CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2022, n. 19775
Avvocato – Sospensione dall’esercizio della professione forense – Interruzione del giudizio – Riassunzione tardiva – Estinzione
Rilevato in fatto
che, con ordinanza depositata il 19.1.2016, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato estinto il giudizio pendente tra l’avv. G.T. e R.D.S. s.p.a. per essere tardivamente intervenuta la riassunzione a seguito dell’interruzione dichiarata all’udienza del 1°.4.2014 in conseguenza della sospensione della medesima avv. T. dall’esercizio della professione forense;
che avverso tale pronuncia l’avv. G.T. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria, e contestualmente dichiarando di rinunciare ad altro ricorso già proposto avverso il dispositivo della medesima ordinanza;
che R.D.S. s.p.a. ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del gravame per avvenuto passaggio in giudicato dell’ordinanza impugnata;
Considerato in diritto
che, con riferimento alla preliminare eccezione di inammissibilità, questa Corte ha effettivamente avuto modo di chiarire che qualora, dopo la notificazione del ricorso per cassazione, il ricorrente notifichi alla controparte, in pari data, rinuncia agli atti del procedimento instaurato con detto ricorso ed una rinnovazione dello stesso gravame, il perfezionarsi della rinuncia per effetto di accettazione della controparte, ovvero, anche a prescindere dall’accettazione, se la controparte non abbia interesse alla prosecuzione del giudizio, determina l’estinzione del procedimento ed il passaggio in giudicato della sentenza di appello, sicché, a prescindere dagli eventuali diversi scopi che il rinunciante si fosse proposto, detta rinnovazione è inidonea a riattivare il precedente ricorso per cassazione ovvero ad instaurarne uno nuovo (Cass. n. 20112 del 2017);
che, nondimeno, tale principio va contemperato con l’altro, parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel rito del lavoro, l’unica deroga al principio generale dell’impugnabilità della sentenza solo dopo che sia stato depositato in cancelleria il testo completo di dispositivo e motivazione è prevista dall’art. 433 c.p.c., che disciplina l’appello con riserva di motivi per il caso in cui sia stata intrapresa l’esecuzione forzata sulla base del dispositivo letto in udienza, di talché è inammissibile il ricorso per cassazione notificato dopo la lettura del dispositivo e prima del deposito della motivazione, ferma restando la possibilità di tempestiva proposizione di un nuovo ricorso successivamente al deposito stesso, non ostandovi il disposto dell’art. 358 c.p.c., a norma del quale soltanto l’intervenuta dichiarazione giudiziale di inammissibilità o improcedibilità del gravame, e non anche la semplice pendenza di una impugnazione in sé inammissibile o improcedibile, vale a precludere, sempre che il termine utile non sia decorso, la sua valida rinnovazione (Cass. n. 6517 del 1982);
che l’applicazione di tale ultimo principio al caso di specie (certamente possibile, avuto riguardo al contenuto decisorio dell’ordinanza di estinzione: cfr. fra le tante Cass. n. 26914 del 2020) impone di ritenere che, non essendo stata ancora dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dall’odierna ricorrente nei confronti del mero dispositivo dell’ordinanza di estinzione, il presente gravame sia affatto tempestivo, siccome notificato in data 21.12.2016;
che, ciò posto, con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 300, 303 e 305 c.p.c., 2697 c.c. e 115-116 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto tardiva la riassunzione del processo sul presupposto che, essendo stata l’ordinanza di interruzione letta all’udienza del 1°.4.2016, da tale necessariamente decorreva il termine per la riassunzione, indipendentemente dal fatto che ella non fosse presente all’udienza, essendo costituita personalmente in giudizio;
che va preliminarmente rilevato come la presente fattispecie non sia sovrapponibile a quella decisa da questa Corte con sentenza n. 17375 del 2019, richiamata da parte ricorrente nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c., essendo stata tale ultima pronuncia resa in una vicenda processuale in cui l’evento interruttivo aveva colpito il difensore della parte e non, come nella specie, la parte che, avendone titolo, si difendeva personalmente;
che, con riguardo a quest’ultima fattispecie, risulta invece decisivo osservare che, operando in tali casi l’interruzione di diritto e a prescindere dall’eventuale declaratoria giudiziale, è sufficiente e al contempo necessario che il procuratore già regolarmente costituito per se stesso riprenda a svolgere le proprie funzioni in seguito alla cessazione della sospensione nel termine decadenziale di cui agli artt. 301 e 305 c.p.c., senza che abbia rilievo la conoscenza legale della ordinanza d’interruzione del processo (così da ult. Cass. n. 20509 del 2020);
che, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la circostanza che nel processo dichiarato estinto l’odierna ricorrente fosse costituita (anche) in proprio emerge dall’atto di appello riprodotto a pag. 12 del ricorso per cassazione, dove si legge che il gravame era proposto “per il sig. A.R. […] presso l’avv. G.T. che lo rapp.ta e difende […] nonché [per] l’avv. G.T., con il proprio ministero ex art. 86 c.p.c.”; che, non avendo l’odierna ricorrente nemmeno indicato la data di cessazione del provvedimento di sospensione dall’esercizio della professione, che è l’unica rispetto alla quale poteva valutarsi la tempestività della riassunzione operata in data 24.2.2016, il ricorso – corretta negli anzidetti termini la motivazione dell’ordinanza impugnata – va rigettato, compensandosi nondimeno le spese del giudizio di legittimità in relazione alle indubbie peculiarità della vicenda; che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.