’acquisto delle azioni, e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato, il quale può esercitarlo o meno secondo le modalità ed i tempi che riterrà opportuni, alla stregua delle proprie insindacabili valutazioni (Cass.Civ., 12 aprile 2017, n. 9465).
Inoltre, si rileva che le disposizioni dello statuto del contribuente, che costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (Cass.Civ., 6 settembre 2017, n. 20812).
Né il principio di irretroattività ha rango costituzionale nella materia tributaria (Cass.Civ., 27 settembre 2013, n. 22157; in tal caso le norme nel prevedere che le nuove aliquote Irap si applicavano a far data dal 1 gennaio 2002, legittimamente stabilivano che la modifica si applicasse non a partire dall’anno successivo, ma da quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni).
Per la Suprema Corte, quindi, in tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (Cass.Civ., 9 dicembre 2009, n. 25722). Del resto, l’art. 36 comma 25 del d.l. 223 del 4-7-2006, convertito in legge 248/2006, laddove modifica l’art. 51 comma 2 bis del d.p.r. 917/1986, si applica, ai sensi del comma 26 dell’art. 36 “alle azioni la cui assegnazione ai dipendenti si effettua successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Non si può, quindi, condividere la tesi del controricorrente, fatta propria dalla Commissione regionale, per cui il d.l. 262/2006, pur essendo entrato in vigore il 3 ottobre 2006, tuttavia ha acquisito concreta efficacia solo a partire dal 1 gennaio 2007, quindi dall’anno di imposta successivo all’entrata in vigore, come previsto dall’art. 3, comma 1, ultimo periodo, della legge 212/2000 (cfr. pagina 23 del controricorso).
Infatti, anche nel precedente della Cassazione richiamato (Cass.Civ., 12 aprile 2017, n. 9465), si trattava proprio di una richiesta di rimborso del contribuente di un credito Irpef relativo all’anno 2006, con l’acquisto delle azioni in data 14-11-2006, sicché le due ipotesi concrete sono perfettamente sovrapponibili.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, in via subordinata, “sulla corretta individuazione della disciplina previgente laddove ritenuta applicabile al caso di specie. Violazione e falsa applicazione del d.l. 223/2006, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.”
Tale motivo è assorbito, in quanto proposto solo “in via subordinata”.
4. La sentenza impugnata deve essere, dunque, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione che si adeguerà al suindicato principio di diritto e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i motivi primo e secondo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, che si adeguerà al suindicato principio di diritto e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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