CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 novembre 2018, n. 29980
Tributi – Accertamento – Riscossione – Dichiarazioni fiscali – Omessa presentazione – Inversione dell’onere della prova a carico del contribuente – Procedimento
Fatti e ragioni della decisione
La società Z. D. B. s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio fiscale aveva ripreso a tassazione IRES-IRAP e IVA per l’anno 2011, rispetto al quale la contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni, altresì riconoscendo costi risultanti dalle fatture nella minore misura del 50 % del ricavi.
La CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello dell’ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto i costi riportati dalle fatture esaminate dalla Guardia di Finanza, ritenendo che non era stata offerta alcuna giustificazione, da parte dell’Agenzia, circa la decurtazione del 50 per cento degli importi dei costi come acclarati dalla Guardia di finanza, dovendosi pertanto ritenere corretto l’operato della CTP di Benevento.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La società intimata non si è costituita.
L’Agenzia ha prospettato la violazione degli artt.39 c.2 e 41 c.2 dPR n.600/73 e del dPR n.633/1972. La CTR avrebbe errato nel ritenere ingiustificata la riduzione dei costi indicati nelle fatture, non essendo queste sufficienti per dimostrare l’effettività delle operazioni poste in essere, in assenza di annotazione delle operazioni nella contabilità e nelle liquidazioni periodiche.
La censura è fondata.
Questa Corte è ferma nel ritenere che in caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, i poteri accertativi dell’Ufficio trovano fondamento e disciplina non già nell’art. 38 (accertamento sintetico o standardizzato) o nell’art. 39 (accertamento induttivo o analitico-induttivo), bensì nella diversa previsione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 (c.d. accertamento d’ufficio).
A tal fine l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente medesimo e, in quanto possibile, i singoli redditi delle persone fisiche soggetti all’Ilor, con facoltà di ricorso a presunzioni c.d. supersemplici anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (v. Cass. n. 3115/2006, Cass.n. 9755/2003, Cass. n. 17016/2002).
A ciò si aggiunge che, in caso di accertamento induttivo, gli uffici sono tenuti a determinare l’imponibile e, quindi, il reddito effettivo dei contribuenti e non solo i ricavi. Sicché qualora per determinati proventi non sia possibile addivenire ai costi, questi possono essere determinati induttivamente sulla base degli accertamenti compiuti. In tale ipotesi, infatti, non possono trovare applicazione le limitazioni previste dall’art. 75 T.U.I.R. (nel testo anteriore alla riforma del 2004 (divenuto art. 109 dPR n.917/1986, quanto alla versione ratione temporis vigente rispetto al procedimento qui esaminato -n.d.r.-) in tema di prova dei costi e degli oneri ai fini dell’accertamento con metodo analitico induttivo, in quanto tale norma disciplina la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente-cfr.Cass.n. 1506/2017-. Orbene, secondo l’Agenzia la mera presenza di fatture passive, acclarate dalla Guardia di finanza, non poteva giustificare il riconoscimento integrale delle stesse quali costi, una volta che era stato riscontrato uno scostamento fra l’importo di tali fatture per l’anno in contestazione- pari ad euro 376.985,24-e quello dichiarato dalla parte contribuente nella comunicazione annuale IVA- ove erano state indicate poste passive per euro 254.172,00- appunto giustificando il riconoscimento parziale, nella misura stimata del 50 % dell’importo delle fatture medesime a titolo di costi.
Tale assunto è corretto e la CTR non si è uniformata ai principi espressi da questa Corte come sopra riportati, ove si consideri che l’Ufficio, pur riconoscendo, in sede di accertamento induttivo, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, l’esistenza di costi, li ha anch’essi quantificati induttivamente sulla base di tutti gli elementi emersi in sede di verifica e in assenza di dichiarazione del contribuente e di specifica prova da parte del medesimo, tuttavia determinandoli nella misura del 50 % degli importi indicati nelle fatture passive. Ciò ha fatto proprio valorizzando il dato, presentato dal contribuente, in seno alla comunicazione IVA, dal quale risultava un importo notevolmente inferiore dell’anzidetta voce risultante dall’importo complessivo delle fatture, per l’effetto considerate parzialmente inattendibili.
Orbene, nel compiere tale riduzione l’Ufficio non ha violato alcuna disposizione di legge, spettando semmai al contribuente l’onere di dimostrare che lo scostamento tenuto a base delle valutazioni dell’Ufficio non corrispondeva ad una situazione reale.
Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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