CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 novembre 2020, n. 26492
Tributi – Impianto di trattamento di rifiuti solidi urbani composto di parti elettromeccaniche e opere murarie – Coefficienti di ammortamento – Individuazione – Grado di deperibilità ed usura delle parti – Rapporto di inscindibilità delle parti – Area pertinenziale servente l’impianto – Ammortamento – Legittimità
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di due processi verbali, uno del 17-11-2005 ed un altro del 28-5-2009, emetteva anche due avvisi di accertamento per gli anni 2006 e 2007, ai fini Ires ed Irap nei confronti della C. s.p.a., in relazione alla individuazione dei coefficienti di ammortamento dell’impianto di trattamento di rifiuti solidi urbani realizzato, con finanziamenti pubblici, a Lovadina di Spresiano. In particolare, la società aveva contabilizzato un ammortamento nella misura del 10% sia per i macchinari dell’impianto sia per le opere edili del medesimo impianto, considerando il tutto come un unicum inscindibile, per il rapporto di stretta connessione e di funzionalità tra le varie parti dell’unitario impianto.
Al contrario l’Agenzia ha ritenuto che mentre per i macchinari era corretta l’applicazione dell’indice di ammortamento nella misura del 10%, per le opere edili, che non erano soggette ad un grado di usura paragonabile a quella che interessava i macchinari, doveva applicarsi il coefficiente del 3%. Inoltre, l’Ufficio accertava che il terreno su cui era sorta la struttura non era ammortizzabile, in quanto la sua utilità non poteva esaurirsi nel corso del tempo, non essendo soggetto a deperimento fisico. Nel corso del giudizio di primo grado venivano prodotti un parere pro veritate del Prof. R.L. ed una consulenza tecnica di parte, sulle caratteristiche tecnicofunzionali dell’impianto di smaltimento dei rifiuti, delle strutture edilizie e delle aree scoperte pertinenziali, redatta dall’Ing. S.D., per dimostrare che la procedura di ammortamento doveva riguardare unitariamente sia i macchinari che l’immobile, individuato come “fabbricato-impianto”, quindi con la medesima percentuale del 10%.
2. La Commissione tributaria provinciale di Treviso, con sentenza n. 75/8/2012, accoglieva il ricorso, rilevando, per quanto ancora qui rileva, che l’impianto di smaltimento dei rifiuti non poteva essere distinto tra opere murarie (i capannoni) e le macchine collocate all’interno degli stessi. Tali capannoni non erano abilitati a qualsiasi uso industriale, ma erano strutture concepite e realizzate in funzione dei macchinari. Non era, poi, possibile una conversione di utilizzo se non modificando integralmente le strutture murarie.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello principale l’Ufficio, sia per motivazione inesistente della decisione di prime cure, sia per avere riconosciuto come legittima la percentuale del 10 % dell’aliquota di ammortamento all’intero impianto di smaltimento, senza distinguere tra la percentuale del 10% applicabile ai macchinari e quella del 3% riferibile ai capannoni. L’Ufficio riproponeva le questioni rimaste assorbite nell’accoglimento del ricorso della società.
4.Si costituiva in giudizio la società riproponendo i motivi rimasti assorbiti nella sentenza di primo grado (potere di controllo esercitato per ben sei annualità; particolare incidenza dell’accertamento sulla parità di concorrenza; difetto di motivazione degli avvisi; i contributi pubblici non potevano essere imputati solo all’immobilizzazione assunta quale impianto; illegittimità della pretesa riferita alle sopravvenienze attive; illegittimità della contestazione riferita ai costi ritenuti non di competenza; inapplicabilità delle sanzioni amministrative; assenza della colpevolezza; mancata applicazione dell’istituto della continuazione).
5. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 12/18/2015, depositata il 5-1-2015, accoglieva solo in parte l’appello dell’ufficio, affermando che la pretesa indivisibilità tra opere murarie e di impianto di smaltimento rifiuti della struttura, costituita da una pluralità di parti inscindibilmente connesse tra loro con la medesima durata di vita funzionale, era del tutto priva di adeguata dimostrazione. In realtà, alle opere civili doveva essere attribuito un grado di usura inferiore rispetto a quello degli apparati elettromeccanici. L’applicazione della aliquota di ammortamento nella misura del 10% riguardava, allora, solo i macchinari, mentre ai capannoni andava applicata l’aliquota del 3%. Venivano accolte anche le domande della contribuente in relazione ai motivi rimasti assorbiti, sicché, per quel che ancora qui rileva, l’area di mq. 4.781 doveva essere ritenuta quale area pertinenziale servente l’impianto e quindi il relativo valore era ammortizzabile. Veniva accolto anche il motivo relativo all’applicazione della continuazione tra le sanzioni irrogate.
6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
7. L’Agenzia delle entrate non svolgeva attività difensiva, nonostante la rituale notifica del ricorso per cassazione.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione la società la “omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), laddove il Giudice di II grado ha ritenuto di accogliere l’appello dell’ufficio, poiché, la tesi di C. s.p.a. sarebbe risultata priva di una adeguata dimostrazione, in assenza della quale si poteva fondatamente ritenere che le opere civili dell’impianto in esame avessero tempi di deperimento del tutto assimilabili a quelli degli altri edifici”. La società aveva dedotto nel giudizio di appello che le opere erano state realizzate sulla base d un “unico contratto di appalto”, in modo da creare un sistema unitario di opere edili e di apparecchiature tra loro collegate. Tuttavia, la Commissione regionale, dopo avere aderito al parere prò ventate del prof. L., ha però obiettato che tale tesi era priva di riscontro probatorio. Tuttavia, la “adeguata dimostrazione”, ritenuta mancante dal giudice di appello, si rinveniva non nel parere prò ventate, ma nella perizia asseverata dell’Ing. D., depositata nel giudizio di primo grado e mai citata nella motivazione della sentenza. La prova è stata negata dal giudice perché non è stata vista.
1.1. Tale motivo è infondato.
Invero, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., che attiene al perimetro della domanda giudiziale ed al conseguente dovere del giudice di pronunciare nei limiti della stessa.
Al contrario, la ricorrente si duole soltanto della mancata valutazione delle prove ed in particolare dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La Commissione regionale, invece, si è pronunciata sulla domanda della contribuente, rigettandola in modo espresso, senza sconfinare nel vizio di omessa pronuncia.
2. Con il secondo motivo la ricorrente società deduce, in subordine, “la cassazione dell’impugnata sentenza ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per totale obliterazione di elementi che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione. La consulenza tecnica di parte e dunque la rapida obsolescenza delle opere in muratura sono state completamente ignorate dalla CTR Veneto”. Il giudice di appello è incorso nell’omesso esame di una circostanza essenziale ai fini della decisione della controversia. In realtà, la prova del rapido deterioramento anche degli impianti edili è stata dimostrata nel corso del giudizio con il deposito in primo grado della consulenza tecnica di parte redatta dall’Ing. S.D.. In particolare, il giudice di appello non ha considerato “le circostanze di fatto, individuate in tale perizia” (cfr. pagina 28 del ricorso per cassazione), “in punto di maggiore ed elevato grado di deperibilità ed usura delle parti costituenti le opere murarie”. Il consulente tecnico ha ben evidenziato le questioni di fatto oggetto della controversia: la natura e funzione delle opere murarie; il rapporto di inscindibilità delle stesse, rispetto alle parti elettromeccaniche del cespite; il rapido deperimento delle parti in muratura dell’impianto.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la società lamenta la “violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 n. 4, c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., laddove la Commissione Regionale omette di affrontare le ragioni fatte valere dal contribuente in tema di motivazione degli avvisi di accertamento”, in quanto l’ufficio non ha in alcun modo chiarito il criterio in base al quale il compendio immobiliare era stato scomposto in due parti, il criterio adottato per la riclassificazione dei costi, il criterio per l’applicazione di un coefficiente di ammortamento fiscale del 5 %. Il giudice di appello non avrebbe deciso su tali domande della contribuente.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 600/1973, dell’art. 7 della legge 212/2000 e dell’art. 3, legge 241/1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. (nella parte in cui il Giudice di appello ha desunto la completezza della motivazione degli avvisi di accertamento dal fatto che il contribuente ha potuto difendersi nel merito)”, in quanto l’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo che ha natura imperativa, suscettibile di effetti preclusivi. La “possibilità di difendersi” non costituisce, dunque, il parametro per valutare la sussistenza o meno del vizio della motivazione.
5. Il terzo motivo è infondato.
5.1. Invero, la Commissione regionale ha espressamente rigettato la domanda della contribuente in ordine al difetto di motivazione degli avvisi di accertamento (cfr. pagina 10 della sentenza “Altrettanto infondate e pretestuose sono le doglianze sul presunto difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, posto che gli atti indicano con estrema precisione le ragioni della rettifica ed essendo fuori discussione la legittimità di un avviso di accertamento ritualmente notificato alla parte contribuente, la quale non può pretendere che le venga spiegato ciò di cui è già perfettamente a conoscenza, come dimostra l’attività difensiva svolta sia in primo grado che in questa sede”.
6. Il quarto motivo è inammissibile.
6.1. Invero, si rileva che il giudice di appello ha rigettato il motivo di impugnazione della società in base ad una duplice ratio decidendi, in quanto ha ritenuto che la società era perfettamente al corrente del contenuto della contestazione, avendo ricevuto la previa notifica del processo verbale di constatazione ed essendosi difesa nel merito.
Nel motivo di ricorso per cassazione, però, la ricorrente fa leva solo sulla erroneità della motivazione che si sarebbe fondata in via esclusiva sul “solo parametro della possibilità di difendersi”, trascurando del tutto la previa notificazione del processo verbale di constatazione.
Inoltre, la ricorrente non ha provveduto, in base al principio di autosufficienza, a riportare integralmente il contenuto degli avvisi di accertamento contestati. Infatti, per questa Corte, base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., sez. 5, 28 giugno 2017, n. 16147).
7.1. Il secondo motivo è fondato.
7.2. Deve premettersi che l’ammortamento è il processo tecnico contabile attraverso il quale si ripartisce nei vari esercizi l’onere del deperimento e del consumo relativo alla utilizzazione di beni strumentali, a “fecondità ripetuta” (che non esauriscono la loro utilità in un solo esercizio e quindi partecipano al processo produttivo aziendale in più esercizi), i cui costi vengono ripartiti in quote pluriennali. Per questa Corte, con riferimento al reddito di impresa e con riguardo ai presupposti per l’ammortamento, ha ritenuto che esso può effettuarsi con beni suscettibili di deperimento e consumo dopo un certo numero di anni, sì da essere sostituiti quando non risultino più funzionali allo scopo per il quale sono stati acquistati (Cass., sez. 5, 24 maggio 2013, n. 12924). Infatti, dal reddito di impresa sono deducibili le quote di ammortamento dei beni utilizzati per un limitato periodi di tempo, perché soggetti a logorio fisico o economico, tant’è che la disciplina fiscale, dei diversi coefficienti di ammortamento tiene espressamente conto dell’effettivo tasso di usura al quale sono soggetti i beni strumentali in relazione all’impiego cui essi vengono singolarmente destinati (Cass., n. 22021/06; Cass., n. 1404/2013).
7.3. Tali coefficienti, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, d.P.R. 917/1986 (ora 102 d.P.R. 917/1986), sono stabiliti per classi omogenee di beni, in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi. Pertanto, le quote annue di ammortamento calcolate in base ad essi risultano più alte, se il bene (come un apparecchio meccanico) ha un tasso di deperimento più rapido rispetto ad altri (come i beni immobili).
7.4. Nel corso degli anni la giurisprudenza di questa Corte si è sviluppata nel senso di considerare con maggiore attenzione la possibilità di ammortamento dei beni, estendendone l’orizzonte.
7.5. La prima pronuncia sul tema attiene all’ammortamento degli impianti di aria condizionata. Si è ritenuto che la più intensa utilizzazione delle strutture aziendali, certamente conseguente ai doppi turni di lavorazione, non è, di per sé, idonea a giustificare le maggiori quote dell’ammortamento “accelerato”, in difetto di prova, gravante sul contribuente, a mezzo di idonea documentazione, che l’intensità di utilizzazione dei beni è superiore “a quella normale del settore”, secondo la prescrizione dell’art. 67, terzo comma, del d.P.R. 917/1986 (Cass., sez. 5, 13 ottobre 2006, n. 22034).
Pertanto, è ben possibile per il contribuente fornire la prova della più intesa utilizzazione delle strutture aziendali, in modo da applicare un coefficiente di ammortamento più elevato. In genere, infatti, le quote annue di ammortamento calcolate in base ai coefficienti risultano più alte, se il bene (come un apparecchio meccanico) ha un tasso di deperimento più rapido rispetto ad altri (come i beni immobili). Se l’Ufficio ritiene applicabile un coefficiente più basso per l’immobile, cui inerisce l’impianto di condizionamento, grava sul contribuente l’onere di provare la maggiore intensità di utilizzo del bene e, quindi, la maggiore deteriorabilità nel tempo.
7.6. Successivamente questa Corte si è pronunciata sulle costruzioni inerenti gli impianti di distribuzione di carburante, e si è ritenuto che, ai sensi del d.m. 21-12-1998, emesso in base all’art. 67, secondo comma, d.P.R. 917/1986 (ora 102 d.P.R. 917/1986), le costruzioni esistenti negli impianti stradali di distribuzione dei carburanti non sono riconducibili alla categoria “Oleodotti- Serbatoi-Impianti stradali di distribuzione”, per la quale la tabella dedicata al “Gruppo IX-Industrie Manifatturiere Chimiche – Specie 2 – raffinerie di petrolio, produzione e distribuzione di benzina e petroli per usi vai, di oli lubrificanti e residuati, produzione e distribuzione di gas di petrolio liquefatto” prevede un coefficiente di ammortamento del 12,5%, ma a quella “Fabbricati destinati all’industria”, per cui la medesima tabella prevede un coefficiente del 5,5 % (Cass., sez. 5, 11 aprile 2008, n. 9497; poi anche Cass., sez. 5, 24 maggio 2013, n. 12924). La medesima decisione (Cass., 9497/2008) ha affermato la impossibilità di ammortamento per i terreni, ma poi è stata superata dalla pronuncia a sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 26 aprile 2017, n. 10225).
7.7. V’è stata poi la decisione a sezioni unite di questa Corte, sopra citata, che ha chiarito i termini della questione, soprattutto in relazione all’ammortamento dei terreni su cui insiste un impianto di distribuzione di carburante. Si è chiarito che, ai sensi dell’art. 2426, primo comma, c.c., “il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”. Pertanto, ai fini dell’ammortamento di un bene rileva la limitazione nel tempo della proficua “utilizzazione” produttiva del bene, non la durata della sua fisica esistenza. Ciò che rileva è l’utilità economica secondo un piano produttivo, cioè la durata della “vita utile” del bene strumentale, che va intesa come periodo di tempo nel quale ci si attende che il bene sia utilizzato produttivamente. Pertanto, l’ammortamento consiste nella ripartizione per competenza (con metodo sistematico e razionale) del costo di acquisizione di beni con riferimento alla loro “vita utile”, negli anni in cui la loro utilità funzionale ed economica si connette al processo produttivo dell’impresa partecipando al risultato dei singoli esercizi, in rapporto al deperimento fisico o tecnologico o economico di essi “in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”. Il deperimento che va considerato è quello indotto dall’impiego produttivo del bene strumentale di durata pluriennale, quindi dall’utilizzo stimato del potenziale apporto fornito all’attività di impresa. Si è, quindi, chiarito che il valore da ammortizzare va individuato nella differenza tra il valore dell’immobilizzazione ed il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di “vita utile” e corrisponde al valore il cui ammortamento negli esercizi futuri troverà, secondo una ragionevole prognosi, adeguata copertura con i ricavi correlati all’utilizzo del bene.
Alla vita utile del bene fanno riferimento non solo il secondo comma dell’art. 102 bis d.P.R. 917/1986 (introdotto dall’art. 1, comma 325, della legge 23 dicembre 2005, n. 266), relativo all’ammortamento dei beni materiali strumentali per l’esercizio di alcune attività regolate, ma anche l’art. 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, relativo ai beni costituenti giacimenti, sia pure in zone di mare.
Per il principio di “derivazione” del bilancio tributario dal bilancio civilistico di cui all’art. 83 d.P.R. 917/9186, poi, in difetto di specifiche diverse disposizioni, valgono anche per l’ordinamento fiscale le disposizioni civilistiche in tema di redazione del bilancio, compresi i principi contabili nazionali ed internazionali.
7.8. Il paragrafo 58 dello Ias prevede che “i terreni e gli edifici sono beni separabili e sono contabilizzati separatamente, anche quando vengono acquistati congiuntamente”. Si precisa poi che “con qualche eccezione, come cave e siti utilizzati per discariche, i terreni hanno una vita utile limitata e quindi non vengono ammortizzati”. Gli edifici, invece, “hanno una vita utile limitata e perciò sono attività ammortizzabili”.
Al paragrafo 59, poi, si chiarisce che “se il costo del terreno include i costi di smantellamento, rimozione e ripristino, la parte relativa al ripristino del terreno è ammortizzata durante il periodo in cui si ottengono i benefici derivanti dal sostenere i costi. In alcuni casi, il terreno stesso può avere una vita utile limitata, nel quale caso questo è ammortizzato in modo da riflettere i benefici che ne derivano”.
7.9. In linea generale, poi, nel Gruppo XXII (Servizi igienici alla persona e domestici), Specie II, del d.m. 21 dicembre 1998, dedicata alle “imprese di smaltimento dei rifiuti”, la aliquota destinata agli “edifici” è del 3 %, confidando in una maggiore “vita utile” degli stessi, mentre quella dei macchinari è del 10 % (impianti specifici di utilizzazione), in ragione della più facile deperibiltà degli stessi e della loro minore “vita utile”.
7.10. Non può essere condivisa, allora, la nota della Amministrazione (1 febbraio 1980, n. 9/162, per la quale, con riferimento ad un impianto di depurazione delle acque di scarico, ha ritenuto che tale impianto “non possa nel suo insieme costituire una categoria omogenea alla quale applicare un unico coefficiente e ciò in quanto la parte immobiliare deve essere paragonata ai fabbricati, mentre le attrezzature costituiscono parti meccaniche. Conseguentemente, alla fattispecie in esame, vanno applicati i coefficienti propri delle due categorie”.
Con riferimento agli impianti fotovoltaici ed eolici, l’Associazione italiana dei dottori commercialisti (AIDC) ha adottato una norma di comportamento, per cui agli impianti eolici deve essere applicato il coefficiente di ammortamento fiscale del nove per cento previsto per gli impianti di produzione di energia termoelettrica, ad eccezioni delle parti dell’impianto che si distinguono quali fabbricati in senso proprio, alle quali deve essere applicato il coefficiente del 4 % disposto per i fabbricati industriali.
Del resto, con la circolare del 13 giugno 2016 l’Agenzia delle entrate ha aderito a tale interpretazione, chiarendo che è possibile beneficiare del super – ammortamento “solo sulle componenti impiantistiche delle centrali fotovoltaiche ed eoliche, in quanto tali componenti non rientrano nelle ipotesi di esclusione … (investimenti in fabbricati e costruzioni o in beni strumentali che hanno coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5 per cento)”.
7.11. La Commissione regionale, pur convenendo con la tesi sostenuta dalla società, di una maggiore deperibilità degli edifici-impianti, rispetto agli edifici – costruzioni, ha però omesso di esaminare le circostanze di fatto allegate dalla contribuente con la consulenza tecnica di parte, i cui passi salienti sono stati trascritti nel ricorso per cassazione.
7.12. Per questa Corte, infatti, le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese. Tuttavia, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass., sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30364, per le fattispecie relative a sentenze depositate prima dell’11 settembre 2012, data di entrata in vigore del d.l. 83/2012). Tale principio valido, come detto, per contestare la insufficiente motivazione per le sentenze depositate prima dell’11-9-2012, trova applicazione anche per le sentenze depositate a decorrere da tale date, ove nella consulenza di parte siano indicate specifiche circostanze di fatto, sulle quali il giudice di appello ha omesso l’esame, ove si tratti di circostanze di fatto “decisive” ed oggetto di discussione tra le parti.
7.13. Non v’è dubbio che il giudice di appello ha omesso di valutare specifiche circostanze di fatto elencate dalla contribuente negli atti di causa e prese in esame dal consulente tecnico di parte.
Nel ricorso della società si riportano le argomentazioni del perito di parte il quale ha ritenuto che “la parte edilizia di cui si compone l’impianto fosse stata progettata e realizzata, formando un unicum con la parte prettamente e strettamente impiantistica, intesa come macchinari e/o sottoservizi tecnologici” (cfr pagina 31 del ricorso).
In particolare, si evidenzia nella consulenza tecnica di parte che la parte edile degli impianti, e quindi il capannone, è soggetto ad una peculiare usura, che ne abbrevia la vita utile (cfr. pagina 30 del ricorso per cassazione “tali strutture non sono suscettibili di utilizzi alternativi e costituiscono parte integrante e necessaria alla realizzazione dei processi di biossidazione e trattamento di cui trattasi. Dato l’intenso grado di usura delle strutture murarie che compongono l’impianto, ed in particolare delle aie di compostaggio, queste sono state oggetto di revamping tra il 2004 ed il 2005, in quanto non più in grado di svolgere le funzioni cui erano deputate. Nel particolare è stata realizzata una nuova pavimentazione comprensiva delle strutture deputate all’insufflazione dell’aria ed alla captazione del percolato. Il completo rifacimento di una porzione significativa delle componenti edili dell’impianto si è reso necessario dopo appena 4 anni dall’entrata a regime dell’impianto medesimo”).
Nella consulenza di parte si dava atto che “l’impianto di Lovadina è stato avviato completamente nell’anno 2001. Lo stato di usura delle parti edilizie è compatibile con l’età delle strutture ed il loro utilizzo, esso è però particolarmente intenso e visibile nella sezione impiantistica dedicata alle aie di compostaggio e stabilizzazione, in particolare sia nella pavimentazione sia nella copertura metallica, a causa delle condizioni ambientali particolarmente aggressive. Infatti è già stata rifatta la pavimentazione della zona di ricezione della frazione organica e si è dovuto provvedere al completo rifacimento della pavimentazione interna delle aie di compostaggio, delle linee tecnologiche in essa comprese (tubazioni aria-percolato) e dello strato drenante superficiale. Recentemente, visto il pessimo stato delle strutture di copertura delle aie di compostaggio, si è proceduto alla loro sostituzione e contestualmente al completo adeguamento antisismico delle strutture portanti della medesima porzione dell’impianto” (cfr. pagina 31 del ricorso per cassazione).
Si osserva ancora nella consulenza tecnica di parte che “tale impianto è soggetto inoltre a rapida usura ed obsolescenza per le particolari condizioni operative e per la continua evoluzione normativa del settore rifiuti…lo stesso PRSU all’art. 13 dell’elaborato A prevede che sia fatta una rotazione in diversi Comuni del bacino degli impianti di trattamento, compatibile con la vita utile degli stessi, in modo da distribuire equamente nel tempo i disagi e benefici derivanti dalla localizzazione degli impianti” (cfr. pagina 32 del ricorso per cassazione).
Il consulente ha precisato che “l’integrazione delle diverse componenti ed il relativo grado di interdipendenza inducono a ritenere che il grado di usura ed obsolescenza tecnologica dell’impianto, anche in considerazione dell’evoluzione normativa di settore, sia sostanzialmente allineata per le diverse componenti del medesimo, quali le parti elettromeccaniche e quelle murarie in quanto costituenti un unico impianto a tecnologia complessa ed egualmente coinvolte nel processo di lavorazione”.
In conclusione, per il consulente tecnico “al termine della vita utile dell’impianto, la soluzione tecnicamente ed economicamente più opportuna per un diverso utilizzo dell’area appare essere la bonifica della stessa, lo smaltimento dell’impianto e quindi la realizzazione di nuove e diverse strutture” (cfr. pagina 32 del ricorso).
7.14. Nessuna di tali circostanze di fatto è stata presa in esame dal giudice di appello, che quindi è incorso nel vizio di motivazione, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come modulato dal d.l. 83/2012, applicabile alle sentenza depositate a decorrere dall’11 settembre 2012.
8. Con il quinto motivo di impugnazione (come dedotto a pagina 40 del ricorso per cassazione) la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione degli artt. 8, d.lgs. n. 546/1992, 6, comma 2, d.lgs. n. 472/1997 e 10, III comma dello Statuto (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), per avere la CTR Veneto implicitamente rigettato l’eccezione di inapplicabilità delle sanzioni amministrative, nonostante la situazione di obiettiva incertezza sulla portata delle norme che sarebbero state violate”, in quanto il giudice di appello, dopo aver accolta la domanda di applicazione della continuazione per le sanzioni irrogate per le due annualità, non si è pronunciata sulla inapplicabilità delle sanzioni amministrative.
8.1. Con il quinto motivo (come dedotto in subordine a pagina 46 del ricorso per cassazione) la ricorrente lamenta la “omessa pronuncia sulla doglianza di inapplicabilità della sanzioni in ordine alle condizioni di obiettiva incertezza sulla portata delle norme che sarebbero state violate (art. 360 n. 4 e 112 c.p.c.)”.
8.2. I motivi (5.1. e 5.2., indicati rispettivamente a pagine 40 e 46 del ricorso per cassazione), stante l’accoglimento del secondo motivo, sono assorbiti.
9. Con il sesto motivo (come dedotto a pagina 47 del ricorso per cassazione) la ricorrente lamenta la “violazione o falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 472/1997 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), per avere la CTR Veneto implicitamente rigettato l’eccezione di inapplicabilità delle sanzioni amministrative, nonostante la mancanza di colpevolezza dell’agente”, in quanto il giudice di appello, avendo applicato l’istituto della continuazione alle sanzioni, ha implicitamente rigettato l’eccezione concernente l’inapplicabilità delle sanzioni per l’assenza di una chiara normativa.
9.1. Con il sesto motivo (come dedotto in subordine a pagina 49 del ricorso per cassazione) la ricorrente deduce la “omessa pronuncia sulla doglianza di inapplicabilità delle sanzioni per difetto di colpevolezza (art. 360 n. 4 e 112 c.p.c.)”.
9.2. Tali motivi (6.1. e 6.2., come indicati rispettivamente alle pagine 47 e 49 del ricorso per cassazione), stante l’accoglimento del secondo motivo, sono assorbiti.
10. La sentenza deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo ed il terzo; dichiara inammissibile il quarto motivo; dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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