CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22802
Diniego della cittadinanza italiana – Impossibilità dell’inserimento nelle graduatorie – Retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito quale docente – Prova del danno da perdita di chance – Carenza di legittimazione passiva dell’organo dello Stato convenuto nel giudizio – Mera irregolarità sanabile
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello del Ministero degli Affari Esteri avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da S.M., aveva condannato il Ministero a risarcire il danno cagionato alla ricorrente dall’illegittimo diniego della cittadinanza italiana, quantificato in misura pari alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito quale docente nel periodo 1.7.1998/11.7.2001 in quanto il rifiuto aveva comportato l’impossibilità dell’inserimento nelle graduatorie permanenti utilizzate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il reclutamento del personale insegnante;
2. la Corte territoriale ha premesso che con sentenza della stessa Corte n. 5690/2009 era stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, seppure limitatamente all’arco temporale successivo al 30.6.1998, ed ha evidenziato che, riassunta la causa, il Tribunale aveva accertato la lesione del diritto soggettivo dell’appellata, perché la cittadinanza italiana era stata ottenuta da quest’ultima in ritardo con decreto dell’11.7.2001, emesso solo a seguito della pronuncia del 2.6.2000, con la quale il giudice amministrativo aveva annullato l’originario provvedimento di diniego;
3. il giudice d’appello ha ritenuto non fondato il gravame del MAE, incentrato sull’asserita assenza di prova del danno da perdita di chance, ed ha rilevato che nel giudizio di primo grado l’amministrazione non aveva contestato le circostanze dedotte dalla ricorrente a fondamento della pretesa, avendo affidato la sua difesa a considerazioni non pertinenti, riguardanti il riconoscimento dell’assegno di sede, ossia una domanda diversa rispetto a quella proposta;
4. ha rilevato la tardività delle contestazioni formulate quanto alla prova del danno ed ha aggiunto che, in ogni caso, non poteva essere negato il pregiudizio economico subito dall’appellata, perché il mancato inserimento nella graduatoria era dipeso dall’illegittimo rigetto della richiesta di cittadinanza;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale sulla base di due motivi, ai quali S.M. ha opposto difese con tempestivo controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo il Ministero denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 9 della legge n. 91/1992 e sostiene che la domanda di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti doveva essere rigettata, perché la cittadinanza italiana è concessa dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno mentre quello degli Affari Esteri esprime solo un parere, nei casi in cui lo straniero abbia ‘ reso servizi all’Italia;
1.1. la responsabilità del danno asseritamente patito dalla ricorrente non poteva ricadere sul MAE, il quale si era limitato a trasmettere il provvedimento emesso da altro Ministero;
2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione degli artt. 100 e 101 cod. proc. civ. per avere ritenuto la legittimazione passiva del Ministero degli Affari Esteri che invece andava esclusa per le ragioni indicate nel primo motivo e perché ciascun organo dello Stato, persona giuridica unitaria, costituisce figura giuridica soggettiva autonoma, dotata di propria capacità e legittimazione;
3. preliminarmente occorre dare atto dell’errore materiale commesso dalla Corte territoriale, che in più parti della motivazione ha fatto riferimento al periodo 1/7/2008 – 11/7/2001, anziché a quello, corretto, 1/7/1998 – 11/7/2001;
4. nel rispetto dell’ordine logico e giuridico delle questioni deve essere esaminato con priorità il secondo motivo, che va dichiarato inammissibile perché con lo stesso si prospetta, per la prima volta e solo nel giudizio di legittimità, un vizio di costituzione del rapporto processuale;
4.1. le Sezioni Unite di questa Corte, confermando un orientamento risalente nel tempo (Cass. S.U. n. 3117/2006), hanno affermato che ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260/1958 la carenza di legittimazione passiva dell’organo dello Stato convenuto nel giudizio di responsabilità costituisce una mera irregolarità sanabile, che deve essere eccepita dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza utile, con la contestuale indicazione dell’organo effettivamente legittimato, sicché, in difetto di tempestiva eccezione, resta preclusa la possibilità di far valere l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale ed è anche impedito al giudice di rilevare d’ufficio l’erronea individuazione del soggetto da evocare in giudizio (Cass. S.U. n. 30649/2018);
4.2. le ragioni di detto orientamento, che va qui ribadito, sono state ravvisate, da un lato, nella ratio della legge n. 260/1958, diretta all’evidente scopo di semplificare l’individuazione dell’organo competente a rappresentare lo Stato, dall’altro nei principi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, che, in coerenza anche con quelli comunitari, impongono un’interpretazione del sistema processuale finalizzata a ridurre i casi di inammissibilità dell’azione e ad evitare che sia reso eccessivamente difficile l’esercizio della tutela giurisdizionale;
4.3. l’inammissibilità della questione posta con la seconda censura è assorbente rispetto alle deduzioni, sviluppate nel primo motivo, in merito alla delimitazione delle sfere di competenza e di responsabilità dei Ministeri che intervengono nel procedimento di riconoscimento della cittadinanza italiana;
5. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo, da distrarsi in favore degli Avv.ti A. a e U.S., i quali hanno reso la prescritta dichiarazione;
6. non occorre dare atto, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. n. 4315/2020; Cass. n. 28250/2017; Cass. n. 1778/2016; Cass. S.U. n. 9938/2014).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore degli Avv.ti A. e U.S..
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