CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2022, n. 19838
Lavoro – CCNL Dirigenti aziende industriali – Equiparazione delle dimissioni per giusta causa al licenziamento – Indennità di mancato preavviso – Misura – Computo dell’indennità nel T.F.R.
Rilevato che
1. Con sentenza depositata l’8.10.2020 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha accertato la sussistenza di una dequalificazione professionale – dal 2006 al 2008 – di C. P., Direttore tecnico presso A. B. s.p.a. (passato a disimpegnare il ruolo di Senior technical advisor) e, esclusa la sussistenza di un danno alla vita di relazione e di un danno professionale (in quanto dedotti per il periodo successivo alle dimissioni, dopo la decisione dello stesso P. di accettare una prestigiosa proposta di lavoro in Francia), ha condannato la società al pagamento dell’indennità di preavviso, considerata la giusta causa che sorreggeva le dimissioni del lavoratore (e con riferimento al periodo di preavviso dovuto dal dirigente, ossia 4 mensilità, espunti, inoltre, i suddetti 4 mesi dal computo del T.F.R. in quanto periodo, di preavviso, non lavorato);
2. propone ricorso avverso tale sentenza il lavoratore affidandosi a tre motivi e la società resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
3. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) spettando, al lavoratore, l’indennità sostitutiva del preavviso nella misura di dodici mensilità, e non di quattro, in quanto il motivo delle dimissioni è da ricercarsi nell’inadempimento contrattuale del datore di lavoro (dovendo equipararsi le dimissioni al licenziamento), nonché il computo nel T.F.R. e nelle mensilità aggiuntive del suddetto preavviso, come previsto dall’art. 23 del CCNL Dirigenti aziende industriali);
2. con il secondo ed il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2087 in relazione agli artt. 2, 4, 32, 37 Cost., 115 e 116 c.p.c., 2067 e 2729 c.c. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo la Corte distrettuale trascurato il danno non patrimoniale consistente – nel periodo del demansionamento – nel disagio rappresentato dal venir meno di ogni rapporto personale nell’ambito aziendale e nell’aspetto reputazionale cittadino e – nel periodo successivo – nel reperimento di una nuova occupazione;
3. il primo motivo di ricorso – preliminarmente rilevando che risulta prodotto agli atti il C.C.N.L. invocato nonché specificamente richiamato in ricorso (in specie a pag. 16, ove si rinvia al “doc. sub 10”) – è fondato per quanto di ragione; 3.1. questa Corte ha già affermato che “la compiuta disciplina extracodicistica dei licenziamenti individuali e collettivi (L. n. 604 del 1966, L. n. 300 del 1970, L. n. 108 del 1990, L. n. 223 del 1991), ha differenziato in maniera profonda le tipologie di risoluzione unilaterale del contratto di lavoro a seconda della parte da cui provengano, con la conseguenza che, alla stregua dell’attuale regolamentazione, l’assimilazione fra il recesso datoriale e quello del prestatore è limitato, a norma dell’art. 2119 c.c., comma 1, “ai soli effetti del preavviso” (ex plurimis, in motivazione, Cass. 25 marzo 1996 n. 2632), e non già anche agli effetti dell’osservanza di ulteriori obblighi sostanziali e procedimentali propri dell’una ovvero dell’altra delle menzionate figure solutorie” (Cass. n. 21748 del 2006); invero, il combinato disposto degli artt. 2119, primo comma, e 2118, secondo comma, cod.civ., prevede l’equiparazione, soltanto agli effetti del preavviso, delle dimissioni per giusta causa al licenziamento (Cass. n. 2632 del 1996);
3.2. l’art. 23 del C.C.N.L. dirigenti industriali (punto 3) prevede che il dirigente dimissionario deva dare al datore di lavoro un preavviso pari a un terzo di quelli previsti per il licenziamento del datore di lavoro (ossia 4 mesi). Tale previsione, che legittimamente regola (e distingue) il procedimento di recesso proveniente dal lavoratore (rispetto all’esercizio del potere di recesso del datore di lavoro), non ha alcuna interferenza sui criteri di computo dell’indennità di mancato preavviso spettante in caso di dimissioni rassegnate per giusta causa, considerata l’equivalenza posta dalla fonte normativa, ai soli fini del calcolo dell’indennità, tra i due distinti atti di recesso (dimissioni e licenziamento);
3.3. nel caso di specie, in applicazione di tali principi, il dirigente vanta il diritto al pagamento dell’indennità di mancato preavviso nella misura che sarebbe spettata in caso di licenziamento, ossia pari a dodici mensilità;
3.4. sussiste, altresì, il diritto del dirigente al computo dell’indennità di mancato preavviso nel T.F.R., vista l’espressa previsione contenuta nell’art. 23 del C.C.N.L., che non contempla, peraltro, analogo diritto del computo della suddetta indennità nelle mensilità aggiuntive;
3.5. invero, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte – secondo cui il preavviso ha natura “obbligatoria”, con conseguente esclusione, in caso di cessazione immediata del rapporto di lavoro, del computo ai fini del TFR e di altre spettanze: “l’indennità di mancato preavviso e l’indennità di mancato godimento delle ferie non rientrano nella base di computo del trattamento di fine rapporto … attesa, quanto alla prima, la non dipendenza dal rapporto di lavoro per la sua riferibilità ad un periodo non lavorato e per l’effetto della natura obbligatoria del preavviso comportante la risoluzione immediata del rapporto” (Cass. n. 17248 del 2015; da ultimo, Cass. n. 22117 del 2018) – va escluso il computo della suddetta indennità nelle mensilità aggiuntive (a differenza del calcolo nell’ambito del T.F.R. espressamente previsto dalla clausola contrattuale innanzi citata);
4. il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto si sostanziano, pur denunciando la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame;
4.1. come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta; al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest’ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;
4.2. nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto delle allegazioni contenute nel ricorso in appello e ad alcune deposizioni testimoniali, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alla dinamica dell’infortunio come caduta dall’alto e non a livello) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5; la Corte territoriale, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. Civ., SS.UU., n. 6572 del 2006; da ultimo, ex multis, Cass. n. 1327 del 2015; Cass. n. 14204 del 2016; Cass. n. 19434 del 2018 che riconduce al lavoratore l’onere di allegare l’inadempimento datoriale e di fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., e anche per presunzioni, del danno non patrimoniale subito, nonché del nesso di causalità tra inadempimento e danno stesso), ha rilevato che non sussiste un nesso di causalità tra lamentato danno alla vita di relazione (collegato, secondo l’impostazione del dirigente, al suo trasferimento a Parigi presso la nuova società e, dunque, all’allontanamento dalla famiglia e dai suoi interessi) e demansionamento, posto che il danno “si è verificato dopo le dimissioni del lavoratore (che trovano ristoro nel pagamento della indennità sostitutiva del preavviso) e dopo una scelta dello stesso lavoratore che neppure risulta necessitata avendo egli stesso riferito di aver ricevuto altre offerte di lavoro”; la Corte ha, inoltre, aggiunto che “anche la sussistenza di un danno professionale non è stata seriamente allegata ed anzi lo sviluppo della sua carriera dimostra il contrario”;
5. in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto per quanto di ragione, inammissibili il secondo ed il terzo motivo; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, la quale dovrà effettuare il corretto computo dell’indennità di mancato preavviso, anche ai fini del calcolo nel T.F.R., come previsto dal C.C.N.L. applicato alla fattispecie.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibili il secondo ed il terzo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, la quale provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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