CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2022, n. 16391

Tributi – IRAP – Commercialista – Rimborso – Requisito di autonoma organizzazione – Affidamento a terzi in modo non occasionale di incombenze tipiche dell’attività professionale – Onere di prova a carico del contribuente di assenza dell’ autonoma organizzazione

Fatti di causa

il contribuente, dottore commercialista, proponeva ricorso avverso il diniego di rimborso dell’IRAP relativa all’anno d’imposta 2013 sostenendo di non disporre di una autonoma organizzazione;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate affermando che: l’entità dei compensi percepiti dal contribuente e cioè l’ammontare del reddito conseguito, è irrilevante ai fini della ricorrenza dell’autonoma organizzazione e le pur consistenti spese possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o spese per il carburante) non funzionale all’implemento dell’aspetto organizzativo; inoltre l’indicazione di notevoli compensi ad altro professionista non fa scattare automaticamente l’imposizione IRAP ma tale imposizione scatta solo quando questi venga inserito nella struttura organizzativa della parte contribuente; infine dalla documentazione risulta che il professionista non si avvaleva di prestazioni di lavoro dipendente, né di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, per consistenza e valore, per l’esercizio dell’attività e che i costi sostenuti per consulenze non hanno rilievo ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione mentre la parte contribuente resisteva con controricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, per essere la motivazione della sentenza meramente apparente.

Il primo motivo di impugnazione è infondato.

Secondo questa Corte infatti:

in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020);

il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);

in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018).

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale – affermando che l’entità dei compensi percepiti dal contribuente e cioè l’ammontare del reddito conseguito, è irrilevante ai fini della ricorrenza dell’autonoma organizzazione e che le pur consistenti spese possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o spese per il carburante) non funzionale all’implementazione dell’aspetto organizzativo;

inoltre l’indicazione di notevoli compensi ad altro professionista non fa scattare automaticamente l’imposizione IRAP ma tale imposizione scatta solo quando questi venga inserito nella struttura organizzativa della parte contribuente; infine dalla documentazione risulta che il professionista non si avvaleva di prestazioni di lavoro dipendente, né di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, per consistenza e valore, per l’esercizio dell’attività e che i costi sostenuti per consulenze non hanno rilievo ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP – ha fornito una motivazione che appare sufficientemente comprensibile e ragionevole, così da porsi al di sopra del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 27899 del 2020; Cass. n. 22272 del 2018). La sentenza impugnata ha infatti elencato ed esaminato gli elementi utili per la decisione a disposizione (sia a favore che contro la parte contribuente) e ha ritenuto, con una valutazione insindacabile in sede di legittimità, che gli elementi che potrebbero lasciare propendere per l’esistenza di una autonoma organizzazione (in particolare le spese e i compensi ad altro professionista) non possono di per sé essere considerati come univocamente diretti a creare una autonoma organizzazione.

Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997 per avere erroneamente riconosciuto inesistente il requisito dell’autonoma organizzazione e per non aver gravato la parte contribuente dell’onere della prova dell’assenza della autonoma organizzazione, in particolare perché l’affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell’attività professionale, deve essere valutato positivamente ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione.

Il secondo motivo di impugnazione è invece fondato.

Secondo questa Corte, infatti:

in tema di IRAP, l’impiego non occasionale di lavoro altrui, quale elemento significativo dell’esistenza di un’autonoma organizzazione – che costituisce, a sua volta, presupposto dell’imposta – può essere desunto dai compensi corrisposti a terzi, purché correlati allo svolgimento di prestazioni non occasionali, afferenti all’esercizio dell’attività del soggetto passivo (Cass. n. 27423 del 2018; Cass. n. 21068 del 2019);

in tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo “l’id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. 25 maggio 2019, n. 12111; analogamente Cass. 19 aprile 2018, n. 9786; Cass. 21 marzo 2012, n. 4492; Cass. 4 novembre 2020, n. 24516);

in tema di IRAP, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per omesso versamento dell’imposta nella misura indicata nella dichiarazione dei redditi, spetta al contribuente che “ritratti” la propria dichiarazione provare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza dell’autonoma organizzazione), determinandosi, altrimenti, un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti ad imposizione ed averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono, in tutto o in parte, il versamento (Cass. n. 6239 del 2020).

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale è censurabile laddove – affermando che l’entità dei compensi percepiti dal contribuente è irrilevante ai fini della ricorrenza dell’autonoma organizzazione e le pur consistenti spese possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o spese per il carburante) non funzionale all’implementazione dell’aspetto organizzativo; inoltre l’indicazione di notevoli compensi ad altro professionista non fa scattare automaticamente l’imposizione IRAP ma solo quando questi venga inserito nella struttura organizzativa della parte contribuente; infine dalla documentazione risulta che il professionista non si avvaleva di prestazioni di lavoro dipendente, né di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, per consistenza e valore, per l’esercizio dell’attività e che i costi sostenuti per consulenze non hanno rilievo ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP – pur enunciando correttamente principi di diritto pertinenti in quanto riguardanti il caso di specie, non ha fatto poi però buon governo dei principi in tema di onere della prova (perché tale onere grava sulla parte contribuente, onerata di fornire la prova del diritto alla restituzione, in quanto il contribuente aveva proposto originariamente ricorso avverso un diniego di rimborso dell’IRAP). Infatti la sentenza impugnata innanzitutto non ha compiuto uno sforzo adeguato per comprendere se la situazione di fatto potesse o meno dare luogo ad una autonoma organizzazione: in effetti la fattispecie concreta è descritta in maniera eccessivamente sommaria e generica, specie con riferimento da un lato alla spese, laddove si afferma che le stesse possono derivare da costi afferenti all’aspetto personale, senza considerare che il relativo onere della prova spetta alla parte contribuente che avrebbe dovuto dunque provare tale destinazione a spese riguardanti l’aspetto personale e dall’altro ai compensi corrisposti ad altro professionista che non necessariamente determinano l’inserimento dello stesso nella organizzazione del professionista, dove parimenti non ci si pone il problema dell’onere della prova di tale inserimento o meno a seguito del suddetto pagamento dei compensi. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale inoltre non ha considerato che l’esistenza di un’autonoma organizzazione – che costituisce, a sua volta, presupposto dell’imposta – può essere desunta dai compensi corrisposti a terzi, specie quando, come riconosciuto della stessa sentenza impugnata, gli stessi siano di entità considerevole, considerando che si ritiene esistente l’autonoma organizzazione quando ci si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui e l’entità considerevole dei compensi non può non considerarsi come un indice assai rilevante dell’esistenza di un’autonoma organizzazione.

Ritenuto pertanto infondato il primo motivo di impugnazione e fondato il secondo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va conseguentemente accolto relativamente a tale secondo motivo e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

respinge il primo motivo di impugnazione e accoglie il secondo, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.