CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2021, n. 13842
Tributi – Accertamento – Verifiche eseguite nei confronti di altri contribuenti – Esistenza di attività non dichiarate – Onere di prova contraria a carico del contribuente. – Esenzione per i redditi della società – Estensione ai redditi dei soci – Redditi da attività illecità – Esclusione
Rilevato che
La società O. S. A. S.r.l. in liquidazione (di seguito, breviter, società), ed i singoli soci, S.D.M. e R.L., rispettivamente titolari delle quote del 90% e del 10% del capitale sociale, furono raggiunti da avvisi di accertamento, la società per ILOR ed IRPEF (in relazione alle ritenute d’acconto non effettuate sui redditi da capitale dei soci) per l’anno 1991 ed i soci ai fini IRPEF per il medesimo anno d’imposta.
Gli accertamenti in questione traevano origine da diversi processi verbali redatti dalla Guardia redatti all’esito di verifiche nei confronti di società e ditte individuali terze, che si ponevano quali fornitrici in una serie di transazioni commerciali intercorse con la O. S. A. S.r.l., nei cui confronti erano emersi elementi tali da farne ritenere la natura fittizia e conseguentemente qualificare dette operazioni come soggettivamente inesistenti; elementi sfociati anche, per quanto riguarda la società, in ulteriore avviso di accertamento relativo al recupero delle maggiori IRPEG ed ILOR ritenute dovute.
Per quanto in questa sede rileva, gli accertamenti ai fini ILOR ed IRPEF nei confronti della società ed IRPEF relativamente ai soci furono impugnati dai rispettivi destinatari dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bari, ove il giudizio fu sospeso nelle more della decisione sul giudizio relativo all’avviso di accertamento ai fini IRPEG da parte della Commissione tributaria centrale (CTC) lì pendente.
Intervenuta la decisione della CTC – sezione di Bari – n. 303/2010 del 22 febbraio 2010, che ritenne che la società legittimamente dovesse beneficiare dell’esenzione ai fini ILOR ai sensi dell’art. 101 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, il giudizio incardinato dinanzi alla CTP di Bari fu deciso in senso favorevole ai ricorrenti, desumendo la CTP, dall’affermata spettanza dell’esenzione decennale, la nullità degli avvisi di accertamento impugnati, sia per mancanza del presupposto di imposta, sia per il profitto illecito e come tale confiscabile e non disponibile.
L’appello proposto dall’Ufficio avverso la succitata sentenza della CTP di Bari fu respinto dalla Commissione tributaria regionale (CTR) della Puglia con sentenza n. 68/11/2013, depositata il 24 maggio 2013, non notificata.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
R.L. e S.D.M., anche quali ex soci della nelle more cessata O. S. A. S.r.l., resistono con controricorso, ulteriormente illustrata da memoria ex art. 380 bis 1, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d. Igs. n. 546/1992, nonché violazione degli artt. 101 e 105 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 e dell’art. 14, quinto comma, della I. primo marzo 1986, n. 64, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 n. 4 cod. proc.
1.1. Quanto al primo ordine di censura, la ricorrente lamenta il difetto assoluto di motivazione laddove la pronuncia impugnata ha confermato l’integrale annullamento di tutti gli atti impositivi impugnati, sulla base del mero ed apodittico inciso – riferito all’attività imprenditoriale svolta dalla società – “trattandosi di attività esente”, omettendo in tal modo di giustificare la propria valutazione alla stregua delle contestazioni svolte dall’Ufficio sin dalla motivazione degli atti impositivi e reiterate nei motivi di appello avverso la decisione di primo grado.
1.2. Con riferimento al secondo ordine di censura, la ricorrente rileva, in ogni caso, l’erroneità in diritto della decisione impugnata, laddove, in primo luogo, ha ritenuto applicabile l’esenzione anche ai redditi dei soci, mentre essa – ove mai spettante, circostanza fermamente contestata comunque dall’Amministrazione finanziaria – sarebbe riferibile tassativamente ai soli redditi delle persone giuridiche e, in secondo luogo, ha esteso in maniera assolutamente incongrua rispetto alla ratio della disposizione agevolativa, ad incrementi reddituali aventi fonte – come oggetto di contestazione negli avvisi di accertamento – in attività illecita della società, coinvolta quale acquirente in operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.
2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione dell’art. 39, primo comma, lett. c) e 2° comma del d.lgs. n. 546/1992 (recte d.P.R. n. 600/1973), nonché violazione dell’art. 2700 cod. civ. e dell’art. 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che gli atti impositivi impugnati dai contribuenti sono carenti di motivazione, perché basati su accertamenti svolti a carico di altri soggetti e le cui risultanze non sarebbero state «mai documentalmente ricondotte sugli accertati».
3. Il primo motivo, in cui sono cumulati due diversi ordini di censure, tuttavia suscettibili agevolmente di esame autonomo e pertanto ammissibili (cfr. Cass. SU 9 maggio 2015, n. 9100), è fondato in relazione a ciascun profilo addotto.
3.1. Invero, quanto al dedotto difetto assoluto di motivazione, la pronuncia impugnata incorre nel relativo vizio.
La sentenza impugnata si limita, infatti, a dar conto del diritto all’esenzione, dell’attività imprenditoriale svolta, per l’anno d’imposta 1991, dall’allora O. S. A. S.r.l., per «IRPEF» (recte IRPEG) «ed ILOR decennale», quale affermata dalla succitata sentenza della CTC, non solo omettendo ogni valutazione sui motivi di appello avverso la sentenza di primo grado in forza dei quali era contestata detta statuizione, in presenza di chiari elementi indiziari circa la natura illecita di acquisti da terzi ritenuti inerenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, ma estendendo, tout court, in assenza di qualsivoglia vaglio critico, detta valutazione ai redditi dei soci quali persone fisiche.
3.2. I controricorrenti assumono che sul diritto all’esenzione si sarebbe formato il giudicato esterno, non essendo stata impugnata la sentenza della CTC.
3.2.1. In primo luogo va rilevato che anche la copia di detta sentenza prodotta dai controricorrenti (all. 15 al proprio controricorso), al pari di quella depositata tra i documenti allegati al ricorso erariale, è priva dell’attestazione del passaggio in giudicato, ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ.
3.2.2. In difetto di prova sul preteso giudicato esterno, deve comunque rilevarsi come dalla decisione della CTC sia dato rilevare come in quella sede si ebbe a discutere del solo tipo di attività industriale svolta dalla società, se rientrante o meno nel perimetro di cui all’art. 101 del d.P.R. n. 218/1978 (testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), norma riguardante la sola esenzione dall’ILOR, neppure facendo la motivazione della sentenza della CTC riferimento agli artt. 105 del citato decreto (quanto all’IRPEG) in relazione al disposto dell’art. 14, quinto comma, della l. n. 64/1986, nel testo applicabile ratione temporis, secondo il quale «[p]er le imprese che si costituiscono in forma societaria per la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori meridionali la riduzione alla metà dell’IRPEG di cui all’art. 105, primo comma, del citato testo unico, è sostituita dall’esenzione decennale totale».
3.2.3. Risulta pertanto chiaro come alcun tipo di accertamento di fatto sia stato compiuto in detto giudizio sulla non riconducibilità ad esenzione di attività illecite, come specificamente oggetto di contestazione da parte dell’Amministrazione negli accertamenti societari che hanno dato origine alla presente vicenda processuale.
3.3. Nulla osservando al riguardo, deve rilevarsi come la sentenza impugnata sia incorsa anche nelle denunciate violazioni delle norme di diritto agevolative succitate, avendo questa Corte affermato che «[i]n tema di agevolazioni tributarie, gli artt. 101 e 105 del d.P.R. n. 218 del 1978, che concedono rispettivamente esenzioni dall’ILOR agli stabilimenti industriali impiantati nel Mezzogiorno e riduzioni dell’IRPEG alle imprese in forma societaria costituite nel medesimo territorio, si applicano solo ai redditi d’impresa e non a quelli derivanti da attività illecite, sicché l’Amministrazione finanziaria che accerti operazioni inesistenti legittimamente nega tali benefici, senza dover provare l’omesso svolgimento di qualsiasi attività lecita, gravando sul contribuente, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare, in caso di contestazione, i fatti costitutivi dell’agevolazione invocata» (cfr. Cass. sez. 5, 24 settembre 2015, n. 18930; si veda anche Cass. sez. 5,5 febbraio 2009, n. 2777), ed in ogni caso ancora, avendo indebitamente la pronuncia resa dalla CTR esteso ai redditi da capitale dei soci, quali persone fisiche, benefici fiscali riferibili esclusivamente ai redditi d’impresa, stante la natura di stretta interpretazione delle norme agevolative.
4. Ugualmente è fondato il secondo motivo nei termini di seguito precisati.
4.1. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che gli atti impositivi impugnati dai contribuenti sono carenti di motivazione, perché basati su accertamenti svolti a carico di altri soggetti e le cui risultanze non sarebbero state «mai documentalmente ricondotte sugli accertati», si pone oggettivamente in contrasto con il disposto dell’art. 39, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 600/1973, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte affermato che «[i]n tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, comma primo, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare – anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette – l’infondatezza della pretesa fiscale» (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 21 dicembre 2005, n. 28332; più di recente Cass. sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9210; Cass. sez. 5, 24 settembre 2014, n. 20094).
4.2. Ancora la statuizione resa dalla CTR ed impugnata dall’Amministrazione finanziaria finisce col negare ogni rilievo ai processi verbali di constatazione aventi origine dalle verifiche svolte a carico di società o ditte individuali, quanto all’esistenza di operazioni commerciali intrattenute dalla O. S. A. S.r.l. quale acquirente con le menzionate società o ditte individuali terze.
4.3. Ciò evidentemente è altro riguardo alla valutazione della prova presuntiva che la CTR non ha pertanto in alcun modo operato, sia riguardo alla determinazione del maggior reddito d’impresa della società, sia di quello dei soci sulla base della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili di cui agli avvisi di accertamento notificati a questi ultimi ai fini IRPEF, essendo stata la società O. S. A. società a ristretta base familiare, in quanto costituita da due soli soci, madre (S.D.M.) e figlio (R.L.).
4.4. Appare utile infine precisare come l’intervenuta declaratoria di non luogo a procedere in sede penale nei confronti dell’allora rappresentante legale della società O. S. A. S.r.l. S.Z. dall’imputazione di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, “perché il fatto non sussiste” su cui i contribuenti si soffermano in memoria, non privi di per sé di legittimità gli accertamenti presuntivi all’origine della presente controversia, stante l’autonomia del processo tributario rispetto al giudizio penale, legittimità che dovrà dunque essere nuovamente vagliata dal giudice di merito in sede di rinvio, tenuto conto anche del fatto che proprio quanto osservato dal GIP presso il Tribunale di Trani riguardo al fatto che le partite di olio furono effettivamente pagate (peraltro qui con riferimento al solo fornitore Tota) di per sé non esclude, nell’ambito del processo tributario, che il giudice di merito possa pervenire a ritenere non esclusa la consapevolezza dell’imprenditore, alla stregua della diligenza dell’operatore accorto del settore, di essere parte, quale acquirente, da fornitori fittizi, di operazioni soggettivamente inesistenti in evasione d’imposte.
4.5. Infine, quanto al riferimento all’art. 2495 cod. civ. nella rubrica e nell’articolazione del secondo motivo di ricorso, esso va evidentemente inteso nel senso che gli è proprio, limitatamente alla legittimazione, nell’ambito del giudizio di legittimità, ai soli fini dell’integrità del litisconsorzio, degli ex soci della società quali successori, nei termini chiariti da Cass. SU 12 marzo 2013, n. 6070, della società, della quale nelle more è intervenuta la cancellazione con conseguente estinzione; legittimazione dei soci che ha ambito più esteso di quello afferente alla loro responsabilità, disciplinato dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., di talché affermare la legittimazione di questi ultimi ad essere convenuti in quanto successori della società estinta non equivale anche a riconoscerne la responsabilità in relazione alle obbligazioni sociali (cfr. Cass. sez. 5, 13 ottobre 2020, n. 22104), ciò che postulerebbe peraltro un accertamento di fatto precluso in questa sede.
5. Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata per l’effetto cassata, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Puglia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
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