CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16569
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Pronuncia che riconosce il diritto al rimborso senza provvedere alla sua quantificazione – Giudizio di ottemperanza – Rimborso ritenute applicate su prestazione di capitale corrisposta da Fondenel – Determinazione
Rilevato che
V.M., ex dirigente Enel, presentava dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania ricorso per ottemperanza, ex art. 70 del d.lgs. n. 546/1992, alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13644 del 22 giugno 2011, che – in accoglimento parziale del ricorso proposto dal contribuente avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione ad una sua istanza di rimborso delle ritenute operate dal Fondenel (in precedenza denominato P.I.A.) su una prestazione di capitale corrispostagli, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in luogo del trattamento di pensione integrativa, derivante dall’applicazione della minore aliquota del 12,5 per cento in luogo di quella applicata dal sostituto d’imposta – aveva dichiarato <<il diritto di quest’ultimo al rimborso per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% alle sole somme liquidate per il rendimento>>.
Lamentava che, successivamente alla richiesta di rimborso di euro 102.934,32, l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto ulteriore certificazione dell’Enel.
La Commissione tributaria regionale, all’esito del giudizio di ottemperanza, constatata la mancanza in atti di certificazione rilasciata da Fondenel, contenente l’indicazione analitica degli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, e la impossibilità di desumere dalla certificazione esibita dal contribuente, proveniente dall’Enel, le modalità dell’investimento, riconosceva il rimborso della minor somma di euro 27.012,37, quale differenza tra quanto versato all’Erario dal sostituto d’imposta, ossia euro 29.888,60, e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,5 per cento alle somme liquidate per il rendimento.
V.M. ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
V.M. resiste con controricorso al ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis. 1. cod. proc. civ..
Considerato che
1. Con l’unico motivo del ricorso principale, V.M. denuncia error in procedendo, e precisamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per avere la Commissione regionale erroneamente accolto solo in parte il ricorso, con statuizione estranea alla funzione propria del giudizio di ottemperanza, laddove ha riconosciuto un rimborso inferiore a quello richiesto in ragione della carenza di una <<certificazione Fondenel>>, ritenuta indispensabile per dare attuazione al giudicato, documentazione che, invece, non era stata ritenuta necessaria dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che avevano cassato la sentenza senza rinvio.
2. Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., assume che la sentenza n. 13644 del 2011 delle Sezioni Unite, avendo dichiarato il diritto del M. alla applicazione dell’aliquota agevolata del 12,5 per cento sulle somme corrispondenti al <<rendimento>> della sua polizza previdenziale, ai fini del riconoscimento del preteso diritto al rimborso delle ritenute subite richiede una indagine nuova, da svolgere in un nuovo giudizio assistito dalle garanzie del doppio grado, dovendosi, viceversa, escludere che la determinazione del quantum della pretesa azionata sia già insita nella sentenza delle Sezioni Unite.
3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, denuncia violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 e lamenta che la C.T.R. ha acriticamente accolto, sia pure in parte, la domanda del M., fondata sul presupposto che il capitale da tassare quale reddito di lavoro con i criteri propri del T.F.R. fosse rappresentato dai contributi versati, aumentati del capitale iniziale, ed il <<rendimento>> da assoggettare all’aliquota agevolata del 12,5 per cento fosse rappresentato dalla differenza tra la somma percepita (a seguito della capitalizzazione della pensione integrativa) e l’ammontare dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore dipendente, aumentati del capitale iniziale, senza avvedersi che la nozione di <<rendimento>> ricavabile dalla sentenza delle Sezioni Unite si riferisce in realtà all’aumento di valore della quota individuale di partecipazione ad un fondo previdenziale <<a capitalizzazione>>, ancorato al rendimento dei capitali investiti.
4. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, la difesa erariale denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. e all’art. 62, primo comma, del d.lgs. n. 546/1992, per avere la C.T.R. reso una motivazione che non consente di cogliere le ragioni per le quali i giudici di merito hanno ritenuto di poter accogliere, sia pure in parte, la domanda proposta dal contribuente, nonostante il riconoscimento che <<la certificazione allegata al fascicolo di causa non attesta, come invece previsto dalla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, quale parte della prestazione costituisce frutto dell’impiego sul mercato finanziario delle somme accantonate>>.
5. Il primo motivo del ricorso incidentale, che deve essere esaminato preliminarmente in quanto investe profili che attengono alla natura del giudizio di ottemperanza ed ai poteri che l’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 attribuisce al giudice in sede di ottemperanza, è infondato e va rigettato.
5.1. Costituisce principio costante della giurisprudenza di questa Corte che il ricorso per ottemperanza è ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l’inerzia della P.A. rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell’atto posto in essere dall’Amministrazione rispetto all ‘obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire; infatti, il giudizio di ottemperanza, essendo rivolto a rendere effettivo, mediante l’individuazione di idonei provvedimenti, l’ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, si atteggia quale giudizio strettamente connesso con quello principale, di cui costuisce la realizzazione e l’integrazione, tanto che si è precisato che in tale giudizio viene in luce con <<speciale evidenza, il principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantita dall’articolo 24, comma 1, della Costituzione>> (Cass. n. 13382 del 30/6/2016, non massimata).
5.2. Al pari dell’ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo (art. 112 cod. proc. amm.), il giudice tributario deve quindi dare completa attuazione al comando contenuto nella sentenza, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo.
Infatti, il giudizio disciplinato dall’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 ha natura di giudizio misto o sui generis, caratterizzato da un misto di poteri cognitori ed esecutivi, nel quale il giudice dell’ottemperanza deve preliminarmente verificare il dispositivo della sentenza rimasta inapplicata per individuare gli obblighi ivi prescritti, valutare la portata del dispositivo unitamente alla motivazione, per poi svolgere la tipica attività di merito dell’ottemperanza, che è quella dell’adozione di provvedimenti in luogo dell’Amministrazione inadempiente, finalizzati al ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente, sostituendosi all’attività amministrativa che l’Ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato (Cass. n. 20202 del 24/9/2010; Cass. n. 4126 dei 1/3/2004).
5.3. Da tali considerazioni discende che, anche a fronte di comandi privi dei caratteri di puntualità e precisione – come una pronuncia che riconosce il diritto al rimborso senza provvedere alla sua quantificazione – è comunque ammissibile il ricorso al giudice dell’ottemperanza che dovrà interpretare il comando per poi addivenire ad un’integrazione di questo attraverso la determinazione del quantum e del quomodo della statuizione ineseguita.
5.4. Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del 1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza.
5.5. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. <<carattere chiuso del giudizio di ottemperanza>>), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016).
5.6. La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire).
In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza può compiere un’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile.
5.7. La disamina di tali principi generali, comuni al procedimento amministrativo e a quello tributario, evidenzia che, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate con il mezzo in esame, l’attuazione del diritto al rimborso riconosciuto con la sentenza delle Sezioni Unite n. 13644 del 2011, resa inter partes, non impone l’instaurazione di un nuovo giudizio volto alla determinazione del quantum della pretesa azionata, proprio perché, in ragione dei presupposti del giudizio di ottemperanza da non confondere con quelli del giudizio di esecuzione, spetta proprio alla Commissione tributaria regionale adita in ottemperanza stabilire le modalità di esecuzione del giudicato, qualora tali modalità non siano nello stesso precisate, e, quindi, individuare i mezzi idonei ad assicurare la sua corretta ottemperanza, adeguata cioè al decisum.
6. L’unico motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente, sono fondati e vanno accolti.
6.1. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 13644 del 22 giugno 2011, intervenendo sulla questione relativa alla disciplina impositiva applicabile in materia di prestazioni erogate in forma di capitale da fondi previdenziali integrativi (Fondenel e P.I.A.), dopo avere distinto la situazione dei soggetti già iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (28 aprile 1993) e quella dei soggetti iscritti a forme analoghe in epoca successiva all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo – situazione <<binaria>> a cui ha posto fine l’art. 12, comma 1, del d.lgs. 18 febbraio 2000, n. 47 (come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. a), d.lgs. 12 aprile 2001, n. 168) – con riferimento ai capitali maturati in data antecedente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, ipotesi ricorrente nel caso di specie, hanno evidenziato, che <<il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse>>, le quali <<nel caso concreto, trattandosi di un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte di una <<sorte capitale>>, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da <<un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato>>, sicché «possono essere tassate in modo analogo al t.f.r. esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.) si applica la tassazione nella misura del 12,5 per cento, ai sensi dell’art. 6 I. 26 settembre 1985, n. 482>> (punto 5.1. della motivazione).
Accogliendo parzialmente il ricorso del contribuente e, decidendo nel merito, hanno, quindi, dichiarato il diritto di quest’ultimo al rimborso per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,5 per cento alle somme liquidate per il rendimento.
6.2. Il giudice dell’ottemperanza, operando una valutazione puramente equitativa ed utilizzando criteri di calcolo di cui non chiarisce la provenienza, ha riconosciuto al contribuente, <<in via interlocutoria>>, la minore somma di euro 27.012,37 a fronte della maggior somma richiesta, limitandosi ad affermare la mancanza agli atti di causa di idonea certificazione rilasciata da Fondenel, contenente l’indicazione analitica degli elementi necessari per dare corretta esecuzione al giudicato, ed a evidenziare che la certificazione esibita dal ricorrente, su carta intestata Enel, non specificando le modalità dell’investimento, non consente di verificare l’esistenza del «rendimento netto>> imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.
6.3. Risulta evidente che la Commissione regionale, nell’accogliere parzialmente il ricorso del contribuente, è incorsa nell’errore procedurale denunciato, perché non si è attenuta alla portata precettiva del giudicato, che si estende anche al punto 5.1. della motivazione della sentenza, avvalendosi dei poteri conferiti dall’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 per renderlo effettivo, ma ha utilizzato un metodo di calcolo forfettario della somma da rimborsare che non rispetta i principi enunciati dalle Sezioni Unite, che devono essere interpretati, come chiarito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte con numerose pronunce (Cass. n. 10285 del 26 aprile 2017; Cass. n. 4941 del 2 marzo 2018; Cass. n. 5436 del 7 marzo 2018), nel senso che il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rinvenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento, non anche a somme calcolate attraverso la adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione (Cass. n. 5436 del 7 marzo 2018; Cass. n. 16116 del 19 giugno 2018).
6.4. Per dare attuazione alla sentenza con cui è stato riconosciuto, in via definitiva, all’ex dirigente dell’Enel, il diritto al rimborso della maggiore Irpef versata dal sostituto d’imposta sul trattamento liquidato dal Fondo, il giudice dell’ottemperanza avrebbe dovuto, piuttosto, verificare se vi fosse stato l’impiego, da parte del Fondo, sul mercato del capitale accantonato e quale fosse stato il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo la tassazione agevolata al 12,5 per cento, e ciò sulla base della valutazione del materiale probatorio già acquisito agli atti di causa, nel rispetto degli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova, in forza dei quali grava sul contribuente che chiede il rimborso – attore in senso sostanziale anche nel giudizio di ottemperanza – l’onere di dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile in concreto a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento.
Il giudice, in violazione dell’art. 70 del d.lgs. n. 546/1992, non ha, quindi, adottato i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza del decisum delle Sezioni Unite.
7. L’accoglimento del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale consente di dichiarare assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale.
8. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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