CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2022, n. 16464
Lavoro – Collaboratore esperto linguistico – Riconoscimento del trattamento economico corrispondente a quello dei ricercatori universitari a tempo definito
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Torino ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato estinto il giudizio promosso da V.M. nei confronti dell’Università degli Studi di Torino ed ha accolto in parte il ricorso, condannando l’appellata al pagamento in favore dell’ex lettore, divenuto collaboratore esperto linguistico, la complessiva somma di € 19.666,76, oltre ad € 12.545,55 per accessori, a titolo di differenze retributive maturate a far tempo dal 1° novembre 1993;
2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di causa e le rispettive posizioni delle parti, ha ritenuto, in sintesi, che:
a) andava rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Università perché V.M. aveva agito in giudizio invocando l’applicazione dell’art. 1 del d.l. n. 2/2004 e, quindi, facendo valere un diritto che poteva essere esercitato solo successivamente all’entrata in vigore del decreto e la prescrizione era poi stata interrotta con la richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione risalente al 21.12.2006;
b) non era ostativo alla proposizione del ricorso il giudicato con il quale era stata respinta la domanda di adeguamento retributivo perché la stessa era stata formulata individuando come titolo della pretesa l’art. 36 Cost., mentre il successivo giudizio riguardava l’esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia del 2001 e della legge n. 63/2004;
c) non poteva essere dichiarata l’estinzione del giudizio ex art. 26 della legge n. 240/2010 applicabile nei soli casi in cui risulti che «con il trattamento percepito in concreto dal lettore si sia di fatto già realizzato il complicato meccanismo di adeguamento dettato dalla disciplina legislativa»;
d) il legislatore con il richiamato art. 26 aveva chiarito le modalità di applicazione della disciplina dettata dal d.l. n. 2/2004, quanto alla conservazione dei diritti quesiti ed al rapporto fra il criterio indicato dalla decretazione di urgenza e il trattamento retributivo ritenuto adeguato dalla contrattazione collettiva, e non si era posto in contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustizia che aveva ritenuto discriminatorio solo il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio;
e) la ricostruzione della carriera non poteva essere disposta a partire dal primo contratto di lettorato perché il rapporto di lavoro a tempo indeterminato si era instaurato tra le parti solo a seguito della pronuncia giudiziale che aveva individuato nell’anno accademico 1993/1994 l’inizio del rapporto e, quindi, la data di prima assunzione;
f) il quantum doveva essere determinato tenendo conto dell’orario di lavoro osservato ma a condizione che lo stesso fosse stato oggetto di specifica pattuizione contrattuale;
g) l’assegno quantificato ai sensi dell’art. 26 della legge n. 240/2010 doveva essere riassorbito dai successivi miglioramenti contrattuali;
h) sugli importi corrisposti a titolo di differenze retributive andava corrisposta la maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria, dovendo trovare applicazione anche nella fattispecie il divieto di cumulo, riferibile a tutti i rapporti di lavoro instaurati dalle amministrazioni pubbliche;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università degli Studi di Torino, sulla base di tre motivi ai quali ha opposto difese V.M. con controricorso illustrato da memoria.
Considerato che
1. il ricorso denuncia con il primo motivo, ricondotto al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ., e dell’art. 4, comma 3, del d.l. n. 120/1995, convertito dalla legge n. 236/1995, e censura il capo della sentenza impugnata che ha individuato il dies a quo, ai fini del calcolo del quinquennio, nella data di entrata in vigore del d.l. n. 2/2004 ed ha conseguentemente respinto l’eccezione di prescrizione dell’intero credito;
1.1. l’Università sostiene che, al contrario, la pretesa dell’originario ricorrente di riconoscimento del trattamento economico corrispondente a quello dei ricercatori universitari a tempo definito poteva trovare fondamento già nella previsione dell’art. 4 del d.l. n. 120/1995;
2. il secondo motivo lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2909 cod. civ. perché la domanda proposta con il ricorso del 23 giugno 2010 è corrispondente a quella già rigettata dal Pretore di Torino con sentenza del 21 ottobre 1996, passata in giudicato, che aveva rigettato la domanda di adeguamento retributivo formulata dal Mao sull’assunto che la retribuzione spettante dovesse essere parametrata a quella dei professori associati a tempo definito o dei ricercatori confermati a tempo definito;
3. con la terza critica l’Università denuncia la violazione dell’art. 1 del d.l. n. 2/2004, dell’art. 26 della legge n. 240/2010 nonché dell’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 e sostiene che non poteva la Corte territoriale tener conto di un monte ore annuo superiore alle 500 ore anche se oggetto di specifica pattuizione contrattuale perché il legislatore aveva consentito la diminuzione e non l’aumento, assumendo il dato come limite massimo;
3.1. aggiunge che ai fini del calcolo del differenziale economico occorreva tener conto anche degli aumenti contrattuali corrisposti successivamente ma con efficacia retroattiva e, quindi, applicare il principio di competenza, non quello di cassa;
5. l’annosa vicenda dei lettori di lingua straniera ha inizio con l’entrata in vigore dell’art. 28 del d.p.r. 11 luglio 1980 n. 382, che, sottraendo il rapporto di lettorato dal regime di diritto pubblico, prevedeva che i rettori potessero assumere, con contratto di diritto privato di durata non superiore all’anno accademico, lettori di madrelingua straniera «in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti che frequentano i corsi di lingue» e stabiliva che le prestazioni ed i corrispettivi dovessero essere determinati dal consiglio di amministrazione dell’università, al quale era imposto solo un limite massimo, individuato nel livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito;
6. con sentenze del 30 maggio 1989 (in causa C- 33/88 Allué) e del 2 agosto 1993 (in causa C – 259/91 Allué) la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ritenne detta normativa contraria all’art. 48 del Trattato, nella parte in cui stabiliva che i contratti tra università e lettori di lingua straniera non potessero protrarsi oltre l’anno, sicché il legislatore è intervenuto a disciplinare nuovamente la materia, inizialmente con una serie di decreti legge non convertiti e reiterati (a partire dal d.l. 21 dicembre 1993 n. 530), e poi con il d.l. 21 aprile 1995 n. 120, convertito con modificazioni nella l. 21 giugno 1995 n. 236 che ha fatto anche salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge non convertiti;
7. con questa disciplina, tuttora vigente, si è stabilito che le Università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, «con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato, ovvero, per esigenze temporanee, con contratto a tempo determinato» «collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere»;
7.1. è stato, poi, previsto che l’entità della retribuzione, il regime di impegno e gli eventuali obblighi di esclusività dovessero essere fissati, «fino alla stipulazione del primo contratto collettivo», dai consigli di amministrazione delle università in sede di contrattazione decentrata;
7.2. infine il legislatore, dopo avere affermato il principio della necessità della selezione pubblica finalizzata all’assunzione, per ottemperare al giudicato della Corte di Giustizia, ha stabilito che dovessero essere assunti prioritariamente «i titolari dei contratti di cui all’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, in servizio nell’anno accademico 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o da soppressione del posto», precisando che «il personale predetto… conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti»;
8. con la sentenza 26 giugno 2001, in causa c – 212/99, la Corte di Giustizia ha nuovamente censurato lo Stato italiano per non «aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali»;
8.1. la Corte, adita dalla Commissione delle Comunità ai sensi dell’art. 226 del Trattato, ha osservato che, pur a fronte di una legislazione nazionale volta a garantire la conservazione dei diritti quesiti, l’esame delle prassi amministrative e contrattuali in essere presso sei università italiane aveva fatto emergere situazioni discriminatorie (punti da 31 a 34), non giustificabili con il richiamo all’autonomia degli enti pubblici interessati;
8.2. ha, poi, aggiunto che il principio della necessaria conservazione dei diritti quesiti maturati dagli ex lettori nei rapporti precedenti, diritti garantiti dalla legge n. 230/1962 in caso di conversione del contratto a termine, non poteva essere eluso facendo leva sulla non comparabilità delle situazioni a confronto, derivante per gli ex lettori dalla necessità della selezione pubblica;
8.3. ciò perché entrambe le discipline prevedono «allo scopo di tenere in considerazione l’esperienza professionale dei lavoratori, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, garantendo la conservazione dei diritti quesiti maturati nell’ambito dei rapporti di lavoro precedenti» (punti 28 e 29);
9. si è avuto successivamente un nuovo intervento del legislatore nazionale che, al fine di dare esecuzione alla sentenza – e con riferimento alle Università italiane ivi considerate – con il d.l. 14 gennaio 2004 n. 2, art. 1, convertito con modificazioni nella l. 5 marzo 2004 n. 63, ha previsto che «ai collaboratori linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza” e “l’Orientale” di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente»;
10. nei confronti della Repubblica Italiana è stata avviata, con ricorso del 4 marzo 2004, una procedura finalizzata all’irrogazione di sanzioni per l’inosservanza di obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, avendo la Commissione delle Comunità europee ritenuto che l’Italia non avesse dato piena esecuzione alla citata decisione del 26 giugno 2001;
10.1. con sentenza 18 luglio 2006, in causa C-119/04, la Corte di Giustizia CE ha accertato l’inadempimento dei suddetti obblighi, limitatamente alla situazione esistente prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 2 del 2004, escludendone, invece, la permanenza all’esito del nuovo intervento normativo del legislatore nazionale.;
10.2. ha ritenuto, infatti, che gli elementi offerti dalla Commissione non consentissero di esprimere un giudizio di inadeguatezza dei parametri utilizzati per la ricostruzione della carriera degli ex lettori, tanto più che il legislatore nazionale aveva fatto salvi i trattamenti più favorevoli (punti da 35 a 39);
11. con l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 il legislatore ha interpretato il citato d.l. n. 2 del 2004, precisando che « in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C – 212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto-legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. ».
12. anche la norma di interpretazione autentica rinvia, al pari dell’art. 4 del d.l. n. 120/1995, alla contrattazione collettiva di comparto che già con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996, richiamata la decretazione di urgenza, aveva compiutamente disciplinato il rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici, stabilendone le mansioni, l’orario di lavoro, il trattamento retributivo fondamentale, quantificato in £ 22.000.000 annui lordi (per 500 ore effettive annue) ed in £ 44.000 orarie;
12.1. l’art. 22 del CCNL 13 maggio 2003 aveva, poi, previsto che in sede di contrattazione integrativa di Ateneo sarebbe stata data «applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26.1.2001 nella causa C – 212/99, relativa agli ex lettori di lingua straniera rientranti in tale sentenza, attraverso la definizione di una struttura retributiva per la categoria dei CEL che riconosca l’esperienza acquisita» ed aveva precisato che a tal fine sarebbe stata considerata «come decorrenza iniziale dell’anzianità la data di stipula del primo contratto di lavoro ex art. 28 d.p.r. 382/80 e/o come CEL ex art. 4 della legge n. 236/195 (o precedenti normative)…»;
13. alla luce del richiamato quadro normativo e dei principi già affermati da questa Corte il ricorso deve essere rigettato;
14. il primo motivo è infondato perché la sentenza impugnata non si è discostata dall’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il termine di prescrizione del diritto riconosciuto dall’art. 1 del d.l. n. 2 del 2004 decorre dalla data di entrata in vigore della nuova normativa (Cass. nn. 13175, 14203, 15018 del 2018);
14.1 il legislatore, infatti, per adempiere gli obblighi imposti in sede eurounitaria, ha conferito retroattività alla disciplina dettata dal d.l. n. 2/2004, prevedendo che il trattamento economico riconosciuto dovesse essere attribuito «con effetto dalla data di prima assunzione», ed imponendo una ricostruzione a fini economici della carriera non subordinata ad alcun’altra condizione;
14.2. contrariamente a quanto asserito dall’Università il diritto non poteva esercitato, nei termini riconosciuti dal legislatore, prima dell’emanazione della nuova disciplina, perché le sentenze della Corte di Giustizia richiamate nei punti che precedono avevano solo accertato la violazione del principio di non discriminazione, in relazione al mancato riconoscimento dei diritti quesiti, ma non avevano indicato le modalità attraverso le quali detti diritti dovevano essere garantiti, né avevano precisato quale fosse la retribuzione da riconoscere ai lettori per il periodo in cui, ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, la quantificazione della stessa era rimessa ai consigli di amministrazione dell’Università, avendo il legislatore indicato solo il limite massimo non superabile;
15. il secondo motivo è ammissibile ma infondato;
15.1. con la recente sentenza n. 5669/2022 le Sezioni Unite hanno affermato che in caso di denunciata violazione dell’art. 2909 cod. civ. «il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sindacato di legittimità, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. della sede nel giudicato del precetto di cui si denuncia l’errata interpretazione e dell’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato»;
15.2. in linea con le indicazioni date dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, gli oneri formali imposti dal richiamato art. 366 cod. proc. civ. sono stati intesi in termini meno rigorosi rispetto all’orientamento, emerso in passato, che richiedeva l’integrale trascrizione della pronuncia passata in giudicato;
15.3 nel ricorso l’Università, oltre ad indicare specificamente le modalità di produzione del documento (doc. 28 del fascicolo di parte dell’Università depositato nel giudizio di primo grado), ha trascritto nel corpo del motivo le conclusioni dell’atto introduttivo sulle quali il Pretore ed il Tribunale di Torino avevano pronunciato, ritenendole non fondate, sicché risultano assolti gli oneri sopra indicati, come precisati dal recente arresto delle Sezioni Unite;
15.4. l’eccezione, peraltro, è infondata per le medesime considerazioni già espresse da questa Corte in tema di decorrenza del dies a quo della prescrizione, giacché il diritto che l’ex lettore ha fatto valere nel presente giudizio si fonda sul d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dalla legge n. 240/2010, ossia su una disposizione normativa che il legislatore ha emanato con la specifica finalità di ottemperare alla pronuncia della Corte di Giustizia (chiaro in tal senso è l’incipit dell’art. 1: In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C-212/99…), sicché si tratta di un’azione autonoma e distinta da quella di adeguamento retributivo ex art. 36 Cost., proposta in un diverso contesto normativo e contrattuale;
16. è infondato anche il terzo motivo giacché l’art. 1 del d.l. n. 2/2004 nel prescrivere che all’ex lettore «è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione», è chiaro nell’imporre la ricostruzione della carriera per l’intero periodo di lettorato e nel commisurare il trattamento retributivo anche alla quantità del lavoro svolto;
16.1. il d.l. n.2/2004, infatti, impone di tener conto «dell’impegno orario assolto», ossia della dimensione quantitativa della prestazione effettivamente resa, valorizzata anche dall’art. 26 della legge n. 240/2010 nella parte in cui assicura al lettore il trattamento retributivo del ricercatore confermato a tempo definito in «misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto»;
16.2. erra, quindi, l’Università nel sostenere che in nessun caso poteva essere superato il limite delle 500 ore, posto che quel limite è stato indicato dal legislatore al solo fine di individuare la retribuzione oraria spettante al lettore, mentre, quanto al trattamento retributivo complessivo, la norma è chiara nell’affermare che lo stesso debba essere proporzionato all’impegno effettivo;
16.3. per il resto il motivo è inammissibile perché si risolve nella contestazione delle modalità di elaborazione dei conteggi e sollecita un accertamento di fatto; tra l’altro il motivo non riporta, neppure per estratto e nelle parti essenziali, la consulenza tecnica che, secondo l’assunto della ricorrente, avrebbe erroneamente applicato, ai fini della quantificazione del differenziale, il criterio di cassa anziché quello di competenza;
17. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
18. si deve dare atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, perché l’esenzione prevista in via generale dal richiamato d.P.R. opera per le Amministrazioni dello Stato e non per gli enti pubblici autonomi, seppure autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (Cass. n. 20682/2020)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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