CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16230
Tributi – IRPEF – Reddito di lavoro dipendente – Indennità di trasferta – Somme commisurate alle distanze chilometriche percorse – Applicazione regime agevolato di tassazione – Art. 51, co. 5 del DPR n. 917/1986
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di accertamenti compiuti da funzionari Inps, contestava alla S. s.r.l. la mancata effettuazione, quale sostituto di imposta ai sensi degli art. 23 e 64 del d.p.r. 600 del 1973, delle ritenute sulle somme corrisposte ai dipendenti a titolo di “trasferta”, in relazione agli anni 2001, 2002, 2003 e 2004.
2. Il ricorso proposto dalla contribuente veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale.
3. La Commissione tributaria regionale respingeva l’appello della contribuente, rilevando che doveva trovare applicazione alla fattispecie l’art. 51 comma 6 del d.p.r. 917 del 1986 (cd. trasferisti), e non il comma 5 della medesima disposizione, relativo ai dipendenti che solo episodicamente svolgevano attività fuori dalla sede della società, che, infatti, erano “trasferisti” i dipendenti che svolgevano la loro attività lavorativa in luoghi sempre “variabili” e diversi, che ad essi si applicava il sesto comma dell’art. 51, sicché le indennità e le maggiorazioni da trasferta concorrevano per il 50% del loro ammontare alla formazione del reddito, che dalla busta paga emergeva che le indennità venivano erogate quale compenso forfetario in modo non occasionale, ed in assenza di documentazione.
4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.
5. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato in diritto
1. Con il secondo motivo di impugnazione, che viene trattato per primo per il suo carattere logicamente prioritario, la società deduce “violazione e falsa applicazione di una norma di diritto e nello specifico degli artt. 23, 24 d.p.r. 600/1973 e 100 c.p.c., nonché insufficiente motivazione relativamente all’individuazione del soggetto passivo obbligato nei confronti dell’Amministrazione finanziaria ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5 c.p.c.”, in quanto il debitore principale resta il sostituito, sicché vi è carenza di legittimazione passiva del sostituto di imposta.
1.1. Tale motivo deve essere rigettato.
Invero, per la Suprema Corte (Cass. Civ., 27 gennaio 2003, n. 1161), nella ritenuta di acconto (diretta, in sé, ad agevolare non solo la riscossione ma anche l’accertamento degli obblighi del percettore del reddito), l’intervento del “sostituto” lascia inalterata la posizione del “sostituito”, il quale è specificamente gravato dell’obbligo di dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché essi concorrono a formare la base imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l’imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo. Da ciò consegue che, quando la ritenuta non sia stata operata su emolumenti che pur costituiscono componente di reddito (nella specie: emolumenti corrisposti in occasione del trasferimento di sede del dipendente), alla omissione il percettore dovrà ovviare, dichiarando i relativi proventi e calcolando l’imposta sull’imponibile alla cui formazione quei proventi hanno concorso. Se ciò è vero, non può dubitarsi del fatto che sulla dichiarazione stessa si esercitino i normali poteri di controllo e di accertamento in rettifica da parte dell’Ufficio il quale liquiderà la maggiore imposta in dipendenza dei proventi in ipotesi non dichiarati, sui quali il “sostituto” non abbia operato la dovuta trattenuta, omettendo il relativo versamento (Cass. Civ., 3 luglio 2013, n. 16686; Cass. Civ., 7 maggio 2014, n. 9763).
1.2. Peraltro, la Commissione regionale ha, con chiara motivazione, evidenziato che il comma 1 dell’art. 23 del d.p.r. 600/1973 impone l’obbligo ai sostituti di effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per compensi da lavoro dipendente ad essi corrisposti e che, in caso di mancata effettuazione delle ritenute o di mancato versamento, il sostituto di imposta ne risulta responsabile.
2. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “Violazione e falsa applicazione di diritto e nello specifico dell’art. 51 del TUIR – d.p.r. 917/1986, comma 6, anziché la più corretta applicazione del comma 5 del medesimo articolo di legge, relativamente all’interpretazione ed alla definizione di trasferta cd. occasionale ovvero trasferta cd. strutturale o per contratto”, in quanto nel contratto di lavoro per i dipendenti si fa riferimento ad una precisa sede, in Borgomanero (NO), (…) 21, elemento incompatibile con la qualifica di trasfertista. Inoltre, le indennità vengono corrisposte dalla società in relazione a tabelle in cui vengono indicate le distanze chilometriche percorse, quindi corrisposte con un criterio preciso e “non indiscriminatamente tutti i giorni lavorativi”.
2.1. Anzitutto, si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Agenzia delle Entrate nel controricorso, il motivo di ricorso per cassazione è autosufficiente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., in quanto, benché non sia riportato nel gravame l’intero contenuto della sentenza della Commissione regionale, sono però riportati gli stralci necessari per comprendere la ratio decidendi della sentenza (cfr. pagina 8 “In estrema sintesi la CTR, nella motivazione dell’impugnata sentenza, cita, per giustificare l’applicabilità del 6 comma dell’art. 51 TUIR, proprio quel documento dal quale…emergono tutti gli elementi per escludere tout court l’assoggettabilità delle indennità concesse saltuariamente ai lavoratori al disposto del 6 comma dell’art. 51 Tuir…”; cfr. pagina 9 “La CTR, secondo un non ben definito e chiaro iter logico, cita a sostegno della propria decisione i documenti prodotti da S. dandone una interpretazione opposta…”; cfr. pag. 9 “La CTR riprende pedissequamente passaggi e stralci dei documenti prodotto…”).
2.2.Il motivo è fondato.
Invero, per la Suprema Corte, a Sezioni Unite (Cass. Civ., 15 novembre 2017, n. 27093) è conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117, comma 1, Cost., sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo di cui all’art. 6 della CEDU, l’art. 7 quinquies del d.l. n. 193 del 2016 (conv. con modif. in l. n. 225 del 2016) – che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica” del comma 6 dell’art. 51 del d.P.R. n. 917 del 1986, con la quale si è stabilito, al comma 1, che i lavoratori rientranti nella disciplina prevista dal comma 6 sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta, e che, in caso di mancata contestuale esistenza delle suindicate condizioni, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo art. 51.
Nella fattispecie in esame, quindi, poiché è pacifico, in assenza di specifica contestazione della Agenzia delle entrate, che nel contratto di lavoro è indicata la sede dove si svolge l’attività lavorativa e le indennità di trasferta sono pagate a seconda delle distanze chilometriche percorse e non a misura fissa, che non ricorrono contestualmente le tre condizioni di cui alla legge di interpretazione autentica, sicché si applica l’art. 51 comma 5 del d.p.r. 917/1986, per cui “Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori dal territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente lire 90.000 al giorno, elevate a lire 150.000 per le trasferte all’estero”.
3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, che si adeguerà al principio di diritto di cui al punto 2.2. della motivazione e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo; rigetta il secondo; cassa, in relazione motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, che si adeguerà al principio di diritto di cui al punto 2.2. della motivazione e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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