CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16242
Tributi – Reddito d’impresa – Plusvalenza tassabile – Opzione per la rateizzazione – Omessa compilazione dello specifico campo nella dichiarazione dei redditi – Omissione di natura formale – Irrilevanza. – Requisiti per la rateizzazione – Perizia tecnica di parte – Valutazione da parte del giudice
Ritenuto in fatto
Con avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004 notificato alla società T. s.r.l., l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione un maggior reddito imponibile ai fini Irap e Ires, avendo accertato una “differenza tassabile” per euro 196.533,86 derivante da una plusvalenza immobiliare di euro 245.667,20, che la contribuente aveva esposto nella dichiarazione dei redditi in cui si era verificata (2004) e nei quattro anni successivi in quote costanti, nonché costi non “inerenti” per euro 9.529,46.
Avverso il suddetto avviso veniva proposto ricorso dalla contribuente, la quale eccepiva la nullità dell’accertamento per violazione dell’art. 12, comma 5, dello Statuto del contribuente, la illegittimità della pretesa fiscale per avere l’Ufficio fatto ricorso ad un accertamento cd. “parziale” ex art. 41 bis del d.P.R. n. 600/73, la violazione degli artt. 39, 1° comma, del d.P.R n. 600/73 e 2697 cod. civ., nonché la erroneità della imposta accertata.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva in parte il ricorso, determinando il reddito imponibile nel minor importo di euro 233.605,00.
Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale lo accoglieva e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava il reddito di impresa imponibile ai fini Ires, imponibile Irap e sanzioni conseguenti.
La Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La società T. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con un unico motivo, illustrato con memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ..
Considerato in diritto
1. Va, preliminarmente, esaminato il ricorso incidentale proposto dalla società contribuente, in quanto, in caso di fondatezza del motivo formulato, risulterebbe superfluo l’esame dei motivi formulati con il ricorso principale.
2. Con un unico motivo la contribuente deduce violazione dell’art. 12, comma 5, della legge n. 212/2000, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 cod proc. civ., degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. e censura la decisione impugnata per avere la C.T.R. ritenuto irrilevante che la durata delle operazioni di verifica abbiano superato il termine previsto dall’art. 12, comma 5, della legge n. 212/00, pur trattandosi di violazione che rendeva inutilizzabili le prove acquisite e nullo l’atto di accertamento.
2.1. Il motivo è infondato.
La violazione dell’art. 12, comma 5, legge 212/00, il quale recita: “la permanenza degli operatori…., dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni”, non comporta la nullità dell’accertamento, né l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, trattandosi di effetti non previsti dall’ordinamento (Cass. n. 75841 del 15/4/2015).
Infatti, in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, della l. n. 212 del 2000, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass. n. 2055 del 27/01/2017).
3. Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo – rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917/86, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. – l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma <<per quanto concerne l’annessa richiesta nella dichiarazione dei redditi (Mod. Unico 2005) del rateizzo della plusvalenza, va rilevato che tale omissione ha natura formale>>.
La ricorrente ha evidenziato che la interpretazione data dal giudice di appello non è condivisibile, in quanto l’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917/86 prevede che chi realizza una plusvalenza, ove voglia avvalersi della rateizzazione, deve operare una scelta e la opzione deve risultare dalla dichiarazione dei redditi.
3.1. Il motivo è infondato.
In fatto, è pacifico tra le parti che la contribuente non aveva compilato la dichiarazione dei redditi – Mod. Unico 2005 – nella parte specificamente destinata alla opzione per la rateizzazione delle plusvalenze nell’anno in corso e nei quattro anni successivi (art. 86, comma 4, del t.u.i.r.), ma il giudice di appello ha ritenuto che da tale omissione, avente natura meramente formale, non possa farsi discendere la impossibilità di rateizzare, essendo tale conseguenza prevista esclusivamente in caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e non in caso di mancata indicazione nell’apposita casella della richiesta di rateizzazione nella dichiarazione regolamente presentata.
L’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917/86 stabilisce che “le plusvalenze realizzate….determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a un anno, per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata….”.
L’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 442 del 1997 precisa che “l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili”.
Alla luce delle suddette disposizioni normative va rilevato che, qualora sia mancata in dichiarazione la formale opzione per la rateizzazione, vale a favore del contribuente il comportamento concludente costituito dall’avere spalmato la plusvalenza nelle dichiarazioni dei redditi dell’anno in cui essa si è verificata e nei quattro anni successivi in quote costanti, potendosi da tale comportamento inferire la implicita opzione per il regime di rateizzazione della plusvalenza.
Nella fattispecie in esame risulta acclarato dal giudice di appello che la plusvalenza è stata effettivamente rateizzata in quote costanti che sono confluite nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008, sicché il comportamento concludente della contribuente lascia ritenere che essa abbia, seppur implicitamente, manifestato la volontà di optare per la rateizzazione.
4. Con il secondo motivo – rubricato violazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod proc. civ. ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo – si deduce che la Commissione tributaria regionale ha illegittimamente ritenuto, sulla base di una perizia giurata prodotta dalla contribuente, che la plusvalenza realizzata in conseguenza della cessione a titolo oneroso di due terreni contigui e degli opifici industriali sugli stessi insistenti in favore della Credemleasing sia da imputare unicamente al primo edificio, di cui la T. s.r.l. aveva il possesso da oltre tre anni, e non alla parte dell’opificio industriale acquistato dalla contribuente solo nell’anno 2004.
4.1. La controricorrente ha eccepito la inammissibilità del motivo di ricorso in quanto formulato attraverso un “collage” di atti e di documenti del giudizio.
La eccezione è infondata. In tema di ricorso per cassazione, la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, sanzionabile con l’inammissibilità, a meno che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi. (Cass. n. 18363 del 18/09/2015).
Nel caso di specie i documenti riprodotti nel corpo del ricorso sono facilmente individuabili e separabili dal restante contenuto del ricorso ed i motivi risultano adeguatamente formulati mediante chiara enunciazione delle censure proposte.
4.2. Il motivo è fondato sotto il profilo del difetto di motivazione.
Dall’atto di accertamento, di cui è stato trascritto uno stralcio nel ricorso, emerge che con due separati atti notarili la T. s.r.l. ha acquistato in data 9.12.98 ed in data 4.2.2004 due appezzamenti di terreno contigui sui quali ha costruito in momenti diversi un opificio industriale; successivamente, con atto notarile del 11.6.04, la società ha venduto l’opificio industriale alla Credemleasing al prezzo di euro 2.500.000,00 e, in virtù di contratto di lease-back, ha continuato ad utilizzarlo dietro pagamento di canoni di locazione mensili.
L’Agenzia delle Entrate sostiene che la T. s.r.l. non possa fruire della rateaizzazione della plusvalenza in quanto una parte dell’opificio venduto non risultava posseduto dalla società venditrice nel triennio antecedente alla vendita, dato che l’appezzamento di terreno sul quale è stata edificata detta porzione dell’opificio è stato acquistato nell’anno 2004; assume, inoltre, che la Commissione tributaria regionale, non solo non avrebbe dovuto attribuire rilievo probatorio alla perizia di parte, ma avrebbe dovuto anzi considerare che la plusvalenza, realizzata con la cessione di due adiacenti capannoni costruiti rispettivamente nel 1995 e nel 2002 su distinti appezzamenti di terreno, si riferisce ad entrambi gli opifici.
La motivazione del giudice di appello è carente, in quanto si limita a richiamare la perizia di parte, ma non spiega in concreto le ragioni in forza delle quali ritiene che la plusvalenza debba essere imputata al solo primo edificio, tenuto conto che la vendita in favore della Credemleasing comprende entrambi gli edifici e che la perizia estimativa non può da sola dimostrare che il maggior valore derivante dalla cessione non sia stato determinato anche dalla cessione del secondo fabbricato, non potendo a tal fine soccorrere il solo breve intervallo di tempo intercorso tra la ultimazione del secondo edificio e la redazione della perizia.
Infatti, la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, posto che il contenuto tecnico del documento non vale ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo (Cass. n. 16552 del 06/08/2015).
5. Con il terzo motivo – rubricato violazione dell’art. 2697 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 109 del d.P.R. n. 917/86, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. – la ricorrente, con riferimento al recupero relativo agli interessi passivi addebitati alla voce “Canoni leasing capannone”, lamenta che la C.T.R. non si è avveduta che gli stessi non potevano essere dedotti poiché riguardavano una quota parte di interessi passivi su somme di denaro date in deposito dalla ditta individuale “DTL di C. F.” alla T. s.r.l
Ha spiegato, in particolare, che fra la ditta individuale e la società contribuente era stato stipulato un contratto cd. di tesoreria, per effetto del quale la prima ditta aveva dato mandato alla T. s.r.l. di riscuotere per suo conto tutti i crediti da essa vantati nei confronti di terzi e di effettuare pagamenti su delega del mandante, dietro pagamento di un compenso mensile; ha quindi sostenuto che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, i costi non sono inerenti alla attività svolta dalla contribuente, dato che questa consisteva in “attività di magazzinaggio e di distribuzione di giornali e riviste” e non in attività di recupero di crediti.
5.1. Il motivo è inammissibile perché con tale censura non si denuncia una violazione di legge, ma si muovono critiche alla motivazione della sentenza.
Sul punto, il giudice di appello, dopo avere sottolineato che l’Amministrazione finanziaria ha proceduto al recupero a tassazione degli interessi passivi perché non inerenti alla attività della contribuente, in presenza del contratto di tesoreria ed in assenza di contestazione della effettività della corresponsione degli interessi passivi, ha ritenuto non condivisibili i rilievi mossi dall’Ufficio nel processo verbale di constatazione, “in quanto i fondi in questione di proprietà della ditta C. F. sono stati utilizzati per l’attività gestionale della ditta T., che aveva stipulato apposito contratto di tesoreria con la ditta C. in data 1/9/95…”, ed ha affermato che “tale contratto è perciò funzionale all’oggetto sociale della T….”.
La Commissione regionale, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ha, quindi, ritenuto sussistente il requisito della inerenza.
In conclusione, deve essere respinto il ricorso incidentale, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale della Agenzia delle Entrate, rigettato il primo motivo e dichiarato inammissibile il terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale della contribuente; accoglie il secondo motivo del ricorso principale della Agenzia delle Entrate, rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il terzo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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